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Schifano e Spalletti al Magazzino Italian Art

del

Le mostre di apertura del nuovo Robert Olnick Pavilion — il nuovo padiglione, inaugurato il 14 settembre scorso, del Magazzino Italian Art, lo splendido museo di Cold Spring sito a un centinaio di chilometri a nord di New York City — presentano due artisti apparentemente molto distanti tra loro ma che in realtà ebbero alcune radici in comune.

Magazzino Italian Art è nato dalla collezione di Nancy Olnick e Giorgio Spanu, il cui focus sull’Arte Povera ha dato vita alla raccolta più importante di opere del movimento al di fuori dell’Italia. L’edificio — originalmente un magazzino vero e proprio immerso nella natura, fra i boschi e le colline dell’Hudson Valley — è stato ristrutturato e ridisegnato dall’architetto spagnolo Miguel Quismondo, e ha aperto i battenti nel 2017. Per ospitare con maggiore agio le mostre temporanee, è stata costruita la nuova ala su progetto dello stesso Quismondo e del suo mentore Alberto Campo Baeza, che include anche un dipartimento educativo, una sala polifunzionale e un’accoglientissima caffetteria (realmente) italiana.

Alighiero Boetti, Manifesto, 1967

“In origine”, quindi, “fu l’Arte Povera”. Mario Schifano e Ettore Spalletti ebbero esiti, nella loro evoluzione artistica, apparentemente opposti tra loro e lontani dalle istanze dell’Arte Povera: pop, multimediale e — si potrebbe dire — post-pop nella sua ultima fase Schifano; stilizzato e ascetico, alla ricerca di colori impalpabili che si ispiravano al paesaggio e si facevano paesaggio interiore Spalletti.

Non bisogna però dimenticare che Schifano, dopo un primo periodo informale-materico, fu uno dei primi artisti della pittura monocroma — furono proprio quelle tele e la coincidenza con alcune ricerche contemporanee di artisti americani a folgorare Ileana Sonnabend che cercò, con poca fortuna, di “importare” Schifano a New York nei primi anni Sessanta. Successivamente, la strada di Schifano incrociò più volte quella degli esponenti dell’Arte Povera: ci fu un momento — testimone il celebre manifesto di Alighiero Boetti per una mostra a Milano del 1967 — in cui la cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo si trovò fianco a fianco col movimento teorizzato da Germano Celant, anche per via di alcuni artisti “in comune”.

Installation view of ‘Mario Schifano: The Rise of the ’60s’ at the Robert Olnick Pavilion at Magazzino Italian Art. Photo by Marco Anelli / Tommaso Sacconi.

Le opere monocrome di Spalletti sono, come si è detto, radicalmente diverse nelle intenzioni e negli esiti dai monocromi di Schifano. È poco noto però che la prima produzione dell’artista abruzzese — quella che arriva fino all’inizio degli anni Settanta — si potrebbe inscrivere nelle correnti del Concettuale e dell’Arte Povera. Si tratta di opere dove semplici elementi danno vita a rappresentazioni minimali, influenzate dalle teorie della Gestalt; talvolta i materiali usati combaciano con quelli prediletti dagli artisti dall’Arte Povera; non mancarono anche alcune azioni performative, in linea  con le contemporanee operazioni di artisti come Michelangelo Pistoletto.

Beninteso la personalità di Spalletti già prospettava i futuri sviluppi; sarebbe bello però avere un giorno una retrospettiva che scavi anche in questo suo primo periodo poco conosciuto (anche per la difficile reperibilità delle opere — due riferimenti: Curva 32 (Struttura), del 1966, conservata alla Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, e la documentazione fotografica di Azione sulla spiaggia di Pescara con l’opera “Foglie”, 29 marzo 1970, esposta l’anno passato alMusée d’Art Moderne et d’Art Contemporain di Nizzanella mostraVita Nuova. Nuove sfide dell’arte in Italia 1960-1975).

Installation view of ‘Ettore Spalletti: Parole di colore’ at the Robert Olnick Pavilion at Magazzino Italian Art. Photo by Marco Anelli / Tommaso Sacconi.

