Aron Demetz, classe 1972, è uno scultore altoatesino che da oltre vent’anni porta avanti una ricerca che coniuga magistralmente il fare antico con la sperimentazione contemporanea. Demetz ha da sempre una predilezione per le figure e le espressioni umane, interpretate e sperimentate attraverso tecniche differenti, apprese fin dalla sua formazione all’Istituto d‘Arte di Selva di Val Gardena – dove tutt’oggi vive e lavora – e perfezionate nella classe di Christian Höpfner all‘Accademia di Belle Arti di Norimberga, negli anni Novanta.
La fervida fantasia tematica e narrativa dell’artista ha preso corpo negli anni nella scelta di materiali sempre nuovi, con una predilezione per il legno, anche carbonizzato, e per i metalli come il bronzo, ma senza disdegnare di lavorare anche resina, vetro, refrattario e gesso…
Ogni materiale contiene un patos esistenzialistico che Demetz libera o incrementa attraverso personali scelte stilistiche, che spesso indagano i processi di trasformazione della materia e si spingono al limite del suo controllo. Ogni materiale segue un percorso specifico, che l’artista manifesta e sottolinea con alcuni particolari lasciati volutamente in una condizione di “non finito”.
Project Marta ha approfondito esecuzione, tecniche e materiali per ognuna di queste tipologie di lavori, raccogliendo tramite le interviste mirate tutte le informazioni utili a conoscerli in profondità, e quindi a tutelarli nel corso della loro esistenza, creando apposite schede tecniche per accompagnare le opere. Una panoramica del lavoro di Demetz sarà da domani in mostra al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove la grande personale Autarchia verrà aperta al pubblico fino al 29 luglio 2018.
Molte altre sue opere sono in Galleria da Davide Paludetto a Torino, che rappresenta l’artista insieme alla Galleria di Doris Ghetta di Ortisei e Galleria Barbara Paci di Pietrasanta Gallery Sun Taipei di Taiwan. L’opera che andiamo oggi ad approfondire, e per cui è stata realizzata la scheda tecnica Project Marta, è Advanced Minorities, una scultura in legno di tiglio realizzata nel 2012, alta 215 cm.
Benedetta Bodo di Albaretto: Advanced minorities è una scultura che fa parte di una serie omonima, presentata per la prima volta nel 2011, fulcro di un’esposizione alla Pelanda e rappresentativa dell’idea della “germinazione” dei tronchi. Questo lavoro è stato letto come una coerente, continua espressione della tua riflessione sul concetto di mescolamento e ricombinazione formale tra figura umana e ambiente naturale. È da questo percorso che è nata questa nuova forma espressiva?
Aron Demetz: «Si questa definizione, questo binomio mi trova d’accordo. Il lavoro nasce proprio dall’idea di germinazione, dal termine tedesco “Keimzeit”, che letteralmente significa “tempo della germinazione”, e si riferisce al proliferare della materia in maniera del tutto autonoma e inaspettata. L’idea dell’imprevedibilità della natura mi entusiasma molto. Il legno è una materia perennemente viva, ha la capacità di evolversi, mutare e rinnovarsi in assoluta indipendenza, ed ancor di più fuori dal mio controllo e da ogni mia volontà. Questo fa si che il mio lavoro rifletta costantemente sul concetto di equilibrio tra uomo e ambiente».
B.B.: Molti tuoi lavori – penso soprattutto alle figure intagliate, carbonizzate, ibridate con altri materiali – mostrano le tracce di una sfida tra l’artista e la tecnica che padroneggia. Cosa vorresti venisse recepito dal pubblico e dagli operatori, in generale per la serie e in particolare per Advanced minorities?
A.D.: «L’idea originale ha preso forma osservando il tronco di un albero all’interno del bosco, dove sul lato nord cresce il muschio perché è una parte che non è mai esposta al sole. Sono rimasto affascinato dall’idea che anche una scultura figurativa potesse avere una parte ombrosa e una soleggiata, dal fatto che all’interno di un’unica figura possano convivere allo stesso tempo una parte animale (la zona “pelosa”) e una parte umana (la zona “levigata”). Nel caso specifico dell’opera in oggetto, la produzione è avvenuta tramite un robot a controllo numerico, e secondo il mio punto di vista la sfida interessante avviene proprio tra la macchina (robot) e l’artista, ponendo il processo creativo a confronto con un mezzo ingegnerizzato. Questo approccio cambia il modo di pensare e progettare l’opera e la sua realizzazione, perché per quanto mi riguarda l’utilizzo del robot è un mezzo che mi permette di ottenere e creare quel tipo di superficie. Trovo molto interessante il binomio macchina e natura, poter utilizzare una macchina, che posso dirigere, sfruttandone le potenzialità su una materia viva come il legno. Mi interessa particolarmente che l’osservatore percepisca il mezzo robotico come uno degli strumenti per realizzare le mie opere, ovviamente più ingegnerizzato ed evoluto di ogni altro strumento utilizzato fino a questo momento. Alla fine tutti i mezzi che utilizzo per realizzare le mie sculture sono comunque i miei attrezzi, ognuno di loro mi offre la possibilità di creare superfici differenti, quindi un linguaggio comunicativo con diverse sfaccettature. La sgorbia classica mi offre certe possibilità, la macchina altre, ed è chiaro che non riuscirei a creare a mano ciò che invece mi permette di realizzare il robot».
