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Due o tre cose che so dell’arte

del

Il Mondo è andato avanti, un passo avanti, due passi indietro: così è sprofondato nella crisi indotta dalle oligarchie economiche e non riesce a delinearsi una Nuova Visione che orienti percorsi e obiettivi. I cambiamenti di questi anni non mi hanno né sorpreso né spaventato, ero preparato. Nel bene e nel male si sono diretti dov’era prevedibile arrivassero: alle soglie della Palingenesi. Una condizione a cui sarebbe stato impossibile giungere con i modi storici abituali, con una rivoluzione, per esempio. Le rivoluzioni si fanno quando tante persone hanno acquisito consapevolezza e desiderano un cambiamento radicale. Oggi, però, questa moltitudine di consapevoli non c’è. Non esistono più configurate classi sociali, masse che si uniscono per abbattere il Palazzo d’Inverno. Le masse di oggi sono completamente eterodirette e incapaci persino di provare fastidio per l’uso che di esse fa il Potere. L’impossibilità di agire ha favorito la deriva. Il Sistema crolla a causa della sua cecità. Per farlo precipitare nel baratro è bastato non opporsi alle sue azioni. Sta avvenendo un inconsapevole conflitto gandhiano, con i combattenti incollati al monitor del computer o davanti alla tv o allo stadio o a fare shopping (chi non è impoverito troppo)!

 

Rivoluzione senza progetto, progetto senza rivoluzione

 

Come possiamo pretendere di salvarci, senza capire che dobbiamo disobbedire? Le oligarchie hanno preso il potere in modo estremamente più capillare di quanto in passato abbiano fatto i “Padroni del Vapore”, che si erano limitati a impadronirsi delle risorse energetiche e dei nostri soldi. Le oligarchie si sono impossessate dell’interiorità di tutti, tramite la sostituzione del Lavoro con i Social Network e con un sofisticato controllo collettivo e individuale. Insomma, si è avverato “The brave New World” e nessuno se ne è accorto! Io non ho idea di come si possa uscire da questa situazione, però ho fiducia nell’Arte e nel Progetto.

Dopotutto, il mondo attende di essere riprogettato dalle fondamenta. Non credo che questo arduo e totalizzante compito possa essere assolto dall’ingegneria, dal design e dalle altre discipline che normalmente si occupano di progettare, cioè di dare forma e possibilità costruttiva (ma anche distributiva e commerciale) a merci e servizi che obbediscono alle previsioni del marketing: che siano cioè allineate e obbedienti alla cosiddetta domanda sociale. Il fatto è che non bisogna obbedire ai voleri del mercato e dei consumatori. Queste due entità sono manipolate, amorfe e decerebrate da tempo immemore e da esse non può che nascere conformismo e banalità. Innovare è tutt’altra cosa: è proporre ciò che ancora non c’è, ma che sarebbero adatto al mondo che vorremmo.

Innovare significa concepire e realizzare qualcosa che, una volta fatto, rende impossibile prescinderne, perché possiede una forza di esempio assoluto e globale. Questa è appunto la missione dell’Arte. Per questo sostengo che sarebbe bene se gli steccati che separano Progetto e Arte fossero abbattuti. Ne guadagnerebbero entrambi, ma specialmente ne guadagnerebbe la Specie umana. Credo che le strutture dell’Interiorità che motivano e governano il fare artistico, la politica e l’economia e tutte le altre aree del sapere tenute separate, si debbano ricomporre, tramite una difficile ricerca di unità, di olismo e di superamento dei dati di fatto acritici.

 

ScholaFelix e gli Encounter “La via dell’Arte”

 

Da quanto detto sinora nasce il progetto “La via dell’Arte”: serie di incontri, corsi e laboratori itineranti, che inizierà il suo cammino il 29 ottobre prossimo allo Spazio Tadini di Milano e in cui racconto parecchie cose sull’arte e su come si diventa artisti. L’Associazione ScholaFelix, che li coordina, ha una base-line che recita: Space of Unlimited Investigation into Art and New Vision. Una base-line che postula il legame tra l’Arte e la Nuova Visione che determina il progetto del futuro che vogliamo. Sono un artista, una persona come tutti, ma non per questo uguale a tutti e tanto meno alla “massa”. Gli artisti hanno ricevuto (o si sono presi) la delega sociale di delineare il mondo che sta per essere, di anticipare come sarà il nostro futuro, modellizzandolo ed esemplificandolo tramite le loro opere. L’arte è questo, ma non solo questo e vorrei raccontarlo proprio negli Encounter.

