Ancora poche ore all’apertura ufficiale della quinta edizione di MIA Milan Image Art Fair (Milano 11-13 aprile) che quest’anno ha lasciato il Superstudio Più per la nuova location di The Mall, in una modernissima piazza Lina Bo Bardi dagli scorci stile Manhattan, tra grattacieli tutto acciaio e vetro. Una cornice molto più adatta per una fiera, quella creata e diretta da Fabio Castelli, che sembra essere giunta alla sua prima maturità. La qualità media delle opere esposte, da sempre buona, quest’anno è decisamente più alta, impreziosita anche da una cura inedita per gli aspetti allestitivi. Nel complesso una quinta edizione di ottimo livello, meno dispersiva che in passato anche se la nuova sistemazione ha penalizzato un po’ (forse troppo) la parte dedicata all’editoria, comunque interessante grazie anche alla presenza della mostra “Uno sguardo lento” dedicata al libro d’artista. Un cammeo per veri amatori. Ma veniamo alle opere proposte dalle oltre 80 gallerie presenti fino al 13 aprile a MIA 2015.
Come ogni fiera d’arte, ci vuole sempre un po’ di tempo per prendere confidenza con un’offerta ampia e molto varia. Ma se dopo il primo giro si è forse confusi, già al secondo le idee si fanno più chiare e il proprio gusto può uscire allo scoperto guidandoci nella ricerca delle opere più interessanti. Ci sono i nomi ormai storici della fotografia da Mario Giacomelli a Maurizio Galimberti – che ormai ripete un po’ troppo se stesso – passando per Nino Migliori e Franco Fontana, tanto per citare quelli saltano subito all’occhio, talmente sono riconoscibili. Personalità forti, tanto da gettare inevitabilmente ombra su artisti che, seppur validi, si avvicinano in modo pericoloso alla loro cifra stilistica. E’ il caso di Eros De Finis che nello stand della Romberg Photo presenta un raffinatissimo lavoro sulla memoria e su un mondo ormai sospeso in un tempo che sembra aver affermato con forza la propria autonomia e verità esistenziali, nonostante i cambiamenti e le estensioni della realtà metropolitana. Un progetto, quello di De Finis, decisamente poetico, ma dal sapore rischiosamente molto giacomelliano nella resa finale.
Il primo incontro forte, nel nostro tour durante la preview riservata alla stampa, ce l’abbiamo nello stand della milanese Officine dell’Immagine che in fiera porta il lavoro di due giovani ma già affermate artiste iraniane. La prima è Shadi Ghadirian (n.1974) che ci proietta in una realtà dove la normalità sembra impossibile e dove l’apparente equilibrio è sempre interrotto da elementi inquietanti che rimandano ad un Paese pieno di contraddizioni, con un focus preciso sulla condizione di una donna fiera della sua femminilità e desiderosa di vivere il suo tempo, ma prigioniera di regole che la proiettano in un tempo remoto apparentemente irreversibile, tanto da renderla invisibile.
Atmosfere e tematismi che ritornano anche nell’opera di Gohar Dashti (n. 1980) che ci racconta l’Iran post bellico, in cui l’apparente riconquistata democrazia è vessata da una minaccia costante che rende ogni equilibrio instabile e silenzia ogni vago tentativo di dissenso.
Il cammino tra gli stand prosegue. Come in ogni fiera di fotografia ci sono tanti artisti che puntano tutto sull’estetica, privilegiandola rispetto ad una ricerca che invece avrebbe dato un po’ più di anima ad immagini belle, certamente, ma che, personalmente, trovo un po’ freddine e molto da arredamento. E non mancano neanche quelli che si sono fatti prendere un po’ troppo la mano da Photoshop, con il risultato di aver creato dei puzzle urbani che richiamano alla mente certi manifesti di promozione turistica del Secolo scorso. Penso in primo luogo ai lavori di due Proposte MIA: Giorgio Lo Cascio (in arte GLOC) e Umberto Armiraglio. Guardare per credere!
La tecnologia digitale ha ampliato enormemente le possibilità dei fotografi, ma bisogna guardarsi dall’abusarne. E se a MIA 2015 c’è un’artista che sa usare queste tecniche con eleganza, quella è certamente Agnese Purgatorio che nello stand della berlinese Podbielski Contemporary presenta alcuni lavori tratti dalla suo ultimo progetto, Dalla clandestinità, che rappresenta uno degli apici della sua poetica basata sul concetto di esule, di “clandestino” e che si concretizza in collage digitali di estrema raffinatezza. Scelta linguistica che l’artista pugliese sperimenta già dalla metà degli anni Novanta.