B.B.: Hai quindi lasciato che la fresa con cui abbozzi il tronco per creare la prima traccia di figura creasse lunghi trucioli pelosi sulla pelle delle sculture, donando loro un movimento inaspettato, rendendole quasi vive. Come si è materializzata questa modalità di utilizzo?
A.D.: «Tra gli aspetti che più mi interessano della fase di lavorazione del robot è proprio il passaggio intermedio, ovvero il momento in cui dopo aver abbozzato l’opera, il robot inizia a levigare la materia. Il legno, proprio come se fosse una difesa naturale ed istintiva, inizia ad “alzare il pelo” creando quindi quei filamenti di truciolare, ed è proprio in questo passaggio che il robot esce di scena, termina il suo lavoro. Alcune sculture sono più levigate, altre più “pelose”, non è tutto così sincronizzato e meditato nei minimi particolari, per cui nella fase di produzione dell’opera mi faccio guidare molto anche dall’istinto e dal processo creativo del momento».
B.B.: Mi puoi raccontare i tempi di “incubazione” ed il processo creativo che ha portato alla progettazione, realizzazione e all’allestimento di quest’opera?
A.D.: «Diventa difficile identificare i tempi di incubazione di un progetto, è qualcosa che ti appartiene da sempre, e che giorno dopo giorno matura e si concretizza fino a che tutte le condizioni ideali per la realizzazione, la produzione, l’allestimento non convergono tutte assieme, allora diventa il momento giusto per poter focalizzare l’attenzione proprio su quel progetto, anziché un altro… In questo caso subentra ancora l’incognita della natura, perché il tronco per la realizzazione dell’opera dovrà avere dimensioni, forme e colori che corrispondano esattamente all’idea che ho in testa per poter realizzare quell’opera! La scelta del materiale non è semplice perché ovviamente non si tratta di entrare in un negozio e scegliere ciò che più ti aggrada».
B.B.: Il materiale scelto per questa scultura – essenza di tiglio – è stato preferito in funzione dell’opera? Ad esempio per ragioni cromatiche o di lavorabilità?
A.D.: «Come accennavo la scelta della materia è fondamentale, l’utilizzo del tiglio oltre che per ragioni cromatiche è sicuramente per una conservazione dell’opera. ll tiglio è un legno abbastanza leggero e molto adatto a lavori di precisione come scultura, l’intaglio, l’intarsio etc. Inoltre la superficie è particolarmente adatta ad essere trattata con colori, cere e lacche, ha una matericità molto omogenea, e soprattutto essendo uno dei pochi legni che ha una fibra lunga e con poche camere d’aria che mi danno la possibilità di creare questi “peli” lunghi».
B.B.: Quando scegli di sperimentare nuovi materiali quanto pesa la conoscenza delle caratteristiche intrinseche (origine, durevolezza, etc) nella scelta finale? Hai considerato se il legname manterrà nel tempo le caratteristiche che desideri, in termini cromatici soprattutto?
A.D.: «Rispetto ai primi lavori, nei quali il mio interesse era maggiormente incentrato sull’aspetto introspettivo e psicologico della natura umana, i lavori recenti si sono diretti su un piano differente, più attento all’indagine linguistica, quasi come se sentissi il bisogno di trasformare il materiale stesso – il legno – in puro linguaggio scultoreo, coniugando così il materiale con cui lavoro e il concetto che vi è sotteso. E questo tipo di ricerca rende necessaria una ricerca minuziosa del materiale, un’analisi attenta su tutte le sfaccettature della materia. Ed è proprio attraverso la scelta della materia e della sua lavorabilità che le sculture si animano di vita propria, lasciando aperte più interpretazioni possibili sui loro significati simbolici, anche se l’impostazione della figura rappresentata offre sempre un forte indizio di partenza».