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Arti digitali: torna a Roma “Videocittà – Il Festival della Visione “

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Ruoterà tutta attorno all’architettura industriale del Gazometro di Roma la quinta edizione di Videocittà – Il Festival della Visione (20-24 luglio) che aprirà domani, rinnovando il suo impegno per promuovere e diffondere consapevolmente la conoscenza digitale nell’era contemporanea.

Per capire meglio cosa troveremo nelle cinque “sedi” dell’evento, abbiamo incontrato i curatori Edoardo Durante e Ivan Quaroni, assieme a Giulio Bozzo, CEO e Fondatore di Reasoned Art, prima galleria italiana dedicata alla crypto arte e NFT partner dell’evento romano, per il quale ha curato Presente Futuro, una mostra site specific dedicata alla moltitudine dei linguaggi dell’arte digitale. Un incontro che è stato anche l’occasione per conoscere, più da vicino, le forme più avanzate dell’audiovisivo e delle arti digitali.

Nicola Maggi: Domani prenderà il via, a Roma, l’edizione 2022 di Videocittà. Cosa troveremo nelle varie sedi in cui si articola l’evento?

Edoardo Durante:Videocittà – il Festival della Visione, che in occasione dell’edizione 2022 prenderà vita all’interno del Gazometro di Roma, prevede una rassegna ricca di artisti e personalità di fama internazionale. Ospiti fondamentali per la ridefinizione e la mappatura dei confini della scena contemporanea delle cosiddette visual arts si susseguiranno all’interno del festival, tra cui non si possono non citare il collettivo artistico di origine italiana Fuse*, che presenterà l’installazione site specific Luna Somnium; le A.V. performances di Maotic e Franz Rosati; l’installazione interattiva presentata da Universal Everything, la rassegna di opere d’arte digitale Presente Futuro e i numerosi talks che ospiteranno personalità eccezionali come Oliviero Toscani, Wu Tsang, Valentino Catricalà e molti altri”. 

Emanuele Dascanio, Where the Soul. Courtesy: Reasoned Art.

N.M.: Tra le sezioni certamente di maggior interesse, almeno per il pubblico, quella presso l’Opificio 41, dedicata agli NFT, uno dei “tormentoni artistici” del momento. Quali saranno i principali artisti presenti? 

E.D.: La rassegna vedrà l’esposizione di opere d’arte digitale realizzate da quelli che possono essere considerati come i migliori artisti italiani, e non solo, che recentemente hanno lavorato e supportato le loro opere anche grazie alla tecnologia NFT. In mostra sarà possibile ammirare le creazioni di Giovanni Motta, al centro del cui lavoro c’è Jonny Boy, metafora del bambino interiore che abita la coscienza di ogni uomo; le opere di Giuseppe Lo Schiavo, artista che lavora tra Londra e Milano e concentra i suoi sforzi nel tentativo di intersezione di arte, scienza e tecnologia, o ancora l’immaginario di derivazione medioevale di Tommaso Buldini, che presenta un’opera in collaborazione con il cantautore italiano Colapesce. Ci saranno, poi, le visioni futuristico-distopiche di Marco Zagara; le composizioni razionali ed iperdettagliate di Fabiola Sangineto; le Vertigini, visioni dall’alto, tipiche della produzione di Fabio Giampietro e molti altri. Per quanto riguarda le proposte internazionali, partecipano a Presente Futuro artisti di fama mondiale come Jan Hakon Erichsen, Esteban Diacono, Scorpion Dagger e Parallel Studio“. 

N.M.: Tra gli obiettivi di Videocittà, quello di “promuovere e diffondere consapevolmente la conoscenza digitale nell’era contemporanea. Prendendo spunto proprio da questo intento, non credete che la semplificazione che oggi porta ad identificare l’NFT con l’opera stessa generi, in realtà, un po’ di confusione…  Non sarebbe più corretto parlare, più genericamente, di Arte Digitale invece che di NFT Art

Giulio Bozzo: “Sono assolutamente d’accordo. In questi mesi si è creata molta confusione attorno ai termini NFT, Cryptoarte e Arte digitale. Cerco di fare un po’ di ordine.  