Tra tante belle immagini di architetture, pregevole è il progetto Dark Cities: Paris di Daniele Cametti Aspri, presentata da Visiva, che con un approccio quasi zen e un uso sapientissimo della luce ci guida attraverso una Parigi inedita da cui è cancellato ogni rumore di fondo e dove lo sguardo può concentrarsi sui dettagli aggettanti delle modanature o dei tralicci metallici, sprofondando in un’atmosfera senza tempo, caratterizzata da un equilibrio interiore fortissimo, che rende l’oscurità da cui affiorano le linee degli edifici un elemento positivo, quasi di rinascita, risvegliando in chi guarda quella sensazione ristoratrice che si prova in alcune passeggiate notturne, quando la città è quasi assopita.
Sempre rimanendo sul tema architettonico, splendido il lavoro di Marco Maria Zanin portato in fiera dalla Galleria Valeria Bella. Ultima evoluzione del suo progetto sulle Cattedrali Rurali, gli scatti presenti a MIA 2015 sposano il bianco e nero, accentuando ancor di più il senso di decadenza e di lontananza temporale degli edifici rurali in rovina che questo giovane fotografo padovano immortala come simbolo di valori ancestrali e di un rapporto con la terra (intesa anche come identità) che sembra essersi perso per sempre, nel nulla liquido di una contemporaneità che li spinge ai margini.
Come molto intense sono le immagini di Massimo Gatti che nello stand della Galleria Glauco Cavaciuti presenta il progetto Shapes of Gray, in cui il grigio non è più un colore, ma un elemento che richiama alla memoria delle sensazioni che sembrano venire da molto lontano.
E questo tema della memoria è forse uno dei più presenti tra le opere proposte dagli espositori del MIA. Quasi a voler riportare in luce uno degli aspetti più tipici della fotografia, intesa come mezzo per ricordare, ma anche per riflettere su ciò che è stato e che potrebbe ancora essere. Come in Raùl Hevia (Galleria JosédelaFuente) che con i suoi scatti documenta e altera le reti che sostengono l’ordine prestabilito delle cose, spingendo chi guarda a riconsiderare il proprio ruolo all’interno di un sistema più ampio. Nel mostrarci frammenti di un paesaggio distrutto, Hevia diventa così osservatore e testimone della propria intimità.
O nel bel lavoro di Annamaria Belloni, portato in fiera dalla Galleria Spaziofarini 6. Partendo dalla morte della madre, Belloni ci trasporta in una serie di luoghi d’affezione che divengono una vera e propria mappa geografico-emotiva che lentamente porta all’elaborazione di un lutto che si fa ricordo.
C’è poi il lavoro del cinese Eric Guo che allo stand di The Public House of Art di Amsterdam presenta una serie di ritratti molto delicati, in cui il volto è “solcato” da un segno a croce creato con una piega che separa, in un forte contrasto chiaroscurale, la sfera del sogno da quella della realtà.
Un tema, quello affrontato da Guo che apre la strada a quello della percezione del reale, affrontato in modo magistrale da Mario Cucchi, in arte Kukki, che in fiera presenta il progetto Six thoughts of the same thing, dove ogni oggetto, come si capisce dal titolo, è ritratto sei volte, ed ogni volta sembra diventare qualcos’altro nel gioco di riflessi e di ombre che viene a crearsi nell’immagine.
Kukki, peraltro, è tra le poche Proposte MIA degne di nota quest’anno. Chi ci segue da tempo, sa che l’area delle Proposte, dedicata agli artisti senza galleria selezionati direttamente dalla fiera, è quella a cui dedichiamo maggior attenzione. In questa edizione, invece, ci è sembrata più debole che in passato, con artisti che si dedicano ad artificiosi fotomontaggi al computer e altri che hanno esagerato un po’ troppo con i contrasti arrivando a bruciare le ombre. Per non parlare di Paolo Mazzanti che presenta in fiera due foto stampate su superficie riflettente che sono qualcosa di più di semplici rimandi ai quadri specchianti di Pistoletto (forse un omaggio eccessivo?). Al di là di questo: un MIA 2015 assolutamente da vedere ed apprezzare, noi ovviamente vi abbiamo dovuto proporre una rigida selezione e raccontarvi solo le cose che ci hanno convinto di più (o di meno). Adesso tocca voi. Buona visita!