Collezionare arte come processo di apprendimento, coltivare la passione condivisa dal padre con la consapevolezza che questo “vizio” si stia tramandando a suo figlio che sta per collezionare un NTF. Queste alcune delle considerazioni fatte da Umberta Gnutti Beretta, collezionista, mecenate e appassionata di arte, nel corso di una particolare intervista nata con un messaggio su Instagram.
Umberta Gnutti Beretta, in una delle sue stories, aveva condiviso, tra le altre cose, una foto in cui stava studiando con suo figlio la crypto arte e come afferma nella chiacchierata che abbiamo potuto fare solo via mail “l’arte non si ferma mai”. Per fortuna di tutti noi art lovers.
Salvatore Ditaranto: Alan Bennett nel suo scritto ‘I quadri che mi piacciono’ confessa: “Il mio criterio di giudizio è piuttosto superficiale, e mi riesce difficile separarlo dall’idea di possesso. Così so che è un quadro mi piace solo quando ho la tentazione di portarmelo via nascosto sotto l’impermeabile”. Concorda con Alan Bennet? E poi quando ha iniziato la sua personale collezione d’arte?
Umberta Gnutti Beretta: «Ho iniziato a collezionare molto presto a 18 anni, mio padre è da sempre stato appassionato d’arte e mi ha trasmesso il “vizio”. Non mi reputo una malata di possesso. Ammiro artisti senza sentire il desiderio di possedere una loro opera e non ho mai acquistato un’opera senza aver conosciuto l’artista o la sua storia nel caso di artisti non viventi. Il collezionismo per me è un percorso di apprendimento».
S.D.: Thomas Bernhard in ‘Antichi Maestri’ scrive “Per quanto ciò sia assurdo, quando leggo un libro ho comunque la sensazione e la convinzione che il libro sia stato scritto solamente per me, se guardo un quadro ho la sensazione e la convinzione che sia stato dipinto solamente per me…”. Come collezionista d’arte ha provato la stessa cosa?
U.G.B.: «Non esattamente. Certamente se un’opera è su commissione o se un’opera nasce da un dialogo tra me e l’artista, se ci lega un pensiero… quell’opera più di altre mi pare “mia”. Però amo anche opere che sono chiaramente ispirate da altri o raccontano la vita di altre persone, come la Black Marilyn di Andy Warhol o le fotografie di Slim Aarons o ancora il ritratto della Regina Elisabetta di Chris Levine».
S.D.: Mark Rothko aveva scritto “Un quadro vive in compagnia, dilatandosi e ravvivandosi nello sguardo di un visitatore sensibile. Muore per la stessa ragione. È quindi un gesto arrischiato e spietato mandarlo in giro per il mondo”. Le opere d’arte fanno compagnia? Il lockdown è stato meno duro per questo motivo?
U.G.B.: «Le opere d’arte fanno senza dubbio compagnia. Io non mi stanco mai di guardare le mie opere, di spostarle o di ripensare al momento in cui sono entrate a far parte della mia collezione».
S.D.: Maurizio Cattelan in un’intervista ha paragonato le sue opere a degli orfani paragonandosi ad un genitore che poi è costretto a rinunciare ai suoi figli. Le piace pensarsi nei panni di un genitore adottivo per un’opera d’arte e forse anche per un artista?
U.G.B.: «Sì, mi piace pensarmi come un genitore adottivo e pensare poi che le opere d’arte che ho raccolto cambino vita prima o poi. Non mi offenderei se un domani mio figlio decidesse di vendere ciò che io ho raccolto ed iniziasse lui un suo percorso di collezionismo. Credo sia una gioia che valga la pena vivere».
S.D.: Quale è l’ingrediente principale o il filo conduttore , se c’è, della sua collezione?
U.G.B.: «Non reputo la mia una collezione, perché non ha un filo conduttore. La reputo, piuttosto, una raccolta spontanea di opere che dimostrano la mia ammirazione verso il lavoro di un artista o un altro. Forse l’unico filo conduttore è la forza dell’immagine, in genere scelgo opere visivamente decise».
S.D.: Raramente c’è un unico motivo che spinge le persone a interessarsi all’acquisto d’arte: me ne potrebbe dire uno?
U.G.B.: «Nel mio caso la passione di mio padre è stata determinante nel portare me a voler fare la stessa cosa e credo sarà lo stesso anche per mio figlio. Passione e occasioni».
S.D.: Quando sceglie un’opera segue più l’orecchio (cosa si dice sull’artista etc ) o il cuore (e cosa le dice)?
U.G.B.: «Quando scelgo un’opera in genere so già molto dell’artista. Recentemente ho comperato una fotografia di Marina Abramovic ma seguo il suo lavoro già da 20 anni almeno. Ho assistito a varie performances, l’ho vista in mostre, conosciuta ad un dinner… ma solo recentemente ho acquistato un’opera».
S.D.: Gertrude Stein diceva agli amici che per farsi una collezione è sufficiente risparmiare sul guardaroba. Lei a cosa rinuncerebbe per un’opera d’arte? E a proposito di “guardaroba” perché è così importante il mondo della moda?
U.G.B.: «Ogni tanto faccio anche io come Gertrude Stein… se un’opera mi piace molto rinuncio ad altre cose. Il mondo della moda e dell’arte a volte si incastrano, spessissimo si sfiorano e i loro confini sono sfumati. Sono due mondi di espressione creativa e in molti casi entrambi divulgatori di bellezza per cui si accompagnano molto bene».
S.D.: Ci segnali un posto che un #artaddicted non può non conoscere e/o frequentare...
U.G.B.: «Un art addicted deve ogni tanto farsi un giro nella quiete del Museo Poldi Pezzoli a Milano e poi magari un salto a Brescia a conoscere i resident artists di Palazzo Monti, passando a salutare la Vittoria alata e poi buttare un occhio alla croce di re Desiderio».
S.D.: Come va con lo studio della crypto arte? In famiglia condivide con qualcuno la passione par l’arte contemporanea?
U.G.B.: «La crypto arte è la curiosità del momento. Sto lavorando con un artista di NY, basato a Tokyo che fra un paio di settimane realizzerà un NFT per la collezione di mio figlio… l’arte non si ferma».