La Cryptoarte è arte digitale certificata e venduta tramite la tecnologia blockchain e l’utilizzo degli NFT. Quest’ultimi rappresentano un certificato di autenticità di un asset digitale: se un’opera d’arte fisica ha un corrispettivo certificato di autenticità fisico, lo stesso vale per le opere d’arte digitali con gli NFT

Questa tecnologia perciò risolve due ingenti problemi del mercato dell’arte: la riproducibilità di un file digitale e l’opacità del mercato dell’arte. Infatti grazie alla tecnologia blockchain, sottostante agli NFT, è possibile tracciare ogni transazione in modo trasparente garantendo e automatizzando il pagamento delle royalties agli artisti nel mercato secondario”. 

Giuseppe Lo Schiavo, Dicotomica. Courtesy: Reasoned Art.

N.M.: Le etichette, si sa, lasciano sempre il tempo che trovano, ma sono molto utili, a patto che abbiano un senso. Esiste una differenza reale tra la Digital Art e Crypto Art?

Ivan Quaroni: “Digital Art e Crypto Art condividono alcuni elementi, ma, nell’insieme, sono più dissimili di quanto si pensi. La vulgata comune di coloro che poco conoscono e frequentano il mondo della Crypto Art è che questa sia, in fondo, un proseguimento della Digital Art. Ma non è così.

La Digital Art, così come è stata raccontata e riepilogata in Italia da alcuni esperti come Domenico Quaranta, Valentino Catricalà, Andrea Balzola e Paolo Rosa e, in parte ,anche da Valentina Tanni e Matteo Bittanti, è un’arte che, pur nel ruolo marginale in cui è stata relegata, ha sempre intrattenuto rapporti (più o meno conflittuali) con l’universo di riferimento dell’arte contemporanea, di cui ha rappresentato la frangia più sperimentale.

Voglio dire che gli artisti digitali si sono mossi in un perimetro culturale collegato in qualche modo con la storia dell’evoluzione dei linguaggi artistici, erano, cioè, consapevoli di praticare forme d’arte innovative rispetto  quelle più premiate dal mercato e dal collezionismo mainstream.

La Crypto Art, che può essere sia un’arte digitale che un’arte semplicemente digitalizzata, rappresenta invece una cesura con il mondo dell’arte ufficiale, col quale, finora, intrattiene un dialogo scarso o nullo. Alcuni dei protagonisti della Crypto Art provengono dall’arte, diciamo così, tradizionale, come ad esempio alcuni dei cosiddetti OG (Original Gangster), cioè i pionieri che per primi hanno indagato le potenzialità comunicative, espressive e poi anche economiche dell’arte su blockchain.

Niro Perrone, Augmented Irreality. Courtesy: Reasoned Art

Tra questi, molti hanno sperimentato tutto il peggio del vecchio sistema dell’arte, che si è dimostrato ostico o inospitale nei loro confronti. Questo sentimento di delusione li ha spinti a cercare nuovi canali espressivi legati alla tecnologia digitale e a dialogare con nuovi interlocutori nelle community, che non hanno nulla che fare col mondo dell’arte, ma che sono, piuttosto, esperti di tecnologia.

Bisogna inoltre sottolineare che la stragrande maggioranza dei “creatori” che vendono le loro opere su piattaforme come SuperRare, Foundation, OpenSea, Nifty Gateway o Reasoned Art, non hanno alcuna esperienza del circuito dell’arte ufficiale, quello che domina le principali Fiere del settore e che ha rapporti con istituzioni museali e con grandi manifestazioni artistiche internazionali come la Biennale di Venezia, Documenta o Manifesta.

Di più, direi che la maggior parte degli artisti crypto non ha mai avuto un rapporto con una galleria d’arte e non ha mai avuto l’opportunità di esporre le proprie creazioni in un qualsiasi tipo di esposizione. La rivoluzione degli NFT e l’apertura di marketplace dedicati alla vendita di opere uniche o di edizioni e perfino di collectible, ha consentito a una pletora di creativi provenienti dalle più disparate discipline di esprimersi “artisticamente”.

