Autunno caldo per Luca Grechi (n. 1985) da mesi impegnato in un fitto calendario di mostre in tutta Italia che vedrà il suo momento clou nelle personale In-Finito, in programma dal 26 novembre prossimo alla Galleria La Linea di Montalcino. Una mostra importante, ci racconta in questa intervista, che nasce per fare il punto e tracciare le prospettive future di una ricerca artistica che, negli anni, si è sempre più ispirata dall’osservazione della natura, dai processi di trasformazione e di evoluzione delle cose, degli oggetti e degli elementi vegetali in relazione al trascorrere del tempo. Suggestioni che Grechi, con grande sensibilità, accoglie imprimendole nei suoi dipinti, su tela o su carta, sotto forma di timidi segni, tracce e macchie cromatiche, quale ricordo di abbozzi di piante e fiori che si dissolvono e riemergono nella lenta azione stratificante della pittura che non ha fretta di essere compiuta, ma viene lasciata decantare anche per lungo tempo, un tempo illimitato fin tanto che sopraggiunge quella pulsione interiore in grado di arrestare con lucida intenzione il naturale fluire del momento creativo.
Nicola Maggi: Il titolo che assieme a Davide Sarchioni avete scelto per la tua prossima personale, In-Finito, mette in luce un aspetto molto particolare della tua opera: la centralità del “non pienamente detto” in una figurazione, allo stesso tempo, precaria e poetica, in cui i soggetti sono colti in uno stato di sospensione…
Luca Grechi: «Le possibilità infinite scuotono il sentimento e il fatto di lasciare quella pausa, creando quasi un dovere di soffermarsi sull’opera d’arte, crea un’intimità tra lo spettatore (che è anche il creatore) e l’immagine, che mi attrae molto. Il titolo, scelto assieme a Davide Sarchioni, nasce da tutta una serie di riflessioni su questo aspetto del mio lavoro ed è stato molto interessante, oltre che costruttivo, trovare un termine che contenesse in sé la sintesi del mio linguaggio pittorico».
N.M.: Il tuo lavoro, peraltro, nasce da una contemplazione della bellezza semplice della natura così ben colto dal verso di Gozzano usato per una tua recente collettiva: Non amo che le rose che non colsi. Ci racconti come nascono le tue opere?
L. G.: «Quel titolo nasceva da un’ottima intuizione del curatore Saverio Verini e riassume molto bene il concetto che sta alla base del mio lavoro: accogliere le immagini, dare il modo e il giusto tempo alle cose, ascoltarle ed ascoltarsi. Nella “quiete” dello studio gli oggetti, gli stimoli, decantati nell’intimo, tornano come pensiero visivo, vivo e accompagnano la mia poetica. La stratificazione diventa velatura ed allo stesso tempo rivelazione. La concentrazione e quel “non so”, ingenuo impatto risolutivo nel momento della creazione, è un qualcosa di magico. Tutto nasce con la giusta “calma” e spesso mi capita di stare ore a cercare di vedere su cosa sto lavorando».
N.M.:La tua ricerca non si limita al medium pittorico, ma spazia anche tra installazioni e “oggetti” che, peraltro, mettono in evidenza anche una certa tua attenzione per l’uomo e le geometrie della razionalità. Come si collocano questi lavori nella tua produzione artistica?
L. G.: «Gli oggetti nascono come fossero elogi, lunghe attese visive, che per pulsione si chiamano, si assemblano, in un posto dedicato alle cose. Si crea così, in questa alchimia tra razionale e irrazionale, un ritmo, una posa, un peso. I sassi, il legno, il ferro, la carta o i libri presenti in questi “oggetti” sono l’incarnazione, la sintesi degli stimoli che nel tempo hanno contribuito alla creazione del mio contenuto pittorico e a cui ho cercato di dare un’altra vita».
N.M.: Una sensazione che si prova davanti alle tue opere pittoriche è spesso quella di sentirsi di passaggio. Ci dici qualcosa delle tue riflessioni e della tua visione del mondo e della vita?
