Il mercato dell’arte in Italia rappresenta oggi circa l’1% di quello mondiale ed è caratterizzato da molti scambi sommersi e da una scarsa capacità attrattiva nei confronti dei nuovi investitori-collezionisti. Una debolezza cronica che ha radici “antiche” e per capire la quale non possiamo che far riferimento agli unici due studi più approfonditi che sono stati dedicati all’argomento: il già citato Sistema dell’arte contemporanea di Francesco Poli e I mutamenti del mercato e le ricerche degli artisti di Maria Mimita Lamberti pubblicato, quest’ultimo, all’interno del settimo volume della Storia dell’arte italiana di Einaudi.
A differenza di quanto abbiamo visto in Francia, nell’Ottocento l’Italia è caratterizzata da una sostanziale mancanza di strutture commerciali adeguate a valorizzare la produzione artistica nazionale. Una situazione che rendeva particolarmente difficile, per i nostri artisti, imporsi sul mercato internazionale senza partecipare alle grandi esposizioni estere. In primo luogo i Salon parigini. Nel nostro paese, infatti, si dovrà attendere la fine del Secolo per veder nascere importanti eventi di livello internazionale come le Triennali di Milano (1891) e di Torino (1896) o la Biennale di Venezia (1895). E la situazione non era migliore sul fronte delle Gallerie.
La principale galleria ottocentesca è quella aperta a Firenze da Luigi Pisani nel 1870 che, però, come modello riprendeva quello “accademico” di Groupil e non quello progressista di Durand Ruel. D’altronde, in Italia, fino agli anni Novanta dell’800 e la nascita del Divisionismo è difficile anche parlare di un’arte realmente moderna. Non è un caso che gli albori del mercato italiano di arte contemporanea si leghino proprio a questo movimento milanese e, in particolare, ai fratelli Vittore e Alberto Grubicy: il primo, critico valente, che sostiene, già dal 1880, Giovanni Segantini; il secondo che, con la sua galleria, ricopre un ruolo simile a quello svolto per gli Impressionisti da Paul Durand Ruel a cui, peraltro, si rifà esplicitamente nell’impostazione della sua attività organizzando mostre periodiche del gruppo e curando i rapporti con la critica e i media che, allora, iniziavano a nascere. Primo fra tutti Emporium, rivista nata nel 1895 e diretta, dal 1900, da Vittorio Pica, sostenitore dell’Impressionismo fin dalla prima ora.
Nello stesso anno in cui nasce Emporium inizia anche la storia della Biennale di Venezia che, al di là di ogni polemica, rimane ancora oggi il principale evento internazionale dedicato all’arte che abbia sede nel nostro paese. Finalmente anche l’Italia ha una rassegna periodica che metta a confronto il mondo artistico italiano che le correnti più aggiornate del panorama internazionale favorendo, di riflesso, anche lo sviluppo del mercato.
Un’altra tappa importante nello sviluppo artistico-mercantile del nostro paese è rappresentata dall’esposizione internazionale della Secessione romana che dal 1913 al 1916 portano in Italia le opere di artisti come Cézanne, Matisse, Klimt e Schiele.
Nel frattempo, con la pubblicazione del celebre Manifesto, nel 1909 nasce il Futurismo. Il movimento guidato da Marinetti è il primo che in Italia possa dirsi realmente d’avanguardia. Il debutto dei pittori futuristi avviene nel 1912 con una mostra presso l’importante Galerie Bernheim Jeune a cui seguono esposizioni a Londra, Berlino e in altre importanti città europee. Un’operazione, quella marinettiana, che ha un grande successo culturale a cui, però, non corrisponde un risultato equivalente dal punto di vista economico.
Nel 1913 il gruppo espone per la prima volta in Italia nel Ridotto del Teatro Costanzi, poi a Firenze presso la Libreria Gonnelli e a Roma nella giovane Galleria Sprovieri che diventerà il punto di riferimento del Futurismo: è qui che nel 1914 viene allestita la prima Esposizione libera futurista internazionale.