Quindi possiamo dire che la Crypto Art ha spalancato le porte su un immenso serbatoio creativo che non ha mai dialogato con il mondo dell’arte, ma che è stato capace di creare un nuovo sistema caratterizzato da un’etica, un gergo, una modalità d’espressione nuove, dove la community, cioè l’insieme di artisti, creatori, informatici, collezionisti, appassionati, ha un ruolo centrale e determinante.

Fabio Giampietro, Insider Framing. Courtesy: Reasoned Art.

Un crypto artista non è un artista digitale che usa, magari saltuariamente, un marketplace per vendere le proprie opere, ma è un creatore che dialoga quotidianamente con gli altri membri della community, che segue l’andamento e le evoluzioni delle criptovalute e le novità che riguardano le piattaforme di vendita e che soprattutto conosce, segue e sostiene, talvolta con varie forme di collaborazione, altri artisti che operano in questo settore creativo.

La Crypto Art non è la Digital Art, pur essendo un’arte evidentemente digitale. Ha un diverso background culturale e rappresenta qualcosa di diverso, non necessariamente migliore o peggiore, nel campo delle espressioni visive contemporanee. Di certo non è un fenomeno passeggero, perché non sono passeggeri strumenti come la blockchain e gli NFT, che avranno numerose applicazioni fuori dal recinto puramente artistico”.

Lorenza Liguori, Ara Pacis. Courtesy: Reasoned Art.

N.M.: Il recente successo e il clamore suscitato da artisti come Beeple o Mad Dog Jones dà l’idea di un fenomeno molto recente. In realtà la storia dell’Arte Digitale inizia già negli anni Sessanta, con le prime immagini generate al computer. Come si è evoluta, in tutto questo tempo, l’estetica digitale (se esiste)?

Edoardo Durante: “La storia dell’arte, o meglio, l’arte contemporanea è senza ombra di dubbio figlia dell’epoca e della società in cui si sviluppa, una sorta di specchio che interpreta e rielabora quegli eventi che si susseguono inesorabilmente e si ramificano giorno dopo giorno. Non credo esista un’estetica digitale univoca o immediatamente identificabile come tale, tutt’al più ritengo esistano diverse forme disciplinari che vedono le loro origini nel medium digitale e che hanno trovato poi differenti forme di sviluppo.

Sicuramente fenomeni come, ad esempio, la nascita della cosiddetta computer art e successivamente della net art, o l’epocale mostra Information, che prese forma presso il Museum of Modern Art di New York (MOMA) nel 1970, hanno segnato delle tappe fondamentali per lo sviluppo e la presa di coscienza di certe forme espressive, considerate ai tempi ancora immature e che al giorno d’oggi svolgono un ruolo fondamentale nel panorama artistico contemporaneo e mondiale.

Oggigiorno non credo sia corretto parlare di estetica digitale perché la tendenza sempre più contemporanea, volta all’intersezione di campi disciplinari apparentemente agli antipodi, spinge verso l’unione di tematiche e argomentazioni a primo impatto troppo distanti per poter dialogare, ottenendo risultati mai visti prima d’ora. Musica, scienza, arte, tecnologia ed in certi casi moda, sono le radici da cui si sviluppano diverse pratiche artistiche che erroneamente potremmo ricondurre sotto il grande cappello che prende il nome di Arte digitale“. 

Giuseppe Veneziano, L’ultimo Selfie. Courtesy: Reasoned Art

N.M.: Esistono dei filoni di ricerca principali tra gli artisti digital di nuova generazione e in cosa si differenziano rispetto a quelli dei loro predecessori?

Ivan Quaroni: “Esistono delle forme linguistiche, non necessariamente nuove, che la community crypto privilegia. Non esiste, invece, una grammatica unica e monolitica, come del resto nell’ambito della Digital Art

Tra le centinaia, anzi migliaia, di artisti che si sono avventurati nel mondo degli NFT, oltre quelli che provengono da precedenti esperienze artistiche, ce ne sono molti che, invece, si sono fatti le ossa nell’industria cinematografica o in quella dei videogame, nella pubblicità o nella televisione, lavorando come graphic designer, conceptual artist, character designer, art director, matte painter, 3D artist, visual designer o game designer, ed altri che, semplicemente, si sono dilettati a produrre arte digitale in maniera amatoriale.

