Mi piace ripercorrere oggi la storia del Medialismo, l’ultimo movimento artistico in Italia capace di radunare attorno a sé un nucleo consistente di artisti, in una sorta di “avanguardia” fortemente legata al movimento degli anti-establishment, schierato contro il confinamento delle opere nelle gallerie, nei musei e nei tradizionali luoghi dell’arte e che, estendendo il decostruzionismo di Jacques Derrida alle arti visive, rende ogni persona un potenziale artista.
A partire dalla prima metà degli anni ‘80 il critico partenopeo Gabriele Perretta inizia un personalissimo percorso che partendo dal Graffitismo newyorchese arriva ai New Media, che lo portò a raccogliere attorno a sé un nucleo consistente di artisti fra cui i pittori Gian Marco Montesano, Sergio Cascavilla, Santolo De Luca, Enrico Tommaso De Paris, Antonella Mazzoni, Fabrizio Passarella, Luigi Mastrangelo, Ronald Victor Kastelic, Igort, Gabriele Lamberti, Maurizio Cannavacciuolo, Stefano Pisano e altri artisti come Cesare Viel, Emilio Fantin, Formento-Sossella, Luca Vitone, Tommaso Tozzi, che operano attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici quali i sistemi di comunicazione e organizzazione, fino ad arrivare al linguaggio informatico e alla rete di internet dove l’opera d’arte non è più autonoma ma viene presa, spostata, condivisa e continuamente mutata da chi ne fa uso.
Da lì alla teorizzazione del Medialismo il passo sarà breve, gli scritti di Perretta iniziano a diffondersi con sempre maggiore frequenza e regolarità e presto si arrivò alla omonima mostra collettiva nell’ottobre 1993 che inaugura l’appena nato Flash Art Museum di Trevi (PG) dove vengono esposti 35 artisti provenienti da tutto il mondo, tra cui l’analitico Maurizio Cattelan. Nel Medialismo si possono, infatti, riconoscere diverse anime o meglio componenti espressive che si possono sintetizzare in:
- Pittura mediale
- Medialismo analitico
- La Ditte come Imprese mediali
Gabriele Perretta in un suo testo del 1997, così espose la prima fase del Medialismo in “Arte, Media e Comunicazione”:
Per quanto riguarda l’indagine sulle pratiche artistiche, andavo collocando la questione in questo modo: c’era una situazione legata alla pittura, che io chiamavo pittura mediale perché mutuava dall’universo mediologico e faceva una pittura non-pittura; nel senso che eseguiva una pittura che non voleva essere pittura, ma voleva essere un richiamarsi all’immagine mediale. Poi seguivo una seconda tendenza che assumeva delle connotazioni sempre più mentali, analitiche e più che di un’opera materialmente concepita pensava ad una collocazione dei linguaggi, dei codici, dei segni in un universo più espanso, più aperto, che andava dall’utilizzo di strumenti tradizionali fino ad arrivare a tecnologie avanzatissime, però facendolo con questo atteggiamento molto analitico, molto mentale. Infine c’era invece una terza conformazione che era legata a quei gruppi, quelle bande, quelle associazioni anonime che lavoravano attraverso dei segnali di riconoscimento più che attraverso la propria firma come atto di riconoscimento, la firma individuale, la firma dell’autore come atto di riconoscimento.
In quegli anni vi fu una vera e propria corsa da parte di tantissimi artisti per entrare a far parte del Movimento, tanto da far dichiarare a Perretta, in occasione dell’uscita del catalogo: «Vista la notevole mole di artisti mediali e la mancanza di spazio sufficiente nel saggio, ho scelto una selezione esemplificativa».
Nella pittura l’idea primordiale sarà quella di realizzare delle opere partendo da immagini già esistenti nel sistema dei media, arrivando a una loro rilettura piuttosto che a una mera copia. Gli artisti prendevano spunto da mass media quali cinema, televisione, pubblicazioni destinate al grande pubblico, come mezzi per offrire poi nel loro lavoro svago e arricchimento al fruitore, rappresentando un’azione positiva sullo stato psicologico e uno stimolo al miglioramento. Molti collezionisti seguirono con attenzione l’evolversi del movimento e la stampa nazionale vi diede ampio spazio con diversi articoli su giornali e riviste. Tra i galleristi mi piace citare Pier Paolo Ruggerini, regista televisivo, appassionato d’arte, collezionista e gallerista, punto di riferimento fondamentale con la storica Galleria Ruggerini & Zonca per tanti bravi artisti italiani e stranieri.
Poi, velocemente come era cresciuto, a causa della crisi dell’economia reale che si cominciava a sentire fortemente sul ceto medio che aveva rappresentato una nuova ed energica spinta per il collezionismo e complici dissapori e attriti tra gli artisti alla vigilia di un appuntamento molto importante che doveva consacrare il movimento, iniziò a calare il sipario sui Medialisti.
Vi fu un fuggi-fuggi generale e visto l’italico vizio di dimenticare in fretta il passato anche più recente, iniziarono in molti a non citare la loro esperienza medialista quando non proprio a rinnegarla. Oggigiorno, tantissimi di quegli artisti medialisti sono ancora attivi e portano avanti una loro personalissima ricerca che, seppur non più esplicitamente medialista, non può non tenere conto nel proprio intimo di un’esperienza collettiva che merita di essere ricordata e permettetemelo, studiata come dovrebbe.
Si lascia quindi al singolo lettore di approfondire l’argomento trattato sperando di essere stati di stimolo alla riscoperta di una parte di storia dell’arte italiana poco conosciuta.