La sala del Robert Olnick Pavilion “The Cube” è ideale per l’esposizione dedicata a Spalletti: tre pannelli e due sculture (ma l’artista voleva che i suoi lavori venissero definiti “opere”, senza ulteriore connotazione) interagiscono con l’ambiente che calibra in maniera mirabile la luce, permettendo le vibrazioni cangianti che caratterizzano i colori impalpabili dell’artista e che invadono l’ambiente stesso. È interessante mettere a confronto questo passaggio del libro Colore. Una biografia di Philip Ball (Rizzoli, 2017¹³):

«Il colore di una sostanza può essere generato dall’assorbimento della luce, fenomeno regolato dalle frequenze di risonanza dei materiali. (…) La vibrazione risonante assorbe l’energia della luce a quella frequenza, e quindi strappa via un colore particolare dallo spettro della luce; i raggi le cui frequenze non corrispondono a una frequenza risonante del materiale lo attraversano (se il materiale è trasparente o traslucido) o vengono riflessi (se è opaco). Solo questi raggi “respinti” raggiungono l’occhio umano. Così, paradossalmente, è sulla base delle frequenze di questi raggi — lo loro posizione nello spettro visibile — che attribuiamo un colore a un materiale. (…) Non tutti i colori, però, vengono generati in questo modo; l’arco variegato dell’arcobaleno, per esempio, non è causato dall’assorbimento di luce da parte delle gocce di pioggia, ma dalla rifrazione: raggi di differenti lunghezze d’onda piegati ad angoli diversi. Questo è un esempio di diffusione della luce, che è il principale modo fisico in cui si può produrre il colore; l’assorbimento della luce, al contrario, dipende dalla composizione chimica della sostanza. (…) I pigmenti naturali acquistano i loro colori assorbendo la luce. Ma in natura alcuni colori sono il risultato di processi fisici di diffusione; in particolar modo nessun vertebrato contiene pigmenti azzurri: il blu che esibisce è prodotto dalla diffusione della luce.»

Robert Olnick Pavilion, Magazzino Italian Art, Cold Spring, NY. Photo: Chiara Pierangelo

Con questa dichiarazione dell’artista abruzzese, esemplare del suo modo poetico e spirituale di concepire il colore: «[L’azzurro] non è un colore di superficie e si modifica continuamente a causa delle radiazioni, colore del cielo e del mare, colore che è trasparente nel quale siamo sempre immersi e vive come condizione ambientale che abbiamo intorno… Un colore che ha una sua magia. L’azzurro non esiste in natura, lo si trova solo in una realtà impalpabile, che non è superficie, che è profondità.»

I tre pannelli — uno azzurro, due rosa — sono del 2009, mentre la Colonna nel vuoto è del 2019; c’è infine un Disco del 1981. La grande antologica di Schifano, organizzata in collaborazione con l’Archivio dell’artista e curata da Alberto Salvadori, include invece ottanta opere — alcune delle quali mai esposte prima — che vanno dal 1960 al 1970, coprendo man mano tematiche e serie di quegli anni: dai monocromi alle Segnaletiche; dai “paesaggi” newyorkesi agli Incidenti; dai Futurismi rivisitati ai Paesaggi anemici; dalle Coca-Cola ai Compagni compagni, fino ai primi Televisori.

Magnifica selezione, con alcune opere particolarmente degne di nota per la loro peculiarità: En plein air after New York del 1964; Lei era certa che rappresentavano il sesso, 1965; Un paesaggio dedicato a Jean-Luc Godard, 1967; i due Ordinatori e Arto del 1970; Influenza estiva da Francesco R., pure del 1970.

Installation view of ‘Carlo Scarpa: Timeless Masterpieces’ at the Robert Olnick Pavilion at Magazzino Italian Art, Cold Spring, NY. Photo by Marco Anelli / Tommaso Sacconi

Una terza mostra, in una piccola sala, suggella il percorso espositivo: Carlo Scarpa: Timeless Masterpieces. Si tratta delle creazioni che l’architetto e designer veneziano realizzò in quasi vent’anni di collaborazione con due fornaci muranesi: la M.V.M. Cappellin & C. (dal 1926 al 1931) e la Venini (dal 1932 al 1947).

I vetri di Murano non devono apparire incongrui nel contesto: la collezione Olnick-Spanu cominciò proprio da loro l’esplorazione dell’arte e del design italiano, ancor prima dell’interesse per l’arte italiana del dopoguerra, e annovera più di 500 lavori realizzati fino ai giorni nostri.

E in realtà ci sarebbe anche qui un sottile “richiamo interno”: in una delle maggiori opere di Spalletti, la Cappella della Clinica “Villa Serena” di Città Sant’Angelo, vicino Pescara, progettata insieme all’architetto Patrizia Leonelli e inaugurata nel 2017, i candelabri in vetro sono proprio creazioni di Carlo Scarpa per Venini. Le mostre di Schifano e Spalletti chiuderanno l’8 gennaio, mentre quella di Carlo Scarpa durerà fino al 31 marzo 2025.

Sandro Naglia
Sandro Naglia
Nato nel 1965, Sandro Naglia è musicista di professione e collezionista d’arte con un interesse spiccato per gli astrattisti italiani nati nei primi decenni del Novecento e per quelle correnti in qualche modo legate al Pop in senso lato (Scuola di Piazza del Popolo, Nouveau Réalisme ecc.).

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