Per molti, soprattutto per quelli che rientrano nella categoria dei commercial artists, la scoperta degli NFT è stata un modo di dare al proprio know how digitale e creativo una dimensione artistica e autoriale, finalmente libera dagli obblighi imposti dalla committenza”. 

N.M.: Quando mi capita di guardare alle opere più recenti di Arte digitale, o NFT art che dir si voglia, non posso fare a meno di pensare al percorso fatto dalla Fotografia per affermarsi come arte. Come nella fotografia delle origini, anche in questi lavori  mi pare sia ancora molto forte il legame con altre forme espressive (dall’illustrazione all’arte cinetica), tanto che spesso si ha l’impressione che la reale novità stia tutta nel “medium”. La sensazione, insomma, è che ancora, questo nuova forma d’arte non abbia sviluppato un linguaggio suo proprio…

I.Q.: “Il succitato background dei “creatori” è direttamente collegato alle pratiche e alle forme espressive prevalenti nel mondo Crypto. La Crypto Art, infatti, non è un fenomeno artistico alla stregua dell’Impressionismo, del Futurismo o del Dadaismo, caratterizzato da uno stile, da una tecnica o da contenuti programmatici coerenti, ma qualcosa di estremamente variegato, tentacolare, multiforme e, dunque, molto difficile da definire.

Gli immaginari dominanti sono quelli della Fantascienza, del Cyberpunk, dei Videogame, di estetiche nate nella rete, come la Vaporwave e la Retrowave, dei fumetti e dei cartoni animati, soprattutto Anime e Manga, della Pixel Art, della Glitch Art, dell’Arte Generativa e di tutte quelle opere create con applicazioni di Intelligenza Artificiale.

Sono linguaggi formatisi all’incrocio tra la Pop culture, la tecnologia digitale e qualche volta anche la scienza. Alla base c’è la consapevolezza del futuro distopico che ci attende e dell’inevitabile ibridazione tra uomo e macchina e tra intelligenza umana e artificiale. Il futuro non è, però, l’unico tema. Ci sono poi altre questioni, non propriamente formali o contenutistiche, che riguardano i luoghi e le nuove modalità di fruizione dell’arte. Ma questo è un altro discorso…”

Marco Zagara, Awakening. Courtesy: Reasoned Art.

N.M.: Un collezionista, o anche un appassionato d’arte, come dovrebbe porsi davanti ad un’opera contemporanea di arte digitale per poterla apprezzare pienamente?

Giulio Bozzo: “Non credo ci debba essere una differenza nel modo in cui lo spettatore deve porsi davanti ad un’opera fisica piuttosto che ad un‘opera digitale.  Valgono le stesse regole di sempre: analisi della tecnica utilizzata dall’artista, messaggio che vuole trasmettere con quella determinata opera, analisi della composizione e della cromaticità dell’artwork… 

Cambia lo strumento utilizzato, ma non cambia il modus operandi. Personalmente sono affascinato dal mondo dell’arte digitale perché vede protagonisti artisti che utilizzano il medium più comune dei nostri tempi, sperimentare intercettando il futuro e proponendo una visione innovativa del presente. 

Gli artisti digitali affrontano tematiche di grande attualità come la sostenibilità, la differenza di genere, la sovrappopolazione, la sorveglianza, i dati … 

Grazie all’arte digitale inoltre possiamo analizzare e studiare le possibilità che i vari strumenti tecnologici quali l’AI, la realtà aumentata e la realtà virtuale, possono offrirci non solo nel campo artistico ma anche nei vari diversi settori in espansione in modo tale da delineare una governance dell’innovazione per gestire e non subire il progresso tecnologico. 

I collezionisti di arte digitale devono essere curiosi e devono aprirsi al dialogo con le nuove generazioni per capire fino in fondo la portata di questa nuova rivoluzione nel mondo dell’arte”. 

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.

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