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L’AI al servizio degli artisti

del

L’AI è un mezzo privilegiato per molti artisti che rientrano nell’ambito Crypto Art. Uno dei progetti più significativi ad essere realizzato con l’intelligenza artificiale è Mosaic Virus (2018-2019) di Anna Ridler (classe 1985), una video installazione che mostra l’immagine in continua evoluzione di una serie di tulipani generata in tempo reale da un algoritmo istruito dall’artista con un dataset realizzato da lei stessa fotografando migliaia di tulipani.

L’immagine dei fiori si alterna sullo schermo, sempre in tempo reale, a seconda delle fluttuazioni sul mercato del Bitcoin: più il valore aumenta più cresce la possibilità che sullo schermo appaia una variante rara di tulipano. La visualizzazione dei tulipani è il risultato finale di un flusso di dati che rappresentano le dinamiche di un mercato finanziario invisibile. La scelta dei tulipani non è casuale ma l’artista fa riferimento ad una delle prime bolle speculative della storia in senso moderno, scoppiata in Olanda nella prima metà del Seicento e conosciuta come ‘tulipomania’.

Anna Ridler crea così un collegamento tra il mercato drogato dei tulipani e le tendenze speculative che riguardano le cryptovalute.

Anche David Young, artista che si è sempre dedicato alla sperimentazione e alla ricerca con le tecnologie emergenti, utilizza l’intelligenza artificiale e l’informatica quantistica per indagare nuove esperienze estetiche e distillare la bellezza artistica dalle macchine. Nei suoi lavori esplora e interroga i limiti, nel bene e nel male, delle nuove tecnologie e i rischi che la poca conoscenza possono comportare per un loro utilizzo più giusto possibile.

L’artista non crea ma è colui che ha l’idea-input, la cui realizzazione, che sia fisica o digitale, viene lasciata alla macchina; ciò che si osserva è il prodotto dello sforzo artificiale volto a creare una forma esteticamente accettabile. Ma questo non significa svalutare l’artista nella figura di colui che riflette e ragiona o si lascia trasportare entro un processo creativo. Per Young la tecnologia (che sia l’AI o qualsiasi altra macchina) non è altro che lo strumento di cui si serve per fare arte, in una maniera non così diversa da come si adopera un pennello, una macchina fotografica o uno strumento musicale.

La macchina serve a dar voce all’interiorità dell’artista, alla sensibilità umana. Tutto ciò emerge nell’opera Learning Nature (2018- 019) in cui, attraverso l’AI e machine-learning, il computer è stato istruito partendo da un dataset di fotografie di fiori scattate dall’artista, da cui ha generato la propria versione unica di questo etereo elemento naturale.

C’è chi però i suoi lavori li delega direttamente a ‘robot pittori’: Pindar Van Arman, infatti, affida l’esecuzione pittorica a macchine robotiche che, utilizzando l’AI, deep learning e circuiti di feedback, superano i confini esplorativi della creatività computazionale. Le sue prime macchine erano stampanti lotter che intingevano semplicemente un pennello nella vernice e lo trascinavano da un punto a un altro della tela.

In questo caso, l’arte non consiste tanto nel risultato finale delle tele dipinte, ma nel processo di progettazione di una macchina dotata di creatività computazionale cui ‘insegnare’ a creare ciò che rispecchia la sensibilità dell’artista. In questo processo di decostruzione della creatività attraverso passaggi logici, il suo obiettivo è quello di dimostrare l’esistenza di una capacità creativa da parte dell’intelligenza artificiale. Decine di algoritmi AI, tutti in competizione tra loro per il controllo del pennello, memorizzano continuamente le attività prodotte sulla tela e proseguono nella realizzazione in totale autonomia.

Brendan Dawes (1966), artista inglese che utilizza il machine-learning e gli algoritmi per creare grafiche in movimento, sculture organiche che esistono grazie alla visualizzazione di dati messi insieme dalla macchina. L’arte generativa è per Dawes il mezzo migliore per creare arte in questo momento storico in cui la tecnologia è così radicata nelle nostre vite, è il linguaggio più vicino alla sensibilità del nostro tempo.

Tra i suoi lavori più importanti c’è Cinema Redux (2004), che si trova nella collezione permanente del MoMA di New York, una scomposizione in migliaia di frames, separati da un secondo d’intervallo di tempo ciascuno, di un intero film. Dawes si avvicina al mondo NFT solo nel 2020, uno dei primi lavori che realizza è Black Mamba’s Revenge (venduto sul marketplace KnownOrigin), in cui, mescolando tecniche di campionamento pixel con l’AI, la scena finale del combattimento iconico in Kill Bill di Quentin Tarantino è stata processata dall’intelligenza artificiale per creare delle stime delle pose assunte dagli attori nel corso dei movimenti che formano la scena del film, i pixel che compongono le diverse posizioni vengono fusi tra loro trasponendo le immagini in forme fluide che si muovono nello spazio. Il risultato è la visualizzazione della nota scena di vendetta attraverso l’interpretazione del linguaggio dell’AI.

Sofia Crespo è un’artista di origine argentina che nutre un forte interesse per le tecnologie ispirate alla biologia: in particolare il suo focus creativo è concentrato su come l’intelligenza artificiale può simulare il mondo organico e vegetale. Arte e scienza sono per l’artista strettamente legate, l’una ispira e informa l’altra vicendevolmente, le tecnologie sono un prodotto della vita organica che le ha generate e non un oggetto completamente separato.

La serie Neural Zoo è un’esplorazione dei diversi modi in cui funziona la creatività, le immagini somigliano alla natura ma si tratta di una natura immaginata che è stata ricombinata dall’intelligenza artificiale. La nostra corteccia visiva riconosce le trame ma il cervello allo stesso tempo è consapevole che quegli elementi non appartengono alla realtà ma sono delle illustrazioni surreali. Crespo indaga le analogie che intercorrono tra le tecniche di formazione delle immagini nel campo dell’intelligenza artificiale e il modo in cui gli esseri umani si esprimono creativamente e riconoscono cognitivamente il loro mondo. Il suo lavoro mette in discussione il potenziale dell’AI nella pratica artistica e la sua capacità di rimodellare la nostra comprensione della creatività.

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