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Il murale, un’ opera pubblica a cielo aperto

del

Abbiamo incontrato l’artista Andrea Chiesi in occasione della realizzazione dell’enorme murale che sta dipingendo a Modena sulla parete della nuova palestra Sigonio nell’area rigenerata dell’ex Amcm.

10.Quis non quid 2020 inchiostro su carta cm 100×140

Roberto Brunelli: Com’è nata l’idea di quest’opera pubblica e perché hai scelto questo soggetto?

Andrea Chiesi: L’idea è nata grazie alla sensibilità dell’Assessore alla Cultura del Comune di Modena, Andrea Bortolamasi, e una collaborazione precedente con un importante muralista, Simone Ferrarini del Collettivo FX che in questo caso mi ha fatto da assistente, insieme alla curatela del catalogo da parte di Elia Mazzotti. È una sfida notevole tradurre la mia pittura, che si è sempre espressa ad olio su tela o ad inchiostro su carta su formati canonici, in un murales di quasi 300 metri quadrati, e gestire una scala così grande, sia in termini tecnici che di sforzo fisico e mentale. Volevo realizzare per la prima volta un’opera pubblica e sperimentare un nuovo modo pittorico. Il soggetto, un grande albero monumentale, riprende l’opera principale della personale che ho allestito in città alle Sale di Cultura del San Paolo, un paio di anni fa.

R. B.: Parlando di murale mi tornano alla mente quelli che un esule cileno dipinse, insieme a degli studenti forlivesi, nel 1974 sui muri della mia città. Quei murale con la storia che raccontavano, furono da stimolo negli anni a venire a indurre le future generazioni di giovani a conoscere una storia che altrimenti non avrebbe mai sentito raccontare. Che cosa resterà alle future generazioni di questo tuo messaggio.

A. C.: I dipinti murali sono affascinanti perché sono opere pubbliche all’aperto, non si trovano al chiuso in collezioni private o nei musei, e sono sotto gli occhi di tutti i passanti. Hanno un legame indissolubile con la parete che li accoglie e naturalmente raccontano un preciso momento storico e politico. Credo che possano dialogare con chi ha la sensibilità di osservarli e capirli, al di là dell’aspetto formale e scenografico.

Taccuino l’albero di pipal 2020 pag126-127

R. B.: Perché hai preferito un paesaggio naturale rispetto a una delle architetture industriali che ti ha imposto all’attenzione del grande pubblico come una firma autorevole dell’arte contemporanea italiana.

A. C.: Da alcuni anni sto lavorando anche su soggetti dedicati alla natura: dai luoghi lasciati dall’uomo, alla natura intesa come metafora della condizione umana, ai concetti di impermanenza e vacuità, al processo universale di causa-effetto, che ho denominato Natura Vincit. Ho anche pensato che sarebbe stato ridondante realizzare un’architettura dipinta sopra un’architettura reale, che ci sia un gran bisogno di alberi, veri e dipinti, e che un soggetto di questo tipo avrebbe potuto sviluppare una riflessione sul rapporto tra natura e città.

R. B.: Architetture urbane che ti hanno tra l’altro portato a vincere nel 2004 la quinta edizione del Premio Arte. Che esperienza ti porti dietro da quella vittoria, hai qualche aneddoto da raccontarci.

A. C.: Ho un bel ricordo, anche perché non me lo aspettavo; infatti, sul palco ero impreparato e praticamente non ho detto nulla. Il dipinto è tra quelli che preferisco, ispirato alle ex acciaierie di Sesto San Giovanni, un luogo iconico per la cultura industriale del nostro Paese.

R. B.: Restando al Premio Cairo, che ha visto negli anni tra i vincitori degli ottimi artisti del panorama artistico nazionale, perché non è incisivo, come ci si aspetterebbe da quello che è da anni il più importante premio artistico italiano, per la carriera artistica dell’artista.

A. C.: Per me è stato un momento importante del mio percorso artistico, che ha dato un contributo notevole alla mia maturazione, ma come tutti i premi, ogni anno c’è un vincitore nuovo; quindi, spetta a te giocare bene le carte.

