Mi pare che Vitaliano Trevisan e Carlo Scarpa avessero diverse cose in comune. Entrambi veneti, entrambi legati a Vicenza, entrambi plasmati dal lavoro che era anche ispirazione primaria per le loro diverse forme d’arte.
Buona parte della produzione letteraria di Trevisan, infatti, principia dalla miriade di esperienze lavorative avute: da lattoniere a gelataio, passando per lo spaccio, come raccontato nelle settecento pagine della summa autobiografica Works.
Carlo Scarpa, invece, si era fatto le ossa lavorando per diverse vetrerie di Murano, la più celebre delle quali era la Venini.
È curioso che Carlo Scarpa – così paradigmatico e influente – non abbia prodotto alcun testo teorico, alcun manifesto, alcun saggio critico o autocritico: è uno spettro che parla attraverso i suoi lavori.
Così com’è uno spettro l’architetto, evidentemente plasmato sulla sua figura, che anima le pagine di quella che credo essere l’ultima opera pubblicata in vita da Trevisan: Il delirio del particolare, trascrizione di uno spettacolo teatrale messo in scena a Brescia nel 2017.
Un Kammerspiel di cui Carlo Scarpa è il protagonista occulto, presente nelle parole della vedova di un ricco industriale veneto, che riporta i propri ricordi al professore di storia dell’architettura Bernardi e al fido servitore Cecchin.
In breve: la signora si ritrova dopo tanto tempo a dover riaprire la vecchia casa progettata dall’architetto, dal momento che questa dovrà essere messa in vendita. Si tratta di un’abitazione permeata dall’ossessione per il progetto e dal delirio del particolare, che alla signora la rendono estranea se non ostile. Anche perché questa casa ha un difetto: il tetto da sempre perde acqua.
Un difetto che è, però, il punto d’appoggio per ribaltare quella massima di Goethe secondo cui l’architettura sarebbe musica congelata: la goccia che cade dal tetto scandisce il ritmo per una partitura musicale suonata dalla pioggia, scongelando l’architettura, liberando la musica.
Sotto il velo della finzione teatrale, l’architettura di Carlo Scarpa è veramente assimilabile a una partitura musicale, basata su ritmo, pause e sfumature. Nel testo di Trevisan, si parla soprattutto del Carlo Scarpa progettista di abitazioni, ma lo stesso discorso si può adattare allo Scarpa museografo, cioè allestitore di mostre e percorsi museali. È in questa disciplina che Scarpa ha probabilmente lasciato il segno più duraturo, imitato e ancora oggi vivo.
BERNARDI: Ho avuto la fortuna di lavorare nel suo studio
anzi
nella sua bottega
come la chiamava lui
per un paio d’anni
mentre preparavo il dottorato
Spiegava
faceva uno schizzo
poi ci metteva sopra una carta velina
tracciava un’altra soluzione
poi una terza e così via
E quand’era il momento di redigere il progetto esecutivo
mi ritrovavo sempre in grande imbarazzo
perché tutte le stesure erano ottimali
Troppi da poter qui enucleare i suoi progetti in qualità di museografo. Un esempio per tutti è, però, il lungo lavoro per Verona: tra il 1958 e il 1974, infatti, Carlo Scarpa curò il restauro del Castelvecchio di Verona e l’allestimento del museo d’arte scaligera al suo interno contenuto.
Chi c’è stato non può non aver colto l’ossessione per il dettaglio e il delirio del particolare: gli accostamenti audaci tra pietra e calcestruzzo e tra legno e acciaio, l’uso dei panneggi e dei cavalletti, la collocazione delle sculture e delle opere dipinte nello spazio, la cura degli scorci e dei plurimi punti d’osservazione possibili. Il percorso stesso è sostanzialmente un’opera d’arte, a volte più rilevante della pur meritevole collezione.
Carlo Scarpa aveva fatto l’Accademia di Venezia diplomandosi in disegno progettuale. È risaputo come di fatto non fosse un architetto. O meglio, che non avesse un titolo e che non l’ebbe mai, perché morì prima di riceverne uno anche solo onorifico, scivolando lungo le scale mentre si trovava in Giappone.
VEDOVA: Quando si sparse la notizia
tutti si stupirono
non tanto che fosse morto in Giappone
paese che amava sopra ogni altro
ma che fosse accaduto a Sendai
una città di cui nessuno aveva mai sentito parlare
[…]
Migliaia di chilometri per andarsene a morire in una città in cui non c’è niente
Le idee riguardanti la partitura dello spazio potevano essere facilmente adattate anche agli ambienti commerciale e abitativo. Così, Scarpa progettò decine di abitazioni e negozi ancora oggi tra i più riconoscibili, senza contare la celebre Tomba Brion al cimitero di Altivole, vicino a Bassano del Grappa, la cosa più zen mai progettata da un occidentale. Esiste persino una sorta di turismo scarpiano tra il Veneto e il resto d’Italia, alla ricerca maniacale del particolare perduto.
VEDOVA: Tutto diventava per lui un particolare
da approfondire
da discutere
Del resto
un insieme
è sempre un insieme di particolari
di frammenti
non è così
BERNARDI: Frammento è una parola chiave
molto più di particolare
Il frammento
che ci rimanda sempre a un tutto irrimediabilmente
perduto
defunto
irrecuperabile