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Il collezionista di tracce: Luigi Spina

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Nel 1949 Giorgio Buchner, archeologo tedesco scomparso nel 2005 all’età di 91 anni, iniziò a scavare sull’isola di Ischia come funzionario della Soprintendenza archeologica di Napoli. La campagna di scavi, destinata a rivoluzionare le nostre conoscenze sulla Magna Grecia, portò alla scoperta della necropoli di Pithecusa, di numerosi monili e, soprattutto, della coppa di Nestore, kotyle risalente al 725 a.C. che Buchner ritrova nella tomba di un bambino di dieci anni e che riporta, da un lato, quello che ad oggi è il più antico riferimento scritto all’Iliade e la prima testimonianza dell’alfabeto greco. Buchner ed aiutanti raccolsero molti degli oggetti ritrovati in cassette di legno dando vita, senza saperlo, ad una collezione di cassette del tempo che oggi il fotografo casertano Luigi Spina ha portato alla luce con un progetto che rappresenta una vera e propria collezione di una collezione.

Nicola Maggi: Luigi ci racconti come è nato questo progetto ?

Luigi Spina: «Tutto è iniziato in modo estremamente casuale. Ero ad Ischia per occuparmi di altre cose, per realizzare una ricerca sul mare, quando l’Ispettore archeologo dell’isola, che conosco, mi ha fatto accedere a questo materiale. Ecco, semplicemente me lo sono trovato davanti».

Luigi Spina, The Buchner's Boxes n. 1. ©luigispina ​© by luigispina
Luigi Spina, The Buchner’s Boxes n. 1. ©luigispina

N.M.: Cos’è che ti ha colpito delle cassette di Buchner tanto da spingerti a dedicargli un progetto?

L.S.: «Nel mio lavoro sono sempre alla ricerca di una bellezza che considero, in qualche modo, temporanea, sfuggevole, ma che, allo stesso tempo tende a darci una sorta di sicurezza. Quando vediamo qualcosa di bello, e anche quando lo collezioniamo, questo ci appare come concreto ma in realtà è qualcosa di estremamente temporaneo ed effimero, in particolare se visto in relazione alla caducità della vita umana.  In queste cassette ho cominciato a ritrovare tutti questi elementi: contengono tutti pezzi bellissimi, reperti unici accanto ai quali, purtroppo, ci sono anche resti umani che ci ricordano che tutto ciò che c’è in questa cassetta appartiene ad un mondo finito.  Ti danno il senso di qualcosa che puoi toccare per poco tempo ma che in realtà non ti appartiene. Chi colleziona sa benissimo che vive un momento temporaneo nel collezionare perché tutte quelle cose, prima o poi, passeranno di mano. Ecco, io in queste cassette ho ritrovato questo aspetto».

Luigi Spina, The Buchner’s Boxes n. 04. ©luigispina
Luigi Spina, The Buchner’s Boxes n. 04. ©luigispina

N.M.: E, infatti, il tuo progetto si sofferma proprio su questo passaggio di mano e sulle tracce che lascia nella vita di una collezione…

L.S.: «Uno degli aspetti dei reperti di Buchner che mi aveva colpito è la presenza di una storia “multi level”.  In queste cassette si sono stratificate le vite di tante persone: quelle vissute tremila anni fa, che questi oggetti li avevano in qualche modo utilizzati, e quelle di altri uomini che, tre millenni dopo, li hanno recuperati contaminandoli con cose personali che loro, in realtà, non intendevano certo collezionare. Mi riferisco a scatole di fiammiferi, pagine di giornale utilizzare per avvolgere degli oggetti e ad altre cose simili. Tutti elementi che, in qualche modo, diventano anch’essi oggetto di collezionismo perché oggi quella cassetta vive di diverse storie che si sovrappongono, e questo è un elemento temporale che mi affascina moltissimo. Nella cassetta puoi vedere veramente tante vite sovrapposte».

Luigi Spina, The Buchner’s Boxes n. 31. ©luigispina
Luigi Spina, The Buchner’s Boxes n. 31. ©luigispina

N.M.: Come se fossero  delle moderne capsule del tempo…

L.S.: «Sì, infatti ho chiamato questo lavoro “il tempo in una scatola”, concetto che nell’arte contemporanea, peraltro, si ritrova più volte, penso alle  time box di Andy Warhol ma quella, in realtà, è l’azione dell’artista. Io mi sono trovato di fronte agli effetti del “caso”: queste cassette sono un risultato scientifico ma  diventano un oggetto di arte contemporanea attraverso un modo incosciente, attraverso l’azione di tanta gente, che si è stratificata. E la cosa interessante è che se guardi le immagini da lontano noti  gli aspetti più decorativi ma se tu ti avvicini, e ti addentri tra gli oggetti, inizi a vedere veramente un mondo di cose e di nuove relazioni. E questo è molto da collezionisti».

N.M. Diventa quasi un reportage su una performance artistica che dura da secoli…

L.S.: «Infatti, e questa cosa, in qualche modo, è sconvolgente:  un’azione casuale che però genera qualcosa che ha un significato enorme».

© Riproduzione riservata

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.
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