Il mondo della cultura sta attraverso un momento di grande cambiamento, con il susseguirsi di diversi fenomeni che hanno notevolmente modificato l’attuale contesto di riferimento, con nuovi paradigmi che hanno preso il posto di logiche già consolidate nel tempo.
Si pensi ad esempio alla rivoluzione dettata dalla pandemia che ha imposto lunghi periodi di chiusura, l’esplosione del mercato dei Non Fungible Token e di altri strumenti che hanno trasformato le modalità con cui le persone si approcciano alle esperienze artistiche e museali.
Per analizzare più nel dettaglio l’attuale periodo di cambiamento ma soprattutto per provare a comprendere l’evoluzione futura del mondo culturale, nel presente contributo abbiamo dialogato con Alessandro Bollo, esperto di management della cultura, già direttore della Fondazione Polo del ‘900 e da pochi giorni project manager della Fabbrica del Vapore di Milano.
Andrea Savino: Direttore Bollo: per prima cosa desideriamo ringraziarla per la disponibilità. Partendo dai temi più attuali, dalla lettura dell’ultimo rapporto Federculture, la spesa in attività ricreative, spettacoli e cultura è quella che si mantiene più lontana dai livelli pre-covid segnando un -22%. Gli anni della pandemia hanno davvero allontanato il pubblico dalla cultura?
Alessandro Bollo: “La pandemia ha determinato uno straordinario momento di discontinuità, disorientamento e temporaneo “congelamento” per quanto riguarda una pluralità di forme di consumo e partecipazione culturale. Penso non si possa dire che il pubblico della cultura si è allontanato, piuttosto si è rimodulata la “dieta culturale”, sono cambiate le priorità e le forme del consumo.
Alcuni prodotti, come il cinema in sala, hanno subito un reale tracollo (anche per la forte concorrenza dei surrogati domestici), mentre il teatro sembra avere ripreso con più vigore, molto significativa è la riduzione della fruizione delle biblioteche, mentre i grandi attrattori museali stanno riprendendo progressivamente il terreno perduto (anche se rimane ancora deficitario il contributo del grande turismo internazionale).
Contestualmente possiamo affermare che molte persone hanno scoperto e apprezzato il potenziale dell’offerta digitale domestica (dalla fruizione di entertainment on demand, al proliferare dell’offerta di contenuti attraverso i molteplici canali digitali delle istituzioni culturali). Per quasi due anni si è persa, invece, la dimensione fisica e sociale legata all’esperienza culturale.
Diventa, pertanto, fondamentale ripristinare il “senso” dei luoghi della cultura, inteso come contesto che abilita occasioni di partecipazione che producono anche relazioni, socialità, benessere, riscoperta degli spazi fisici (soprattutto quelli all’aperto) e riconnessione con il patrimonio e con le persone.
A.S.: Come immagina il futuro prossimo degli enti culturali tra 5 e 10 anni?
A.B.: “Fortemente interconnesso con i temi della sostenibilità integrale, intesa come attenzione alle grandi sfide dell’ambiente, ma anche a quelle sociali.
Si è aperto, infatti, un decennio cruciale per alcune questioni aperte a cui sarà fondamentale trovare risposte collettive, lungimiranti e probabilmente piuttosto scomode. Tra queste, quella ecologica è sicuramente emblematica della necessità di aggiornare radicalmente i nostri paradigmi e le nostre priorità, ma non si può non constatare come il bisogno di ripensare modelli e strutture a livello politico, sociale ed economico riguardi anche molti altri aspetti (dal sistema dei diritti al concetto di democrazia, dagli sviluppi dell’ingegneria genetica e dell’intelligenza artificiale, ai rischi di conflitti nucleari o biologici, dal rapporto tra lavoro e lavoratori fino alle disuguaglianze e ai crescenti squilibri in termini di accesso alle opportunità tra aree e popolazioni del pianeta resi ancora più acuiti dalla pandemia globale).
Le istituzioni culturali devo interrogarsi in profondità sul ruolo che intendono giocare in questa fase così incerta, candidandosi anche come spazi di testimonianza, confronto, discussione, reincantamento e allenamento alla complessità e al pensiero critico”.
A.S.: Passando alla sua esperienza personale, è soddisfatto del percorso fatto con il Polo del’900 e soprattutto cosa si aspetta dalla nuova esperienza con la Fabbrica a Vapore?
A.B.: “Penso di avere avuto la fortuna e il privilegio di vedere nascere e crescere una nuova realtà culturale e di avere contribuito, insieme a molte altre persone, a sperimentare un modo nuovo di fare e organizzare cultura basato sulla disponibilità e sulla collaborazione di tante realtà culturali che, pur mantenendo la loro autonomia culturale, hanno deciso di co-progettare e di integrare risorse e competenze a beneficio della cittadinanza in senso ampio.
Sono convinto che quello del Polo possa e debba essere un modello replicabile in altri contesti, perché ha a che fare con obiettivi di sostenibilità e di rilevanza sociale che sono affrontati, appunto, da logiche di tipo collaborativo-integrativo. Il Polo può anche essere letto come un piccolo ecosistema che si fa forza su significative economie di scala, prossimità e competenza, che non richiede esorbitanti risorse pubbliche, ma che al contrario restituisce al territorio con un effetto di moltiplicazione degli impatti generati.
Fabbrica del Vapore rappresenta, invece, una grande scommessa dell’amministrazione pubblica, uno spazio di produzione culturale enorme (circa 30 mila metri quadri) e straordinario che ospita importanti realtà della scena contemporanea italiana, ma che deve (ri)trovare una sua identità culturale riconoscibile e riconosciuta, a partire in primis dagli stessi milanesi”.
A.S.: Quali sono stati i motivi che l’hanno convinto a scegliere questa nuova esperienza?
A.B.: “La complessità e l’importanza della sfida, l’idea di affrontare nuovamente un processo che vede attori diversi (pubblici e privati) coinvolti nella stessa visione di sviluppo e che può dare slancio a un polo culturale che deve continuare a fare ricerca e sperimentare nuove forme di produzione artistica, ma che le può, altresì, mettere a disposizione di una filiera ampia e diversificata di soggetti e comunità”.
A.S.: Da ultimo, prima di congedarla, quale proposta farebbe al prossimo Ministro della Cultura?
A.S.: “Di non abbandonare, ma anzi di rafforzare il percorso di autonomizzazione dei musei e di avviare un grande processo di investimento “sulle persone” (competenze, professionalità, empowerment delle risorse umane) che dovranno avviare, gestire e rendere sostenibili i grandi investimenti in infrastrutture culturali che arriveranno attraverso il PNRR”.