Da sempre inserita nella classifica dei collezionisti più importanti del mondo, Miuccia Prada è la prima italiana che incontriamo nella Power 100 di quest’anno, la classifica che ArtReview dedica ai personaggi più influenti del mondo dell’arte guidata dal buon David Zwirner. Potentissimo gallerista internazionale che ha in scuderia più di 60 tra artisti e archivi e una rete di sedi che da Londra arriva fino ad Hong Kong. Un personaggio sulla cui importanza non si discute e che se parla viene ascoltato. Come è accaduto quando, ad inizio anno, ha proposto di far “tassare” alle fiere le mega-gallerie… proposta subito accolta da Art Basel. Ma torniamo all’Italia.
Entrata ed uscita dalla Power 100 a più riprese, Miuccia Prada sta risalendo la classifica di ArtReview a velocità impressionante. Dopo un biennio di assenza era ricomparsa al 61° posto nel 2015 e in poco tempo è arrivata quest’anno ad occupare il 20° posto. Il segreto di questo successo? La Fondazione che porta il suo nome, inaugurata proprio nel 2015 e che quest’anno, guarda caso, è stata completata con l’apertura della “torre” disegnata da OMA. Ma soprattutto un programma espositivo tutt’altro che “modaiolo” e che sa mostrare, con forza, le sue credenziali culturali, come avvenuto con la mostra Post Zang Tumb Tuuum curata da Germano Celant o con la più recente Machines à penser (fino al 25 novembre 2018), cura da Dieter Roelstraete per la sede veneziana della Fondazione: un progetto che esplora la correlazione tra le condizioni di esilio, fuga e ritiro e i luoghi fisici o mentali che favoriscono la riflessione, il pensiero e la produzione intellettuale. Il tutto focalizzandosi su tre fondamentali figure della filosofia del XX secolo: Theodor W. Adorno, Martin Heidegger e Ludwig Wittgenstein. E il fatto che il successo di Miuccia Prada, in termini di influenza, sia legato alla componente culturale che anima la sua Fondazione, in un mondo dell’arte dove si parla fin troppo spesso solo di soldi e di mondanità, mi pare il segnale più importante che arriva da questa classifica. Importante proprio per il nostro Paese…
Al secondo posto tra gli italiani più influenti nel mondo artistico, Massimiliano Gioni anche lui con una presenza altalenante nelle 17 edizioni della Power 100; presenza divenuta però stabile dal 2012, con il picco del 2013 – anno del suo Palazzo Enciclopedico alla Biennale di Venezia – che lo ha visto entrare addirittura nelle top 10. Oggi si trova al 25° posto e da un paio d’anni le sue “azioni” sembrano essere in lieve flessione. Il direttore artistico del New Museum di New York – e, in seconda battuta, della Fondazione Trussardi – quest’anno sembra, d’altronde, essere stato più impegnato nella sua attività di giurato in importanti premi d’arte che non come curatore. Attività, quest’ultima, che lo ha visto lavorare principalmente con artisti già affermati, invece di cavalcare la sua abilità di proporre l’artista giusto al momento giusto che tanto l’ha reso famoso nel mondo. Insomma, giocare troppo sul sicuro sembra non “giovare” in termini di influenza.
Stabilmente in classifica dal 2009, scende dal 76° all’82° posto della Power 100 di quest’anno l’incorreggibile trio della Galleria Continua – Mario Cristiani, Lorenzo Fiaschi & Maurizio Rigillo -, mentre Cecilia Alemani – direttrice della newyorchese High Line e di Art Basel Cities – cala all’84° posto, dopo essere entrata in classifica lo scorso anno al 78° grazie alla sua nomina a curatrice del Padiglione Italia all’ultima Biennale di Venezia e al lavoro svolto, dal 2012 al 2017, come curatrice della sezione dedicata ai progetti d’artista di Frieze New York. Chiude la classifica degli italiani, un altro gallerista: Massimo De Carlo, anche lui, come i tre di San Gimignano, nella Power 100 dal 2009 e oggi al 91° posto la stessa con cui era entrato in classifica 9 anni fa ma ben lontano dal 64° occupato nel 2016. Un trend in discesa che, tranne Prada, contraddistingue comunque tutti i nostri rappresentanti in Power 100.
E anche se le classifiche, tranne che nello sport, lasciano un po’ il tempo che trovano, mi pare che non sia un grande bilancio per quanto riguarda il peso internazionale del nostro Paese nel settore arte/cultura. Anche perché, e qui mi fermo, a rappresentare l’Italia sulla scena mondiale son poi sempre gli stessi e all’orizzonte non mi pare si vedano nomi che possano dar loro il cambio. E questo non perché manchino le intelligenze, ma perché a queste vengono sistematicamente negate le possibilità. E’ assordante, ad esempio, la mancanza di artisti, scrittori o altri uomini di cultura italiani, in una classifica che, come new entry, quest’anno include il poeta Fred Moten a cui viene riconosciuto il merito di aver influenzato, col proprio lavoro, generazioni di artisti. Eravamo “un popolo di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori”, come ci ricorda la scritta scolpita sulla base del Palazzo della Civiltà Italiana a Roma. Ma questo sembra non interessare più a molti…