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Addio a Claes Oldenburg

del

Lunedì scorso, all’eta di 93 anni, è scomparso Claes Oldenburg. A darne l’annuncio è stata la Pace Gallery che da 60 anni seguiva il suo lavoro.

Famoso per le sue sculture, i suoi disegni e i colossali monumenti pubblici che trasformano oggetti familiari e quotidiani in entità animate, Oldenburg è stato una voce di primo piano del movimento Pop Art che, nel corso di oltre sei decenni, ha ridefinito la storia dell’arte. Insieme a sua moglie e collaboratrice di lunga data, Coosje van Bruggen, Oldenburg ha realizzato oltre 40 progetti pubblici su larga scala in tutto il mondo.

Nato a Stoccolma il 28 gennaio 1929, il giovane Claes (pronuncia corretta Klahs) passa buona parte della sua gioventù a Chicago dove di strasferisce con la famiglia nel 1936. Ed sempre qui che, nel 1950-54, dopo aver studiato letteratura e storia dell’arte alla Yale University, intraprende gli studi d’arte all’Art Institute of Chicago.

Claes Oldenburg, Screwarch,  1982. Museo Boijmans Van Beuningen, Rotterdam, Paesi Bassi

Nel frattempo (1953) diventa cittadino degli Stati Uniti e nel 1956 si trasferisce a New York dove entra in contatto con numerosi artisti di arti performative, diventando una delle maggiori figure nell’ambito delle performance e degli happening tra gli anni cinquanta e sessanta. In questo ambito crea gli ambienti effimeri e collaborativi The Street (1960), The Store (1961) e Bedroom Ensemble (1963). Nello stesso periodo inizia anche a produrre le sue iconiche sculture morbide.

Nel 1959 la Judson Gallery di New York espone alcune sue opere alquanto enigmatiche: immagini di figure umane mostruose e oggetti quotidiani creati con più tecniche (disegno, collage, papier-mâché). Mentre nel 1961 apre nel suo studio The Store, per presentare oggetti d’uso quotidiano in gesso. Nel 1962, quando inizia ad imporsi sulla scena artistica, viene riconosciuto come esponente della Pop Art.

Il 1962 è anche l’anno della sua prima partecipazione ad un mostra alla Pace Gallery dove, nel 1964, terrà anche la sua prima personale con le opere proprio di The Store.  Il primo intervento pubblico su larga scala dell’artista, un fossato profondo sei piedi intitolato Placid Civic Monument, è stato realizzato al Central Park a New York, dietro il Metropolitan Museum of Art, nel 1967.

Nel 1969, la sua scultura in acciaio su larga scala Lipstick (Ascending) on Caterpillar Tracks, un altro dei primi lavori pubblici, è stato presentato alla Yale University.

Claes Oldenburg allo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1970

Nel 1977 Oldenburg ha sposato Coosje van Bruggen e la coppia ha lavorato insieme per oltre 30 anni, creando sculture, spettacoli e altre opere d’arte trasformative. 

Le loro sculture monumentali sono state installate negli Stati Uniti, in Europa e in Asia al Rincon Park di San Francisco, a Piazzale Cadorna a Milano, al Cheonggyecheon Stream a Seoul e in molti altri siti. La scultura su larga scala di Oldenburg e van Bruggen Spoonbridge and Cherry (1985-88) al Walker Art Center di Minneapolis è diventata un simbolo della città.

Altri importanti lavori del duo includono The Music Room, che ha debuttato al PaceWildenstein di New York nel 2005 e, successivamente, è stato presentato al Whitney Museum of American Art, e la performance Il Corso del Coltello, presentata per la prima volta a Venezia, in Italia, nel 1985 nell’ambito di una collaborazione con l’architetto Frank Gehry e il curatore e scrittore Germano Celant.

Claes Oldenburg and Coosje van Bruggen in their studio with Standing Collar with Bow Tie (1992), 1992. Photo by Jesse Frohman, courtesy Trunk Archive

Dopo la morte di van Bruggen nel 2009, Claes Oldenburg ha prodotto un solo corpus di lavori, intitolato Shelf Life, che è stato oggetto di una mostra personale nel 2017 con la Galleria Pace a New York. L’intero corpus di opere è stato acquisito dal Museum of Fine Arts di Boston ed è stato al centro di una mostra del 2018 al museo.

Nel 2021, il lavoro di Oldenburg e van Bruggen è stato presentato nella mostra personale A Duet alla Pace Gallery di New York. Lo personale ha visto esposto anche Dropped Bouquet (2021), l’ultimo lavoro della coppia insieme, concepito verso la fine della vita di van Bruggen.

Il lavoro di Oldenburg può essere trovato nelle principali collezioni museali di tutto il mondo, tra cui il Metropolitan Museum of Art, New York; il Guggenheim Museum, New York; il Museum of Modern Art, New York; il Whitney Museum of American Art, New York; la Menil Collection, Houston; il San Francisco Museum of Modern Art; la Tate, London; il Moderna Museet, Stockholm; lo Stedelijk Museum, Amsterdam e altre istituzioni.