Il mercato dell’arte contemporanea comincia a prendere forma, in particolare negli anni tra le due Guerre Mondiali, anche se la rete delle gallerie italiane difficilmente si estende oltre i confini nazionali. Non è un caso, infatti, che la maggior parte degli scambi di opere d’arte avvengano in occasione delle mostre ufficiali come quelle organizzate dal movimento di Margherita Sarfatti: Novecento.
Con gli anni Trenta, alla Biennale di Venezia, che rimane comunque il principale evento artistico del Paese, si affianca la Quadriennale di Roma (1931) che si propone come la più importante rassegna dedicata all’arte contemporanea italiana. Nel frattempo, molti artisti iniziano a trasferirsi a Parigi in cerca di maggior fortuna. Tra questi i fratelli De Chirico.
Milano e Roma sono le capitali italiane del mercato dell’arte contemporanea. A Milano brillano la Galleria Pesaro e la Galleria Milano entrambe legate a Novecento. E sempre nel capoluogo lombardo vedono la luce le prime gallerie d’avanguardia: la Galleria del Milione – punto di riferimento per l’astrattismo italiano – e la Galleria della Spiga, legata a Corrente.
A Roma, invece, sono la Galleria di Roma – dove espongono, tra gli altri, i Sei di Torino, Otto Dix e Kokoschka – e la Galleria della Cometa a tenere il campo tra gli anni Trenta e il dopoguerra. Quest’ultima, peraltro, aperta dalla contessa Letizia Pecci Blunt nel 1937 aprirà una succursale a New York.
Lo Stato e i Comuni sono sempre i principali “clienti” del mercato dell’arte ma un ruolo importante è svolto anche da grandi collezionisti come: Juncker, Kesi, Accame o Mastrangelo. Ma è con il secondo dopoguerra che il mercato italiano, dopo la fase nazionalista del fascismo, si apre all’arte internazionale. Dagli anni Cinquanta, con la stagione dell’Informale, a Milano, Torino e Roma sono sempre di più le gallerie che si occupano di arte contemporanea. Una crescita che prosegue nei due decenni successivi e caratterizzata da un network di gallerie strettamente collegato con il sistema internazionale dell’arte d’avanguardia. Ciononostante il sistema italiano rimane ancora debole rispetto ad altri contesti e questo, in primo luogo, per la mancanza di musei di arte contemporanea, fatta eccezione per le Gallerie di Arte Moderna di Roma e Torino. Si dovranno attendere, d’altronde, gli anni Ottanta con la nascita del Museo d’Arte Contemporanea nel Castello di Rivoli (1984) – per lungo tempo il più importante del Paese -, il MART di Rovereto (1987), e del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato (1988) a cui seguiranno tutti gli altri fino al MADRE di Napoli (2005) e al MAXXI di Roma, inaugurato nel 2010.
Risale, invece, agli anni Settanta la nascita in Italia delle prime fiere d’arte moderna e contemporanea: nel 1974, subito dopo le fiere internazionali di Colonia e Basilea, nasce Arte Fiera che si svolge ogni anno a Bologna nel mese di gennaio e che dal 2005 ha preso il nome di Arte Fiera Art First. Negli stessi anni, inoltre, aprono nel nostro paese le sedi delle due principali case d’asta internazionale: Sotheby’s e Christie’s che fanno crescere un panorama nazionale fatto, principalmente, di piccole e medie realtà.
Un’asta nella sede milanese di Christie’sNonostante questa evoluzione e il successo dell’arte italiana nelle aste internazionali di Londra, il mercato dell’arte contemporanea in Italia, fotografato ogni anno dal Rapporto Nomisma, rimane una realtà provinciale e poco internazionalizzata che vale circa 600 milioni di euro. Un dato comunque impreciso che non riesce, però, a fotografare un mondo fatto, tanto per cambiare, di scambi sommersi. Ma di questo parleremo in futuro.