Non desidero essere un “coach che sciorina competenze e promette di raggiungere, in un paio di giorni, obiettivi di riconoscimento, capacità, potenza e soldi. I coach promettono un aumento vertiginoso della performance, che risponde a un’ingenua speranza miracolistica di fare in pochi minuti ciò che richiede tempo e dedizione. A nessuno piace sgobbare, essendo più facile recarsi nel supermercato dell’anima e acquistare una personalità precotta. La capacità performativa promessa resta illusoria e dopo pochi giorni tutto torna all’iniziale grigiore. Come insegna Chomsky, essa non è sufficiente se non è supportata dall’esperienza e dalla competenza. Virtù, queste ultime, che richiedono disciplina, costanza, consapevolezza, fierezza e stoicismo. Io non voglio essere un docente, casomai un esempio.

Spesso la “gente” lamenta che l’arte non sia comprensibile. In effetti l’Arte agisce ai confini dell’intelligibilità, impiega, genera e formalizza linguaggi che il giorno prima non esistevano. L’Arte è sperimentazione e lo stesso artista, mentre fa, non è pienamente consapevole di cosa stia facendo. Tenta, guarda cosa succede: sperimenta, appunto. L’arte è un flusso in divenire e non un punto da perfezionare mentalmente e poi eseguire. È un fiume irruento che prende forma mentre scorga e scende verso il mare. La consapevolezza dell’arte che diventa è uno dei temi che gli Encounter affronteranno.

Un’altra tematica per me fondamentale è che l’Arte è il Lavoro che definisce se stesso. Fare l’artista, significa essere un particolarissimo lavoratore che mentre lavora cerca di nobilitare quello che fa, cerca di esprimere la qualità ideativa, progettuale ed esecutiva più alta. Per questo il lavoro artistico, e le opere che da esso nascono, sono esemplari e indispensabili. Non ho nulla da insegnare, ma chi partecipa agli Encounter “La via dell’Arte” impara tanto da quel che indicherò. L’Arte non può essere insegnata, per quanto esistano scuole che dichiarano di poterlo fare in tre o cinque anni.

Le Accademie di Belle arti, le Facoltà universitarie di progetto (Architettura e Design) esistono per affermare il teorema che Arte e Progetto si possano insegnare nello stesso modo dell’Odontotecnica. Dalla scuola si esce infarciti di nozioni inutilizzabili, ma l’Arte non è una sommatoria di nozioni. La scuola ha gli stessi obiettivi della religione, dei mass media, del consumismo: serve a controllare le persone, a tenerle piccole e scisse dall’interezza dell’interiorità. Interezza indispensabile all’artista per fare Arte.

Nel campo dell’Arte non è possibile insegnare nulla di significativo, almeno con i modi usuali. Se io ho idee diverse è semplicemente perché ho pensato (voluto pensare) di pensarle. Per pensare l’impensato bisogna essere usciti dal Mondo e saper frequentare i territori dell’Io Grande. Queste idee non voglio privatizzarle, quasi fossero brevetti depositati da qualche esoso notaio e dai quali lucrare royalties, cercherò invece di metterle a disposizione durante gli Encounter. Quello che bisogna conoscere non sono le tecniche – un semplice prerequisito il cui approfondimento è un oggetto di ricerca e non una formula o una ricetta.

