Cosa sarebbero oggi il Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli, il MAXXI o il MART di Rovereto se non ci fossero i grandi collezionisti privati? In un’Italia dove aumentano i visitatori (+21%) e si riducono le risorse, questi musei pubblici dedicati all’arte contemporanea, con molta probabilità, non avrebbero mai raggiunto il livello di eccellenza che oggi conosciamo e non riuscirebbero, nelle condizioni finanziarie e di isolamento in cui spesso versano, a portare avanti la loro missione senza l’appoggio dei grandi collezionisti di oggi che, a differenza dei loro predecessori, hanno reso l’arte parte della propria vita ma senza considerarsi i proprietari esclusivi delle proprie opere che prestano a lungo termine o donano a contenitori pubblici come, appunto, il MART, il MAXXI o il Madre, incidendo profondamente e positivamente sull’offerta culturale di queste strutture.
Come ha sostenuto, qualche anno fa Gianfranco Imperatori in occasione dell’incontro “Collezionismo, sublime perversione”, il collezionismo privato «per quell’impulso che Antonio Paolucci definisce “contro natura”, diventa atto di liberalità nei confronti della società attraverso la donazione della collezione alle istituzioni pubbliche, o attraverso l’istituzione di musei privati, e comunque accumula, conserva e rende accessibili al vasto pubblico opere d’arte di valore inestimabile. Quando questo accade, il collezionismo svolge due funzioni straordinarie: una di natura sociale, l’altra di natura economica». Basti pensare, d’altronde, che circa il 90% dei musei e delle gallerie mondiali hanno origine da collezioni private.
Una linfa vitale per i musei e per le mostre che loro organizzano, dunque, che senza i collezionisti non sarebbero neanche pensabili, come ci ha raccontato Giorgio Verzotti, direttore artistico della sezione di arte contemporanea alla 37esima edizione di Arte Fiera ed ex curatore capo del MART di rovereto, in questa breve video intervista.