R. B.: Ci si potrebbe collegare quindi alla proposta che porto avanti dal 2015 di riportare il Padiglione Italia alla biennale di Venezia ai Giardini così da dare la meritata visibilità alla nostra Nazione e agli Artisti. Biennale che è giusto ricordare, ti ha visto protagonista nel 2011 con la partecipazione al Padiglione Italia: Emilia-Romagna. La proposta ti trova d’accordo?

A. C.: Credo sia giusto, gli artisti italiani meriterebbero più attenzione da parte delle istituzioni.

R. B.: Parliamo ora delle tue opere in cui vedo una delicatezza e, permettimelo, una sensibilità che deve rappresentare un’estrema dolcezza e delicatezza che non possono far parte della tua personalità e che immagino si possa trovare nell’uomo Andrea Chiesi che hanno la fortuna di conoscere gli amici. Ti ritrovi in questa descrizione.

A. C.: Sì è una descrizione che mi piace molto e di cui ti ringrazio. Ogni disegno, ogni dipinto, è un nostro riflesso, una specie di autoritratto in forma di opera, che svela qualcosa di profondo di noi, che non può essere detta o descritta a parole, ma che si manifesta nel segno e nel colore. La pittura porta alla luce quello che è celato in ognuno di noi.

R. B.: Nella tua pluridecennale carriera artistica ti sei trovato a disegnare diverse copertine di dischi, che cosa ci puoi raccontare di quell’esperienza e soprattutto pensi che per una casa editrice possa essere un valore aggiunto pubblicare copertine con rappresentate opere di artisti di valore in tema con la trama. Può essere un valore aggiunto per autore, editore e artista.

A. C.: Mi piacciono le collaborazioni, e avere un’opera pittorica pubblicata sulla copertina di un disco o di un libro credo sia un valore aggiunto per tutti. L’opera, in questo modo, ha una fruizione diversa, e può arrivare ad un pubblico nuovo rispetto quello ristretto dell’arte contemporanea.

R. B.: Torniamo per un attimo al Premio Cairo e alla copertina che Arte ti dedicò a gennaio 2005 in cui è stato scelto di proporti in un atteggiamento, direi aggressivo, davanti alla tua opera. Perché avete scelto quella posa, forse oggi ne faresti una diversa.

A.C.: Durante il servizio fotografico pensai di fare qualcosa di diverso rispetto alle classiche pose dei ritratti fotografici, così mi misi a saltare; alla fine la rivista scelse quello scatto decisamente originale. Mi rappresentava in quel momento, ma oggi sarebbe diverso.

R. B.: Vorrei terminare chiedendoti della tua esperienza di docente di pittura, insegni alle Accademie di belle arti di Macerata e di Ravenna, raccontandoci quanto il docente possa effettivamente trasmettere al deiscente e di quanto, quest’ultimo possa dare al Professore, anche in merito al suo Lavoro artistico vero e proprio.

A. C.: Dall’anno scorso sono docente di ruolo di pittura e disegno all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, dopo le esperienze con le accademie che hai citato. È una esperienza molto bella, mi permette di trasmettere quello che ho raccolto in 30 anni di attività, mi arricchisce umanamente e artisticamente, mettendomi in contatto con le ricerche pittoriche delle nuove generazioni. In più vivo una sana alternanza tra il mio studio in campagna vicino a Modena, e la metropoli milanese.

R. B.: Grazie per il tempo che hai dedicato al sottoscritto e hai lettori di Collezione da Tiffany, spero di incontrarti presto in occasione dell’inaugurazione del murale a fine settembre 2023 o in una tua futura mostra personale.

A. C.: ti aspetto a Modena a fine settembre, e ci vediamo in ottobre alla Triennale di Milano per una grande mostra dedicata alla pittura italiana.

Roberto Brunelli
Roberto Brunelli
Roberto Brunelli è un collezionista forlivese, tra i più seguiti animatori del forum Finanza On Line della Brown Editore con il nickname di "investart". Ha iniziato ad avvicinarsi all’arte da bambino attraverso un’innata curiosità che lo ha guidato all’interno di una vera e propria educazione estetica, portandolo a contatto con opere realizzate da Guttuso come da De Chirico. Ha progressivamente assimilato questa passione che nel tempo è maturata in una sua collezione personale. E' autore del libro "ANNINOVANTA 1990-2015, Un percorso nell'arte italiana" edito da Gli Ori.
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