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Il mistero del quadro scomparso e il sottosegretario: una storia di arte, intrighi e politica

del

Gli scrittori più bravi sono quelli che riescono a rendere la finzione migliore della realtà, a confortare, cioè, il lettore che può così estraniarsi dai propri problemi concentrandosi su quelli della trama. Georges Simenon era un grande scrittore per questo, e le storie di Maigret tengono incollati alle pagine perché raccontano di una vita più vitale, per quanto oscura, di quella che un po’ a tutti tocca vivere ogni giorno.

A volte, però, la realtà risulta più avvincente della letteratura. La storia del sottosegretario S, del quadro scomparso da un castello del Piemonte una decina di anni fa e poi, secondo un’inchiesta giornalistica di questi giorni, ricomparso nella sua collezione privata, ha i numeri per superare il miglior romanzo giallo.

Riassumiamo in breve la trama del delitto per come l’inchiesta l’ha ricostruita. Nel lontano 2013, la proprietaria del suddetto castello del Piemonte denuncia presso la locale caserma dei carabinieri il furto di un’opera d’arte attribuita al pittore seicentesco Rutilio Manetti e raffigurante la cattura di San Pietro.

Non un semplice furto, ma un furto con tentativo di occultamento, perché al posto della tela originale – evidentemente staccata dal telaio incidendo con un taglierino lungo i bordi – i ladri avrebbero applicato una stampa fotografica di alta qualità. Dettaglio, questo, piuttosto singolare: solo un cieco o uno stolto potrebbero scambiare una stampa fotografica su un tessuto di plastica con una tela dipinta. E, infatti, la proprietaria se ne accorge subito e denuncia.

Nella testimonianza depositata davanti all’appuntato, la proprietaria non si limita a denunciare il furto, ma aggiunge il nome di una persona molto vicina al sottosegretario S, che, in visita presso il castello, avrebbe mostrato particolare interesse per il prezzo della tela poi scomparsa. Un interesse che si direbbe alquanto sospetto.

Alla denuncia consegue la creazione di una scheda riguardante il dipinto scomparso nei sistemi informatici del Nucleo carabinieri per la tutela dei beni culturali e, perfino, in quelli dell’Interpol.

Passano otto anni e, in quel di Lucca, viene organizzata una mostra sui pittori caravaggeschi, curata non da uno qualunque ma proprio dal sottosegretario S. Tra gli illustri discepoli del Caravaggio, presente anche il nostro Rutilio Manetti, con una tela raffigurante proprio una cattura di San Pietro presentata come proprietà niente meno che dello stesso curatore. Che caso!, si direbbe.

Nel catalogo si legge che tale tela sarebbe stata ritrovata in una villa laziale entrata qualche anno prima tra le proprietà della famiglia del sottosegretario S, ripiegata e infilata tra mattoni, infissi e arredi vari in un’intercapedine di una qualche scala.

L’opera – straordinaria scoperta riguardante un pittore piuttosto importante – sarebbe stata depositata per un certo periodo, proprio attorno al 2013, a far restaurare nello studio di un restauratore lombardo all’epoca molto vicino al sottosegretario S, il quale, insoddisfatto dell’intervento, l’avrebbe però ritirata e affidata a un altro tecnico.

Nell’inchiesta giornalistica, il restauratore lombardo manifesta alla telecamera i propri dubbi di allora riguardo l’effettiva proprietà dell’opera, ritenendo di aver senz’altro avuto tra le mani la tela scomparsa dal castello piemontese, con tanto di evidenza dei tagli netti da lama lungo i bordi.

Certo è piuttosto evidente, confrontando la fotografia dell’opera rubata e quella dell’opera apparsa in mostra a Lucca, che siano la stessa immagine. Nel senso che il soggetto è il medesimo, la composizione pure. L’unica differenza visibile è la presenza, nell’opera appartenente al sottosegretario S, di una piccola lucerna in alto a sinistra, assente nella versione rubata. Questo significa che le due opere, in realtà, siano una? Assolutamente no, per quanto nell’inchiesta con facilità si dica assolutamente sì. Fosse così, saremmo già alla fine di un romanzo un po’ scadente.

