New York, 10 marzo – Caro Nicola, mi chiedi come si stia evolvendo l’emergenza coronavirus negli Stati Uniti. Ieri 9 marzo, in California, si sarebbe dovuto aprire il torneo di tennis di Indian Wells, confermato fino al giorno prima, e confermato per di più come a porte aperte. Poi, il 9 mattina stesso, con gli atleti già arrivati in loco, si è deciso di rimandare il torneo a data da destinarsi perché, letteralmente, gli organizzatori “si sono accorti che c’è il coronavirus”…
Ecco, questo potrebbe essere il simbolo di come l’epidemia di COVID-19 è stata affrontata qui. Fino a fine febbraio, l’uomo che porta un abuso edilizio rossastro in testa si è speso nel rassicurare gli americani che non c’era nessun pericolo, quasi deridendo i miseri europei che dovevano lottare con l’epidemia.
Poi i primi casi, i primi pazienti deceduti, e infine il povero Mike Pence che in conferenza stampa il 6 marzo ha dovuto ammettere che sì, con una dozzina di morti e qualche centinaio di contagiati si doveva ammettere che il virus era presente anche negli Stati Uniti.
Però il rischio di contrarlo per gli americani rimaneva «estremamente basso» — espressione del viso a significare che non credeva neanche lui a ciò che stava dicendo — e comunque le fabbriche si stavano dando una mossa a rendere disponibili i kit diagnostici…
Perché il vero problema è che negli Stati Uniti, all’insorgere dell’epidemia, erano disponibili non più di qualche migliaio di kit (per l’intera nazione!), e quindi — seguendo la tradizione per cui anche la diffusione dell’AIDS negli anni Ottanta fu negata da Ronald Reagan fino a quando non fu più possibile nasconderla — meglio ignorare del tutto il problema, che avrebbe potuto innescare strani effetti sull’economia, e magari influenzare negativamente la possibile rielezione presidenziale dell’uomo con l’abuso edilizio in testa.
Già, perché l’altro grande problema negli States è la mancanza di un sistema di assistenza sanitaria pubblico, come si sa, e sempre il signore di cui sopra ha dedicato molti sforzi, in questi anni passati alla Casa Bianca, a cercare di smantellare quel poco che Obama era riuscito a fare con l’Obamacare.
Il test diagnostico, al momento, costa migliaia di dollari; le stesse aziende assicurative non hanno ancora deciso (!) se e quanto copriranno di questo tipo di spesa sanitaria; e chi comunque l’assicurazione non ce l’ha — perché non può permettersela — non ha certamente neanche i soldi per sottoporsi al test (ci sono stati anche casi di malati praticamente acclarati che si sono rifiutati di farlo).
Il Governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, si sta però impegnando perché almeno nel suo Stato siano resi disponibili test gratuiti per tutti (ma New York in un certo senso non è gli Stati Uniti: è un po’ “un mondo a sé”, e molto più nel bene che nel male).
In tutto questo, hanno finalmente iniziato ad essere emanate regole di comportamento per la salvaguardia propria e altrui e, con l’aumentare dei casi, nella Tri-state area (ovvero l’area metropolitana di New York, che comprende parte degli Stati di New York, New Jersey, Connecticut — e anche parte della Pennsylvania) diverse scuole e college sono stati chiusi.
Al momento però — torneo di Indian Wells a parte — sono pochi negli Stati Uniti gli eventi di massa a essere stati rimandati o annullati (lo stesso Armory Show e fiere collegate si sono svolti regolarmente, come sai); cominciano ad essere cancellati alcuni concerti, ma cinema, teatri e musei rimangono per ora aperti e in attività.
Nel frattempo il Met Breuer ha appena inaugurato una retrospettiva di Gerhard Richter dal titolo Painting after all; a Richter è contemporaneamente dedicata anche una mostra da Marian Goodman; alla Pace Gallery si è aperta una personale con nuovi lavori di Julian Schnabel, The Patch of Blue the Prisoner Calls the Sky… ma credo proprio che bisognerà rimandare tutte le visite — in attesa delle inevitabili restrizioni che alla fine, seguendo il modello cinese-italiano, anche qui, prima o poi, dovranno essere adottate.