C’è qualcosa di sospeso, di potente e ancora sorprendentemente attuale nelle opere che compongono la collezione di Daniella Luxembourg, parte delle quali sono esposte fino al 12 aprile a Palazzo Serbelloni, nella sede milanese di Sotheby’s. Un’anteprima preziosa, in vista della Contemporary Evening Auction del prossimo maggio a New York, dove questo nucleo di lavori — con una stima complessiva superiore ai 30 milioni di dollari — sarà protagonista.
Sfogliando il comunicato ufficiale, si legge che gli artisti presenti in collezione — da Lucio Fontana ad Alberto Burri, da Claes Oldenburg a Piero Manzoni — hanno risposto agli sconvolgimenti del loro tempo (guerre, rivoluzioni scientifiche, corsa allo spazio) attraverso gesti radicali e linguaggi capaci di superare i confini tradizionali della pittura. Nulla di nuovo, verrebbe da dire. Sono parole familiari a chi studia e frequenta la storia dell’arte del secondo Novecento. Eppure, in un tempo in cui quei medesimi traumi sembrano riemergere — tra nuovi conflitti, progresso tecnologico e sfide globali — quelle opere, nate oltre sessant’anni fa, sembrano parlarci ancora. E forse, come ogni grande opera d’arte, possono aiutarci a comprendere il presente più di quanto immaginiamo.
La figura di Daniella Luxembourg, in questo senso, emerge con forza. Collezionista, curatrice, gallerista, ha dimostrato una capacità straordinaria di riconoscere opere che avrebbero mantenuto, o acquisito nel tempo, una rilevanza critica ed estetica. Questa vendita rappresenta anche un ritorno simbolico per lei a Sotheby’s: fu proprio la maison a proporle, nel 1984, di fondare la filiale israeliana. Vi rimase fino al 1996, per poi passare a Phillips e infine fondare la galleria Luxembourg & Dayan, oggi con sedi a Londra e New York. Una carriera internazionale che si riflette nella visione curatoriale della collezione: coerente, sofisticata e radicata in una cultura solida.

Il titolo scelto per l’asta — IM SPAZIO / The Space of Thoughts — è un omaggio alla storica mostra del 1967 curata da Germano Celant, atto fondativo dell’Arte Povera. È anche un invito a entrare in un territorio dove lo spazio non è solo quello fisico, ma mentale, poetico. Le opere in mostra condividono una tensione comune: la volontà di abbattere la centralità della tela, esplorare materiali non convenzionali, giocare con il confine tra oggetto e scultura.
Uno degli esempi più potenti è Nero Cretto di Alberto Burri (stima: 2.500.000–3.500.000 dollari). Si tratta del primo esemplare di questa serie a essere offerto all’asta negli ultimi 15 anni, parte di un corpus di 37 cretti, di cui 19 neri. L’opera colpisce per la sua forza visiva e la sua carica emotiva: una superficie fratturata che richiama la craquelure dei dipinti antichi, qui rivendicata e sublimata come segno generativo. Un gesto che trasforma un presunto “difetto” in metafora del tempo, della fragilità, della storia. Durante una chiacchierata con Claudia Dwek, Chairman Contemporary Art Europe e Italy di Sotheby’s, ci siamo trovate a osservare come quest’opera riporti immediatamente alla mente il Cretto di Gibellina: memoria e materia si fondono, in un’unica, potente visione.

Proprio di fronte a Burri, campeggia Concetto spaziale. La fine di Dio di Lucio Fontana (stima: 12.000.000–18.000.000 dollari), appartenente alla celebre serie composta da 38 opere, solo dieci delle quali presentano la superficie ricoperta di glitter. L’opera, realizzata negli anni Sessanta, rappresenta uno dei vertici della sua ricerca: una superficie trafitta, attraversata da fori che aprono varchi nella materia. E proprio nella materia si legge l’impronta dell’artista, nella parte bassa, traccia di una presenza che riafferma il gesto, l’autorialità, il corpo. Accanto a questa, è presente anche un Concetto spaziale del 1952, di colore giallo, che testimonia un momento precedente e altrettanto centrale del percorso dell’artista.
Una delle opere più sorprendenti è quella di Michelangelo Pistoletto, che riflette, letteralmente, le altre opere in mostra. Lo specchio, da sempre mezzo per eccellenza del suo linguaggio, qui accoglie una figura femminile rara nella sua produzione: Maria Pioppi, moglie e musa dell’artista, ritratta in una posa che rievoca la classicità. Il corpo torna al centro, instaurando un dialogo tra la tradizione e la sua attualizzazione contemporanea.

Tra gli altri nomi presenti in asta: Luciano Fabro, Claes Oldenburg (Soft Light Switches, 1963–69), Salvatore Scarpitta, Piero Manzoni, Alexander Calder e altri protagonisti del panorama italiano e internazionale del secondo dopoguerra. Opere che condividono la tensione a superare i limiti del quadro, ad affermare nuovi materiali, nuove forme, nuove energie.
Molti dei lavori che compongono questa collezione sono stati acquisiti da Daniella Luxembourg oltre vent’anni fa. Un dato che conferma la coerenza, la profondità e la lungimiranza delle sue scelte. Oggi, queste opere tornano a raccontarsi al pubblico, in vista dell’appuntamento di maggio a New York, dove saranno battute all’asta nella prestigiosa Contemporary Evening Auction di Sotheby’s.
Un’occasione per osservare come il collezionismo possa essere non solo atto di acquisizione, ma costruzione di visione. E, per chi vorrà seguirne gli sviluppi, ci sarà spazio per un nuovo racconto: dopo l’asta, quando lo spazio del pensiero incontrerà quello del mercato.