Mi è capitato, negli ultimi giorni, che molti mi chiedessero “ma tu cosa ne pensi?”

Io non ne penso. Non ha senso esprimere giudizi sulle vicende di un romanzo ancora in lettura: meglio continuare a leggere e lasciarsi trasportare a largo dalle onde della narrazione. La trama è ancora troppo nel vivo per indicare già il colpevole. E poi, l’accusa è troppo grave per poter puntare il dito a cuor leggero e gridare al ladro.

Il sottosegretario è una persona pubblica decisamente in vista. Critico d’arte, politico, personaggio televisivo, uomo per tutte le stagioni, che piace a molti e dispiace a tanti, sicuramente abbastanza unico da poter rientrare in un’appendice ai bellissimi ritratti italiani di Alberto Arbasino, se solo Arbasino non fosse morto e potesse scrivere ancora.

In un articolo di qualche giorno fa, il sottosegretario S si difendeva con la penna aggiungendo una serie di dettagli interessanti che l’inchiesta avrebbe a suo dire omesso. Innanzitutto, il dipinto nelle sue proprietà sarebbe più piccolo di trenta centimetri circa rispetto a quello rubato. Se fossero lo stesso ne conseguirebbe che, ancora attaccato al telaio del dipinto scomparso, dovrebbe esserci un perimetro di tela di qualche centimetro di larghezza, che invece non è presente. Certo, questo avanzo potrebbe essere stato tagliato ed eliminato in qualunque momento, ma tant’è.

Più rilevante, secondo me, è l’affermazione che le analisi diagnostiche eseguite a lampada di Wood e con analisi di campioni di colore, diano testimonianza che la porzione di dipinto con la lucerna – che dovrebbe risultare un’aggiunta posticcia fatta proprio per mascherare in qualche modo l’identità del quadro – in realtà sia originale e contemporanea al resto dell’opera. Una spiegazione di per sé assolutamente sensata che saranno analisi terze a verificare come vere o false.

In sostanza, il sottosegretario S sostiene che il suo dipinto e quello rubato siano uno la replica dell’altro. Meglio, che il suo sia l’originale e quello rubato una replica, secondo lui addirittura ottocentesca.

A che pro tutto ciò? Dio solo lo sa. L’inchiesta giornalistica suggerisce sostanzialmente che il sottosegretario avrebbe comprato un dipinto rubato se non proprio commissionato il furto.

Il sottosegretario ipotizza nel suo articolo una sorta di complotto per colpirlo politicamente, messo in piedi da chi ha condotto l’inchiesta, con la complicità, in qualche misura, del restauratore e di un fotografo emiliano che nei suoi confronti avrebbe dell’astio dovuto ad altri lavori andati male e che ci viene da pensare, a questo punto, essere l’autore della stampa ad alta definizione finita nel castello della povera proprietaria, che è quella che in questa storia per ora ha perso di più…salvo straordinari colpi di scena.

Vedremo come evolverà la faccenda, speriamo nel senso della verità. Per ora, a noi lettori è offerta la lettura di un bel giallo, con tanto di intrigo quasi internazionale. Da qualche parte ho scovato una citazione del regista spagnolo Pedro Almodovar secondo cui non esisterebbero buoni o cattivi, ma solo cattivi e peggiori. Del resto, Almodovar è un grande appassionato di romanzi gialli.

Francesco Niboli
Francesco Niboli
Restauratore di dipinti antichi e contemporanei, ha intrapreso un percorso di approfondimento del design grafico e dell’arte del ‘900 italiano collaborando con Fondazione Cirulli di Bologna. Ha partecipato alla scrittura del libro "Milano, la città che disegna", catalogo del neonato Circuito lombardo Musei Design. Attualmente collabora come grafico con la casa editrice indipendente Sartoria Utopia.

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