Quello che si deve sapere lo si deve prima volere: una condizione dell’interiorità sintetizzata in queste due righe:

  • L’Arte è la Scienza del Mondo Interno
  • La Scienza è l’Arte del Mondo Esterno

Una condizione semplice da leggere, ma non facile da mettere in pratica. Questi sono anni in cui esiste un autentico bisogno di artisti, di chi guardi oltre la siepe e indichi la via. Occorre però un’arte che mostri il meglio che si possa fare nel modo più innovativo. Con gli Encounter intendo condividere idee che siano utili agli artisti, a chi desidera diventarlo, e specialmente allo sviluppo culturale. L’accresciuta complessità del lavoro artistico, specialmente quello che si misura con i new media e quello che impiega le più attuali tecnologie, non può svilupparsi senza una progettualità simile a quella dell’ingegneria. I grandi studi d’arte sono composti da decine di persone di varia competenza (in questo non dissimili dai laboratori rinascimentali) e attuano una metodologia spesso sofisticata quanto quella dei grandi centri di ricerca industriale.

Simmetricamente – ed è l’aspetto più delicato e fecondo – il Progetto ha bisogno di essere contaminato dall’Arte, sia per qualificarsi culturalmente, sia per non immiserirsi in vuoti tecnicismi. Bisogna pensare a una fecondazione plurima e diffusa di idee, punti di vista e Visioni. Pensare a una società aperta e olistica, dove predomini il Bene comune e non le chiusure (specialmente quelle fittizie delle discipline e dei saperi alienati). In Italia la contaminazione tra Arte e Progetto è avvenuta una settantina di anni fa e ha generato il Design. Occorre ripartire da là, ma con un approccio completamente diverso. Consapevoli che: tra Progetto e Arte non vi è separazione; l’Arte è necessaria al Progetto perché indica le strade, dà forma alle visioni e rende possibile il determinarsi di paradigmi culturali e comportamentali;  progettare di più e produrre di meno è meglio perché Produrre di meno significa che i prodotti devono avere una vita più lunga (un ciclo di vita non semplicemente dilatato, ma radicato nel tempo e nello spazio) e che il loro sistema morfologico e prestazionale sia più ricco, le loro dimensioni linguistiche durature, mitiche, capaci di aprire vasti spazi interpretativi.

Insomma, è necessario riformulare il senso del Progetto attraverso l’Arte. I prodotti, gli oggetti che ci circondano e che partecipano della nostra quotidianità, devono essere fatti nel modo migliore, nel modo più giusto. Devono confrontarsi con l’Arte, intesa come esempio più alto e sintetico della qualità del lavoro e della forma. Se si riuscissero a realizzare i quanto detto, se cioè si attuasse la fusione a freddo tra Arte, Scienza, Progetto, si produrrebbe la Techné, il paradigma che può aiutarci a superare l’attuale crisi di civiltà.

 

Il ruolo dell’arte nel processo sociale

 

L’Arte possiede una centralità palese e accettata dal reticolo dei poteri, assegnata per un preciso patto sociale. Questa centralità, nella quotidianità economica e nelle dinamiche industriali, è stata banalizzata e strumentalizzata, fino a ridursi a quell’insieme di tecnicismi e trucchetti noti da una parte come Cultura d’Impresa e dall’altra parte come Sistema dell’Arte. Per uscire dalla crisi occorre rivendicare il ruolo dell’Arte, valorizzandone la funzione e la qualità esemplare.

Questo ruolo compete all’Arte contemporanea, per la sua peculiarità sperimentale e per la vocazione a confrontarsi con l’emergere di comportamenti, relazioni e interazioni (che, per la loro innovatività e perché appaiono alieni e non conformi, spaventano la gente). Compito dell’Arte è vivere nel nuovo e nel territorio di confine tra normalità e altro-mondo, tra leggi e trasgressione, tra eterodirezione e disobbedienza. L’Arte deve assumere un ruolo propulsivo che offra esempi e stimoli, che generi modelli di qualità da emulare. In questo momento di crisi ciascuno deve fare la propria parte con speranza e coraggio.

Negli Encounter offrirò indicazioni, esempi sul Come ma non sul Perché. Posso mostrare dove nascono le idee e le motivazioni, ma non l’uso che se ne può fare. Questo lo deciderà chi parteciperò agli Encounter perché ciascuno non può che essere se stesso, per difficile che possa sembrare. Posso indicare la strada che conduce ai Cancelli del Cielo e fermarmi pochi passi prima, lasciando che ciascuno li raggiunga da sé.

 

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