Flying Pins di Claes Oldenburg e Coosje van Bruggen,  Eindhoven , Paesi Bassi

Tra i suoi scritti più famosi, infine, impossibile non ricordare I Am For …, composto nel 1961 per il catalogo della mostra Environments, Situations, Space alla Martha Jackson Gallery. Il testo, col quale ci piace chiudere questo articolo, è – come lo definì lo stesso Oldenburg – “un’ode o un inno leggermente satirico alle possibilità di utilizzare qualsiasi cosa nel proprio ambiente (per lo più urbano) come punto di partenza per l’arte, il movimento artistico che divenne noto come New Realism o Pop Art”. “Pensavo – commentò l’artista ricordone la genesi –  che il movimento avesse bisogno di un’ode poetica sulle orme di Walt Whitman e Howl di Allen Ginsberg”:

Claes Oldenburg, Sono per un’arte… (1961)

Sono per un’arte politica-erotica-mistica, che fa qualcosa di diverso dall’appoggiare il culo in un museo.
Sono per un’arte che cresce totalmente inconsapevole di essere arte.
Sono per un’arte che s’ingarbuglia con le schifezze di tutti i giorni e riesce comunque a emergere.
Sono per un’arte che imita l’umano, che è comica, se necessario, o violenta, o qualsiasi cosa sia necessario.
Sono per tutta l’arte che prende la sua forma dalla vita, che si contorce e si estende e accumula e sputa e sgocciola, ed è pesante e volgare e brusca e dolce e stupida come la vita stessa.
Sono per l’arte che viene fuori da un camino come una chioma nera e si disperde nel cielo.
Sono per l’arte che si rovescia fuori dal portafogli di un vecchio sbalzato da un parafango in corsa.
Sono per l’arte che esce dalla bocca di un cagnolino che precipita dall’alto per cinque piani. Sono per l’arte che un bambino lecca dopo aver scartato l’involucro.
Sono per l’arte che si fuma come una sigaretta, puzza come un paio di scarpe.
Sono per l’arte che ti metti e ti togli, come i pantaloni; che si buca come i calzini; che si mangia come una fetta di torta, o si abbandona con grande disprezzo come un pezzo di merda.
Sono per l’arte che zoppica, e rotola e corre e salta.
Sono per l’arte che si avvita e ruggisce come un lottatore.
Sono per l’arte da tasca, dai profondi canali dell’orecchio, dalla lama di un coltello, dagli angoli della bocca, piantata nell’occhio o portata al polso.
Sono per l’arte sotto le gonne, e per l’arte di infilzare scarafaggi.
Sono per l’arte che scende giù dal cielo di notte, come il fulmine, che si nasconde nelle nuvole, e romba.
Sono per l’arte che si srotola come una mappa, che si può baciare come un amato cagnolino. Che si espande e scricchiola come una fisarmonica, su cui puoi rovesciare la tua cena come su una vecchia tovaglia.
Sono per l’arte che trasuda tra le gambe incrociate.
Sono per l’arte di uccelli morti.
Sono per l’arte delle chiacchiere da bar, degli stuzzicadenti, delle birre, del salare le uova, dell’insultare.
Sono per l’arte di cadere dagli sgabelli al bancone. Sono per l’arte della biancheria intima e dei taxi.
Sono per l’arte dei coni gelati caduti sull’asfalto.
Sono per l’arte maestosa delle merde di cane che s’innalzano come cattedrali.
Sono per l’arte che cade, che schizza, che si agita, salta, che va e viene.
Sono per l’arte dei miagolii e del rimestio dei gatti e per l’arte dei loro occhi muti, elettrici.
Sono per l’arte bianca dei frigoriferi e del loro aprirsi e chiudersi con forza.
Sono per l’arte dei cuori, i cuori delle corone dei morti, i cuori da innamorati, pieni di torroncino.
Sono per l’arte del dito sulla fnestra gelata, sull’acciaio impolverato, o sulla schiuma ai bordi della vasca.
Sono per l’arte degli orsacchiotti e dei fucili, degli ombrelli squarciati, degli alberi in famme, dei resti dei mortaretti, delle ossa di pollo e delle scatole con dentro uomini addormentati.
Sono per l’arte dei fiori leggermente marciti dei funerali, per l’arte dei conigli insanguinati e appesi, delle batterie e dei tamburelli, e dei fonografi di plastica.
Sono per l’arte a Prezzo Giusto, per l’arte Spendi di Meno, per l’arte Mangia Meglio, l’arte del prosciutto e quella del maiale, arte del pollo, arte del pomodoro, arte della banana, arte della mela, arte del tacchino, arte della torta, arte del biscotto.
Sono per un’arte che è pettinata, che è appesa alle orecchie, che è applicata sulle labbra e sotto gli occhi, che è rasata via dalle gambe, che è spazzolata sui denti, che è fissata sui fanchi, che è calzata sul piede.
Quadrato che diventa molle.

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.

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