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Il libro della memoria di Louise Bourgeois

del

Louise Bourgeois (25 dicembre 1911 – 31 maggio 2010) è un’artista di origine francese. La sua famiglia possedeva una piccola azienda di restauro di arazzi nei pressi di Parigi, e la giovane Louise passava il suo tempo circondata da trame, tessuti e disegni. In questo ambiente ha compiuto i suoi primi passi, dando una mano nel realizzare bozzetti e schizzi e sviluppando una dimestichezza nel maneggiare i materiali che sarebbero riemersi anche negli anni successivi.

Dopo alcuni anni di studio della matematica, decide di dedicarsi all’arte. Segue i corsi dell’Ecole du Louvre e frequenta gli studi degli artisti, fra cui Fernand Leger del quale per un breve periodo fu un’allieva. Nel 1938 conosce e sposa lo studioso di arte contemporanea Robert Goldwater e insieme si trasferiscono a New York, dove vivrà per il resto della sua vita. La sua carriera di artista non è scissa dal ruolo di moglie dell’upper class e madre di tre figli, ma viene lasciata nell’ombra per molto tempo.

Oltre a poche mostre personali in alcune gallerie newyorkesi fra gli anni ‘40 e i ‘50, nelle quali espone principalmente delle sculture, resta ignota al grande pubblico fino alla retrospettiva organizzata dal MoMA su di lei nel 1982. Proprio Alfred H. Barr Jr., primo direttore del museo, aveva acquistato una sua scultura per le collezione permanente già nel 1951. Seguiranno il rappresentare gli Stati Uniti alla Biennale di Venezia nel 1993 e la mostra nel 2000 presso la Tate Modern Gallery dove presenta Maman, la sua opera iconica per la quale viene oggi principalmente ricordata.

Louise Bourgeois, Maman, 1999. Bronze, marble and stainless steel 927 x 891 x 1023 cm. Vista dell'installazione davanti al Museo Guggenheim di Bilbao.
Louise Bourgeois, Maman, 1999. Bronze, marble and stainless steel 927 x 891 x 1023 cm. Vista dell’installazione davanti al Museo Guggenheim di Bilbao.

Stabilire anche solo delle somiglianze con le correnti artistiche della sua epoca è una sfida persa in partenza. Inizialmente entrò in contatto con gli artisti surrealisti negli anni ‘40, quelli che a causa della guerra cercarono rifugio negli Stati Uniti e trovarono a New York un ambiente molto recettivo per le teorie artistiche europee. I suoi legami con il movimento saranno sempre molto labili e lasciarono un segno appena percettibile nelle sue opere successive. In questo periodo si dedica principalmente alla scultura, realizzando delle esili figure che chiama Persone, o Personaggi, con qualche tratto in comune con le forme slanciate di Costantin Brancusi, o con la malinconica solitudine delle sculture di Alberto Giacometti.

Louise Bourgeois pone la propria attenzione sull’artista stesso, sul soggetto che compie l’atto creatore, il quale viene indagato attraverso una continua analisi della propria memoria. L’infanzia è il bacino inesauribile da cui attingere desideri, paure, immagini e simbologie, per poi snodarsi nella maturità, le cui pietre miliari sono: la morte della madre, il rapporto di amore-odio con il padre, il ruolo di moglie e madre, la sessualità.

Una vista della personale di Louise Bourgeois al MoMA di New York nel 1982.
Una vista della personale di Louise Bourgeois al MoMA di New York nel 1982 con i suoi Personaggi.

Nelle sue opere, siano sculture, disegni o installazioni, non troviamo mai un riferimento alla natura, né a uno specifico ambito culturale, non attinge da fonti esterne. L’unica fonte è lei stessa, in un processo continuamente autoreferenziale. Come si legge in uno dei suoi scritti più celebri, Distruzione del padre-ricostruzione del padre: «Mi chiamo Louise Joséphine Bourgeois. Sono nata il 25 dicembre 1911 a Parigi. Tutto il mio lavoro dei passati cinquanta anni, tutti i miei soggetti, trovano la loro fonte nella mia infanzia. La mia infanzia non ha mai perduto la sua magia. Non ha mai perduto il suo mistero né il suo dramma.»

Non a caso uno dei pochi ambiti artistici a cui potrebbe essere affine è proprio quello che non ha confini, definizioni né scopi. Un ambito a cui manca persino il nome, essendo di volta in volta definita outsider art, art brut, arte terapiaUn carattere comune a queste tendenze potrebbe essere il porsi al di fuori e al di là degli accademismi, solitamente facendo ricorso a una varietà di tecniche considerate minori.

Tre tavole tratte dal libro di Louise Bourgeois, Ode à ma mère (1995). Courtesy: Phillips.
Tre tavole tratte dal libro di Louise Bourgeois, Ode à ma mère (1995). Courtesy: Phillips.

Se Louise Bourgeois è diventata famosa come scultrice, è nei disegni che si dispiega davanti ai nostri occhi il multiforme, labirintico, a volte morboso libro della sua memoria, un diario intimo che continuerà a scrivere e ri-scrivere fino alla fine. Ciò che resta costante è il richiamo a dei temi che da personali, arrivano al collettivo fino all’universale.

