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Il fantasma di Tito

del

Dopo un’edizione marsigliese minata nelle fondamenta dell’epidemia da SARS-CoV2, Manifesta, la Biennale Nomade Europea si è ripresentata in Kosovo memore dei fasti del 2018 a Palermo, di quella che ha dire di molti era stata la più riuscita dall’esordio nel 1994.

La sfida da raccogliere per gli organizzatori non era dunque delle più facili ma, facendo leva sull’entusiasmo di uno dei popoli anagraficamente più giovani al mondo, ha portato ad un risultato di enorme valore culturale. Manifesta non solo ha spinto stormi di taxisti a conoscere vie e luoghi ad oggi anche a loro sconosciuti ma ha portato, o meglio costretto, un ‘intera generazione di ragazzi, di futuri adulti a confrontarsi con il loro passato. 

Non solo quello più recente messo in mostra al National Museum of Kosovo che vede permanentemente esposte al pari di opere d’arte, armi e divise militari della battaglia per l’indipendenza combattuta tra il 1998 e il 1999 al fianco di reperti paleolitici e a monete bizantine, ma anche con monumenti/memoriali del passato socialista che seppur oramai in disuso e/o in parte abbandonati e/o riconvertiti sono lì a testimonianza di una storia con la quale ci si deve inevitabilmente prima o poi affrontare.

Forse è proprio questo il merito maggiore di Manifesta 14 a Pristina, far entrare per la prima volta i giovani in quello che è stata la sede principale della manifestazione ma che da anni giaceva immobile, quasi sospeso nel tempo al centro della città, ignorato da tutti quasi a esorcizzarne i ricordi di un passato che però è impossibile cancellare.

Parlo del Grand Hotel di Pristina. Un tempo fiore all’occhiello del regime e sede imprescindibile per le visite ufficiali di politici e ospiti autorevoli che volevano o dovevano soggiornare in Kosovo ai tempi della Federazione Jugoslava e poi sede di crimini efferati e torture di prigionieri politici o oppositori del regime, o almeno così si narra tra i pristinesi durante la Guerra del Kosovo.

Entrare oggi in quelle stanze, inquietanti, quasi da film horror quelle del piano -1 dove è ospitata Off Season Collective, o in quelle sventrate dai lavori di ristrutturazione mai terminati per il fallimento delle ditte che avrebbero dovuto nel dopo guerra del Kosovo riportarlo a nuova vita, è un’emozione unica.

Marta Popivoda, “Yugoslavia, How Ideology Moved Our Collective Body” (foto Roberto Brunelli)

E’ bello visitare le poche stanze ancora arredate o osservare il negozio di scarpe sul retro dell’Hotel chiuso da decenni con tutta la merce ancora esposta che testimoniano come l’architettura brutalista jugoslava non avesse trovato il proprio splendore solo nella costruzione di palazzi e memoriali ma anche in oggetto di design come lampade e lampadari in un paese che si era mantenuto, o meglio dichiarato neutrale e non allineato a quella che all’epoca era l’URSS ed il patto di Varsavia tenendo un ruolo ambiguo tra oriente e occidente e rimanendo una delle poche porte aperte tra i due blocchi contrapposti.

In tutte le sedi espositive assegnateli gli stessi Artisti non hanno potuto esimersi dal confrontarsi con quegli spazi austeri nella progettazione delle opere che risentono e sono fortemente influenzati da quella pesante eredità.

Lavori che non cadono mai nella retorica e nella ricerca del facile consenso. E’ tranquillizzante vedere come oggigiorno i giovani kosovari guardano le immagini di Tito e Milošević in quello che è “Yugoslavia, How Ideology Moved Our Collective Body” del 2013 di Marta Popivoda, uno dei video più belli della rassegna, a testimonianza di come i loro padri, che quella guerra l’hanno vissuta e in molti casi combattuta, al loro ritorno a casa vinta la battaglia per l’indipendenza del Kosovo, abbiano preferito crescere i loro figli non nell’odio e nella sete di vendetta per i tanti crimini commessi dal nemico, ma riprendendo la cultura di integrazione multietnica che questa terra storicamente ha sempre avuto e che in questo 2022 ha dimostrato al mondo, seppur la manifestazione chiude il 30 ottobre Pristina e i suoi Hotel e le sue vie sono ancora letteralmente strapiene di turisti provenienti da ogni parte del globo, di continuare o aver ripreso ad avere.

Di seguito, alcune immagini delle opere e dei vari artisti in mostra che mi piacerebbe segnalare.

All’interno del Grand Hotel:

Al di fuori dalla sede principale mi piace ricordare tra le varie sedi espositive:

Finisce qui il mio tour di quattro giorni a Pristina città che sinceramente non avrei mai scoperto se non fosse stato per la Biennale con l’augurio ai tanti, tantissimi giovani incontrati, tutti estremamente gentili e disponibili con i turisti/visitatori che sappiano un domani continuare ad essere ambasciatori di pace dentro e fuori il loro paese.

BUONANOTTE PRISTINA.

Roberto Brunelli
Roberto Brunelli
Forlivese, classe 1972, autore, critico d'arte e curatore di mostre, Roberto Brunelli è annoverato tra i massimi esperti della generazione anni ‘60 italiana ai quali ha dedicato “Anninovanta 1990-2015. Un percorso nell'arte italiana”. È inoltre coautore di “Investire in arte e collezionismo” e di “Chi colora Nanù?". Nel 2011 è stato tra i promotori di ShTArt - Manifesto del collezionismo 2.0 e della omonima mostra tenutasi a Milano.

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