L. G.: «Mi viene in mente il dipinto Passaggio giallo che credo sintetizzi molto bene questa sensazione di nascere-vivere-morire, ma dove il passaggio è vissuto con la ricchezza, l’onestà e l’umiltà del voler vedere realmente ciò che ci circonda. La creatività del mondo, la bellezza nascosta, le trasformazioni sociali, nel bene e nel male, sono tutti aspetti con cui dobbiamo rapportarci. Accogliere l’arte, il “fare” arte, oltre che un esigenza, è un modo per permetterci, per quanto mi è possibile, una visione che nasce solo se ci si può soffermare sulle cose in modo più “lento”. Raramente i miei dipinti sono immediati, per svelarsi hanno bisogno di attenzione e la “pausa”, il “soffermarsi”, è ciò su cui si basa proprio la mia poetica».
N.M.: Le piante, gli oggetti… l’uomo… nei tuoi ultimi lavori la figura umana è quasi sempre assente eppure la sua presenza è fortissima…
L. G.: «Da sempre mi piace nutrirmi con le immagini della pittura rinascimentale. E così anche quando lavoro con soggetti più o meno evidenti, ritorno sempre alla linea, al disegno, alla stratificazione e alla materia con cui in passato affrontavo la figura umana. La presentazione diventa un “insieme” dove un fiore parla di un uomo, un paesaggio dei suoi occhi e viceversa. E di conseguenza ogni riflessione sulla bellezza inevitabilmente rimanda all’essere umano, alle sue scelte. L’arte può sensibilizzare l’animo: un gesto si amplifica, un segno ha le sue pretese, e così la figura si astrae pur rimanendo tale, cambia l’identità e il contenuto di ciò che può essere».
N.M.: Recentemente ti sei cimentato anche in una sfida molto particolare. Quella lanciata da Spaziobianco di fare una mostra di “opere impossibili”. Qual è l’opera impossibile di Luca Grechi
L. G.: «Una bellissima esperienza, un progetto che ho avuto il piacere di affrontare con grande curiosità anche se l’idea, dopo alcune riflessioni, è rimasta la prima che mi era venuta in mente: “Colorare le stelle” per una notte, nel senso pittorico del termine: dipingere nel cielo. Mi attraeva l’impossibilità della cosa, il limite il suo essere irrealizzabile. Una grande sfida, divertente e seria allo stesso tempo».
N.M.: Tornando alla personale che inaugurerà il prossimo 26 novembre, le opere che presenterai a Montalcino sono tutte inedite. Che direzione sta prendendo il tuo lavoro?
L. G.: «Sento che il mio lavoro sta prendendo una direzione sempre più sperimentale. Mi diverto a sviluppare nuovi linguaggi, mi affascinano le potenzialità e le possibilità della pittura vista sotto molto sfumature. Buona parte dei lavori che presenterà a Montalcino sono inediti: un oggetto pittorico, alcuni nuovi dipinti che sono i primi frutti delle mie nuove sperimentazioni e alcune opere pittoriche di grandi dimensioni. Sento la necessità di portare a maturazione quello che da sempre amo. In-Finito è una mostra molto significativa per me, sotto molti aspetti. Con Matteo Scuffiotti sono molti anni che collaboriamo e che ci confrontiamo sull’arte e realizzare una mia personale nella sua Galleria è un meraviglioso “continuum”. Cercare di costruire insieme il “senso” della ricerca è una grande avventura e, sicuramente, poter avere una visione complessiva del mio lavoro esposto in Galleria mi chiarirà le idee per i “passaggi” futuri».
[infobox maintitle=”PER I COLLEZIONISTI” subtitle=”Luca Grechi lavora con la Galleria La Linea di Montalcino, la Galleria Richter Fine Art di Roma e la Art.Lab Gallery di Grosseto. I prezzi delle sue opere partono da 400 euro per i lavori più piccoli (24×18 cm) per arrivare agli 8.000 euro. Nato a Grosseto nel 1985, Luca Grechi ha all’attivo varie mostre personali e collettive sia in Italia che all’estero. Vive e lavora a Roma. ” bg=”gray” color=”black” opacity=”off” space=”30″ link=”no link”]