Presentato, ieri mattina ad ArtVerona, il rapporto 2014 Io Sono Cultura. L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi, curato da Fondazione Symbola e Unioncamere. Una pubblicazione che ci fa riflettere su una cultura che potrebbe veramente essere un fattore competitivo per uscire dalla crisi, a patto di saperne cogliere le opportunità e saperla sostenere a dovere.
Dal Rapporto, infatti, emerge come il sistema produttivo culturale in Italia generi un valore aggiunto di 80 miliardi e ne attivi altri 134 nell’indotto per una filiera che, complessivamente, vale 214 miliardi di euro. Non solo. Le aziende attive nel campo dell’industria culturale rappresentano il 7.3% delle imprese nazionali e danno lavoro al 5.8% dei lavoratori italiani. Un settore strategico, dunque, dal quale però rischia di rimanere esclusa la produzione artistica contemporanea. E questo per una debolezza strutturale che affligge sempre di più il nostro Sistema dell’arte sia sul fronte del mercato che su quello della promozione.
La crisi profonda del Sistema dell’arte Contemporanea
Per quanto anche nel sistema produttivo culturale la crisi si faccia sentire, sia in termini di fatturato che di trend occupazionali, non c’è dubbio che questo rappresenti, in potenza (ma non solo), uno dei punti di forza su cui scommettere per far ripartire il nostro paese. Quello che lascia perpelssi, scorrendo il rapporto Symbola-Unioncamere, è lo stato del nostro sistema dell’arte contemporanea (musei, gallerie, fiere ecc.) che rischia di rimanere ai margini di questo settore così vitale dell’economia italiana. E questo in uno dei momenti più floridi, a livello internazionale, per il contemporaneao. Ma come mai?
I problemi messi in evidenza dal Rapporto sono un po’ sempre gli stessi, di cui abbiamo già parlato altre volte, ma che il perdurare della crisi economica sta acuendo ancora di più, confermando, in buona sostanza, l’inefficacia del nostro sistema al di fuori dei confini nazionali. Un’inefficacia che deriva, in primo luogo, da problemi strutturali: il sistema dell’arte contemporanea in Italia è estremamente autarchico, autoreferenziale e, soprattuto, frammentato. Tanto che molto spesso risulta difficile parlare di un vero e proprio “sistema” che, nel suo significato più generico, dovrebbe essere un insieme di elementi o sottosistemi interconnessi tra di loro o con l’ambiente esterno tramite reciproche relazioni, ma che si comporta come un tutt’uno, secondo proprie regole generali.
La crisi, come dicevo, ha acuito questi problemi che, da sempre, affliggono il sistema dell’arte italiano e che sono letteralmente esplosi quando il nuovo panorama internazionale, generatosi con il nuovo secolo, l’ha sottoposto ad uno stress che non è stato in grado di reggere. Questo ha determinato, e cito letteralmente il rapporto:
un blocco piuttosto pronunciato della progettualià, dell’operatività della programmazione, del decision-making. In particolare, alcune tra le maggiori istituzioni dell’arte contemporanea (come MACRO e MAXXI di Roma, in modi profondamente e strutturalmente diversi tra loro; Castello di Rivoli, Muso Riso di Palermo, Galleria Civica di Trento confluita in maniera non indolore nel Mart di Rovereto) vivono putroppo una fase dei particolare debolezza e fragilità, tra disorientamento gestionale e assenza di una visione lunga che tenga conto dei mutamenti in atto e reagisca ad essi.
paura collettiva del confronto con il mondo esterno, con le sue sfide, e della rimozione di un’ottica di competizione e di confronto. Insieme alla riduzione drastica delle risorse pubbliche e private a disposizione, la crisi ha introdotto un gradiente ulteriore di confusione, di semplificazione e di ‘panico congnitivo’.
E se questo è lo stato delle nostre istituzioni pubbliche che si occupano di arte contemporanea, le cose non vanno meglio sul fronte del mercato:
La cronaca dell’economia dell’arte contemporanea relativa all’ultimo anno è piuttosto preoccupante. Essa viene addirittura raccontata come una vera e propria “diaspora” di un gran numero di galleristi italiani, costretti in molti casi a cessare la propria attività o a pensarsi all’estero, principalmente a causa di una politica fiscale onerosa. L’IVA al 22% infatti – con l’aggiunta del 10% sulle importazioni – ha avuto e ha conseguenze pesanti sul nostro mercato artistico e sulla sua competitività. Non solo essa penalizza la compravendita di opere d’arte, ma le equipara a qualunque altro bene di lusso, comprimendone oggettivamente il valore culturale e ‘altro’.
Dobbiamo reagire, adesso!
Dei segnali di reazione ci sono, soprattutto a livello locale e in realtà una volta marginali rispetto ai grandi centri italiani dell’arte. Questo è certamente rassicurante, ma il quadro delineato in “Io Sono Cultura 2014” non è certo entusiasmante. E’ necessario reagire e farlo presto, partendo proprio dalle considerazioni che gli autori del Rapporto fanno in chiusura della loro analisi:
Compito dell’arte e della cultura, in una fase di transizione epocale come quella che stiamo attravesando, non può che essere quello di immaginare, articolare e costruire l’epoca nuova: il mondo italiano dell’arte contemporanea ha dunque l’occasione – forse unica – di ripensarsi e di configurarsi su basi integralemente nuove, riconnettendosi in maniera feconda a questa costruzione.
Sì, ripensarsi, quasi che il nostro paese fosse un “mercato emergente”. La tentazione è forte, ma non mi metterò adesso a elencare le soluzioni che ho in testa. Mi piacerebbe, invece, che nascesse da questo articolo una riflessione collettiva per rispondere tutti assieme ad una domanda cruciale: come ripensare e riconfigurare il mondo italiano dell’arte contemporanea?