Esistono libri avvolti da un’aura di mito e mistero, tanto che in pochi possono affermare di averli avuti concretamente tra le mani. Uno di questi è senz’altro il manuale di Max Doerner. Non ne avete mai sentito parlare? Normale.
Può esservi, però, capitato di leggere il precedente articolo Sognando Vermeer, nel quale viene citato il Doerner Institut di Monaco di Baviera e la sua attività di ricerca sul dipinto del pittore olandese. Naturalmente, la correlazione tra libro e istituzione non è un caso.
Facciamo un passo indietro. Max Doerner era un giovane pittore in erba quando, sul finire del XIX secolo, entrò come allievo all’Accademia di belle arti di Monaco, la più antica per tradizione nell’intera Germania. Qui ebbe come professore Johann Caspar Herterich, latore di una pittura di genere molto accademica ma non particolarmente esaltante. Notevole, invece, l’interesse del professore per ciò che era l’aspetto tecnico dell’arte, i segreti pratici raccolti da un pittore interessato ad avere padronanza dei materiali artistici e, perché no, delle tecniche di conservazione e restauro di cui, all’epoca, si cominciava a parlare.
La parabola ascendente di Max Doerner comincia qui. Dopo aver viaggiato parecchio tra l’Olanda e la nostra penisola e aver avuto modo di prendere appunti sulle tecniche pittoriche del passato, tornò a Monaco nel 1911 per lavorare come assistente nelle classi di pittura dell’accademia. In questo contesto didattico, si rese conto che molti pittori moderni avevano poche o nessuna conoscenza dei materiali della pittura, prodotti, a quella data, in maniera industriale o semi industriale. La tradizione della bottega, insomma, era morta e sepolta da un pezzo.
“Non ci si può aspettare che l’artista sia un chimico: diverrebbe solo vittima di un dilettantismo più dannoso che utile […] Tuttavia, le leggi che governano i materiali per l’arte sono le stesse per tutti i pittori, a qualunque scuola essi appartengano.”
Così nella premessa al manuale finalmente pubblicato mettendo in ordine i suoi appunti nel 1921, anno in cui divenne professore a tutti gli effetti.
Di Malmaterial und seine Verwendung im Bilde (I materiali dell’artista e il loro uso in pittura), però, non esiste traduzione in italiano. Si pensò a una possibile pubblicazione per la collana Hoepli curata da Giovanni Scheiwiller negli anni ‘20, che già aveva pubblicato il manuale di restauro del conte Secco Suardo e il Piccolo trattato di Giorgio de Chirico di cui si è scritto in questo vecchio articolo. Del resto, De Chirico passò per Monaco negli stessi anni del Doerner. Senz’altro, il pictor optimus nella città bavarese ebbe modo di far proprio l’approccio tecnico-scientifico alla pittura che in quelle zone andava per la maggiore.
Qualche somiglianza tra il trattatello del pittore italiano e il più corposo manuale del Doerner, in effetti, è ravvisabile. Il tedesco tratta la pittura analizzando le tecniche di preparazione della tela, le caratteristiche fisiche e chimiche dei pigmenti, le ricette delle tempere classiche e le caratteristiche degli oli siccativi: “Il pensiero guida delle mie lezioni è sempre stato la stretta relazione tra la pratica e la maggior concordanza possibile con i risultati della ricerca scientifica”.
Riprende, inoltre, i testi del passato analizzandoli, scovando a volte errori e incongruenze. Come quando rimprovera Teofilo, autore del medievale Diversarum artium Schedula (una bellissima raccolta di conoscenze tecniche del XII reperita nella Renania tedesca), perché ricavava l’olio di lino dallo stesso frantoio nel quale venivano spremute le olive: l’olio di oliva non è notoriamente un siccativo, e la più minima contaminazione con esso compromette anche la qualità dell’olio di lino, il siccativo par excellence in pittura.
Ma non finisce qui. Il Doerner si lancia in analisi tecniche sui metodi di lavoro dei grandi maestri: come preparavano la tavola o la tela, come preparavano i pigmenti, come stendevano il colore, come sfumavano, come gestivano ombre e luci. Uno studio dello stile a partire dai materiali, che nella storia della pittura, in fondo, sono più o meno sempre rimasti gli stessi.
Ma cosa c’entra il manuale di Doerner con l’omonimo istituto? C’entra eccome, perché sulla scorta degli scritti pubblicati e dei seminari svolti in accademia, nel 1937 venne istituito il Staatliche Prüf- und Forschungsanstalt für Farbentechnik, ovvero l’Istituto di prova e ricerca per la tecnologia del colore, che da quasi cento anni si occupa di analisi diagnostiche sui dipinti della Pinacoteca nazionale di Baviera e su quelli di moltissime altre istituzioni internazionali di alto livello. Insomma, quando c’è da capire che tipo di pigmento, quali olii siccativi, quali vernici utilizzasse un pittore, nella maggior parte dei casi, il punto di riferimento mondiale è questo laboratorio in Germania.
Un artista dovrebbe leggere il manuale del Doerner? Probabilmente sì, per completare il proprio bagaglio tecnico. E un collezionista? Se vuole ampliare la propria cultura sì, altrimenti può approcciare un testo recente più semplice ma che al Doerner deve moltissimo: Colore. Una biografia, di Philip Ball, chimico inglese che della chiarezza divulgativa anglosassone può fare un vanto.