Potrebbe esservi sfuggita, qualche settimana fa, la notizia del ritrovamento da parte dei carabinieri del Nucleo per la tutela dei beni culturali di un attivo laboratorio di falsi operante a Roma. Una storia come se ne sentono molte ma che può essere un buon gancio per riflettere su quale sia, al di là del sempre deprecabile intento truffaldino, l’effettivo limite tra autentico e falso.
La cronaca dice che l’indagine dei carabinieri sarebbe partita da alcuni lotti sospetti presenti su un ben noto sito di aste online, dai quali si sarebbe risaliti a un restauratore romano in grado, con mezzi non troppo sofisticati – nelle foto allegate agli articoli sul web si vede poco più che normali tubetti di colore, pennelli e qualche solvente -, di riprodurre dipinti negli stili, tra gli altri di Pissarro, Jean Cocteau, Dora Maar, ma anche Rembrandt, Giacomo Balla, Osvaldo Licini e, non ultimo, Pablo Picasso.
Il nome del grande spagnolo associato al tema dei falsi, richiama uno stranissimo documentario di Orson Welles del 1973, F for Fake, una sorta di trattato filmico sul senso dell’arte come finzione e, peraltro, l’ultima produzione da Welles portata a termine.
Un giusto epitaffio per la sua carriera di maestro dell’inganno, iniziata con la celeberrima trasmissione radiofonica della Guerra dei mondi, cronaca in diretta di un’ipotetica invasione aliena raccontata però come reale.
In F for Fake, dopo aver presentato la vicenda di due autentici falsari, il pittore Elmyr de Hory e lo scrittore Clifford Irving, Welles inizia uno strano racconto che coinvolge proprio Picasso e l’attrice croata Oja Kodar.
Si scopre, infatti, che durante una vacanza estiva di qualche anno prima, la Kodar si sarebbe trovata nello stesso paese del sud della Francia in cui si era ritirato per un certo periodo Picasso. Notoriamente sensibile alla bellezza femminile, il pittore sarebbe facilmente riuscito a convincere l’attrice a posare come sua modella, producendo ventidue tele che avrebbe poi ceduto all’attrice.
Vedendole qualche mese dopo esposte in una galleria di Parigi, si sarebbe, però, accorto che i dipinti fossero in realtà tutti dei falsi. Il racconto si fa a questo punto intricato: entra in scena il nonno della Kodar, incredibile falsario che opera nell’ombra nonché autore dei dipinti esposti. Lascio alla curiosità del lettore vedere dove il film vada a parare.
Vera o falsa che sia questa storia, ricorda un aneddoto raccontato da Arthur Koestler nel suo libro L’atto della creazione, in cui un mercante d’arte, recatosi in Costa Azzurra in visita al pittore spagnolo per mostrargli un suo vecchio dipinto, se lo vede liquidato come falso. Quando il mercante sostiene di averlo visto con i suoi occhi dipingere lo stesso, si sente rispondere da maestro come lui fosse solito dipingere falsi.
Una boutade, naturalmente. Ma quale sarebbe, in effetti, la differenza sostanziale tra un “falso” Picasso dipinto da Picasso stesso e uno opera del restauratore-falsario indagato a Roma? Una risposta potrebbe darcela Federico Zeri, che di falsi se ne intendeva.
Qual è il vero falso? Il vero falso è l’oggetto che è stato eseguito in un’epoca diversa da quella dello stile che vuole esibire. Cioè il falso è sempre un oggetto destinato a ingannare. È come per la moneta: qual è la falsa banconota? È quella che viene creata dal falsario, con della carta spesso anche bellissima e con un’incisione eccellente, che viene fatta per spacciare moneta falsa. E così accade per i quadri: quando certe scuole diventano di moda e quando i collezionisti incominciano a cercarle, avviene irrimediabilmente – o per lo meno avveniva – che una serie di personaggi, che sono i falsari, si mettono a reinventare quadri di quei pittori che vanno di moda; quindi abbiamo opere destinate a ingannare il pubblico. Il vero falso ha dietro di sé sempre la volontà di imbrogliare, cioè di spacciare per antico quello che è invece una creazione contemporanea.
Il falso del restauratore è un falso in quanto ingannevolmente dipinto nello stile di qualcun altro. Quello di Picasso, invece, è più che altro una poco sincera copia di un sé stesso di un altro periodo. Certo, chiunque preferirebbe avere un “falso” Picasso dipinto da Picasso stesso piuttosto che quello opera di un falsario. E del resto, per quanto entrambi ingannevoli, solo quello del falsario sarebbe effettivamente criminoso.
Come, però, dice Welles a un certo punto nel film: “Quello che noi bugiardi professionisti speriamo di servire è la verità. Temo che la parola pomposa per questo sia ‘arte’”. Che aggiungere?