Nel 1995 pubblica Ode a mia madre. Un libro dove inserisce testi scritti e tavole, fra le qual ci sono 9 disegni di ragni. Nel quale motiva anche le ragioni per le quali la madre è simile al ragno, attribuendo all’animale delle qualità umane e prettamente femminili, come pazienza, pulizia, rigore. In quest’opera appare anche una frase emblematica:

 

Je ne me fatiguerai jamais de la représenter.  

I want to: eat, sleep, argue, hurt, destroy

– Why do you?

– My reasons belong exclusively to me.

Le traitement de la Peur.

—                          

Non mi stancherò mai di rappresentarla

Voglio: mangiare, dormire, dibattere, colpire, distruggere

– Perché?

– Le mie ragioni appartengono solo a me.

Il trattamento della Paura.

 

Fra la lingua madre, il francese, e quella della maturità, l’inglese, Bourgeois intreccia un dialogo con sé nel tentativo di spiegare se stessa e le sue opere. Emerge, da lato, un disegno, uno scarabocchio, estremamente semplice e dall’aspetto quasi infantile. Dei movimenti circolari, oppure spiralici, di polso, danno vita al corpo e alla testa del ragno. 8 tratti bastano per rappresentare le gambe.

Un modo di disegnare che la avvicina all’ambito surrealista nel quale si sviluppa il disegno automatico, basato sul disegnare fine a se stesso, senza progetto nè scopo. Ma c’è anche un’enorme differenza: se Joan Mirò dichiarava di dipingere (e, per estensione, disegnare) cercando di perdere la sua identità contingente, Louise Bourgeois non trova mai la strada per uscire al di fuori di sé e al contrario si inabissa sempre più profondamente fra i meandri della sua memoria.

Una pagine del libro "Il trauma dell’abbandono" realizzato da Louise Bourgeois nel 2001.
Una pagine del libro “Il trauma dell’abbandono” realizzato da Louise Bourgeois nel 2001.

Pochi anni dopo, nel 2001, realizza invece Il trauma dell’abbandono, un libro in cui raccoglie varie fotografie in cui compare suo padre come soldato nella prima guerra mondiale, oppure lei bambina con i suoi genitori e altri membri della famiglia. Per ognuno di loro cerchia in rosso la mano della madre e del padre e su ogni pagina ricama con un filo dello stesso colore delle frasi che esprimono una paura cieca, delle preghiere per non essere abbandonati che potrebbe aver pronunciato un bambino: «Non lasciarmi sola, per favore» «Lui mi ha abbandonato» fino alla conclusione consapevole con «Il trauma dell’abbandono è cominciato quando mio padre è stato arruolato nella Prima Guerra Mondiale ed è rimasto in servizio fino alla fine».  Scrivere è un atto regolarizzatore, costringe a trasformare il flusso di coscienza in un susseguirsi di parole che abbiano un senso: danno ordine al caos del trauma.

Concludiamo questa breve selezione, che non rende l’idea della mole della sua produzione, con Ode all’oblio, un libro illustrato realizzato in tessuto nel 2002. Rimasto inedito in un unico esemplare, nel 2004 viene riprodotto dall’artista in una serie di 25 pezzi. Le pagine sono tovaglioli di lino del suo corredo nuziale, con ancora impresse le iniziali del suo nome da donna sposata: LBG. Composto da collage di pezzi di stoffa che provengono dagli abiti del suo armadio o materiale per la casa riciclato, si compone di disegni di forme organiche e astratte che ricordano degli organismi unicellulari, torri e griglie, spirali, soli e curve simili a strati geologici.

Le pagine del libro di Ode all'Oblio (2002) di Louise Bourgeois esposte al MoMA di New York in occasione della mostra "Louise Bourgeois: An Unfolding Portrait" del 2017.
Le pagine del libro di Ode all’Oblio (2002) di Louise Bourgeois esposte al MoMA di New York in occasione della mostra “Louise Bourgeois: An Unfolding Portrait” del 2017.

Scarabocchi e disegni che dispiegano un alfabeto di forme che si ritrovano anche in alcune sculture, come le “torri di tessuto” costruite con forme di mattoni ricoperti di tessuto damascato, del genere usato per tappezzerie e arredamenti. Non ci sono parole in questo libro, l’oblio avvolge anche l’identità di molti tessuti dei quali non si riconosce più la funzione né se ne attribuisce una nuova. In questo caso l’oblio sarebbe una liberazione.

Nella selezione proposta Louise Bourgeois usa un filo che, come la linea, traccia un discorso che porta alla luce gli aspetti reconditi della sua vita. Allo stesso tempo, sono proprio questi gesti quotidiani e ripetitivi, fatti e disfatti, che inchiodano la moderna Penelope a ripercorrere ogni giorni gli stessi tracciati, anzi stringono i nodi ancora più forte. Anche il ragno continua a tessere e riparare le sue tele in un tempo ciclico e folle. O forse è un filo di sutura, per rimarginare delle ferite che stentano a cicatrizzarsi.

Questa memoria individuale che, per natura, non potrà mai essere completamente esaurita in una immagine o in una parola, si fa collettiva quando attinge al mito. Quando l’artista si fa Aracne, Penelope, o Arianna che non trova l’uscita dal labirinto. In questi casi l’opera d’arte non è più solo una terapia individuale e soggettiva, ma si mette in rapporto con una storia e una cultura comune e il soggetto, Louise Bourgeois, si fa simbolo in cui potersi specchiare.

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