Dopo aver parlato, nel precedente articolo, delle varie tecniche di stampa, veniamo ora ai disegni, intesi in generale come opere uniche su supporto cartaceo. Come già visto a proposito delle opere “seriali”, anche qui la tecnica di realizzazione riveste un’importanza fondamentale nella valutazione di mercato: si tenga però presente che, in maniera molto più accentuata che nei multipli, influenza sostanziale hanno anche le dimensioni dell’opera, il tipo di supporto stesso — carta, cartoncino, carta a mano, pergamena ecc. — nonché datazione e periodo all’interno della produzione dell’artista, soggetto o serie cui appartiene (grande la differenza tra schizzi, disegni preparatori e vere e proprie opere compiute), quindi la rarità, l’eventuale storia espositiva, le pubblicazioni… e naturalmente la bellezza (per fortuna qualcosa di non quantificabile in base a dati statistici)!
Più ancora che nell’articolo dedicato ai multipli, si farà riferimento in particolare alle opere su carta del Novecento e contemporanee. Anche in questo caso faremo un excursus sulle diverse tecniche, partendo però questa volta da quelle in linea di massima meno pregiate:
— Matita, pastelli, sanguigna, matita grassa, carboncino, biro, pennarelli: ci si riferisce ovviamente allo strumento usato per disegnare. La comune matita è solitamente un bastoncino di legno con un’anima di grafite; il tipo di segno che lascia sul foglio cambia nel colore (in una scala dal grigio al nero) e in nitidezza a seconda della cosiddetta durezza del materiale costituente: non solo la stessa grafite ma anche la mescola legante, per la quale si usano sostanze che possono variare dall’ambra al poliuretano. I pastelli sono costituiti invece da pigmenti agglomerati da un legante secco; se il legante è oleoso, o è cera, si parla appunto di pastelli a olio o a cera. Il segno che i diversi tipi di pastello lasciano sul foglio cambia, ovviamente, in base al materiale da cui sono costituiti e alla forma della loro punta (oltre che alla grana della carta), variando da un segno analogo a quello della semplice matita a un segno meno nitido e più pastoso quale ad esempio quello dei pastelli a cera, dalla punta caratteristicamente arrotondata.
La sanguigna è costituita da ematite compressa in bastoncini, e lascia sulla carta un segno dal caratteristico colore rossastro, donde il nome. Con l’aggiunta di gomma alla mescola della matita o della sanguigna, si ottiene la matita grassa, utilizzata generalmente su carta leggermente ruvida. Il carboncino si ottiene invece dalla carbonizzazione del legno, e traccia un segno nero tipico, con una sorta di lieve “polverosità” ai lati, facilmente sfumabile.
Biro e pennarelli utilizzano inchiostri (vedi sotto) rilasciati da un serbatoio, le prime attraverso una piccola sfera metallica, rotante a contatto con la carta (sistema in uso dalla fine dell’Ottocento ma definitivamente brevettato dall’ungherese László Biró nel 1938), i pennarelli invece da punte in feltro o nylon (commercializzate dal 1946). Il segno della biro è molto nitido e preciso, mentre quello dei pennarelli generalmente di maggiore larghezza e con effetto traslucido. Va sottolineato — ne parleremo ancora nella parte dedicata agli inchiostri — che disegni realizzati con questi strumenti possono essere soggetti a progressivo scolorimento (nei pennarelli per la soluzione acquosa di prodotti coloranti utilizzata, nelle biro a seconda della maggiore o minore presenza di anilina nell’inchiostro).
Una tecnica peculiare è infine quella del frottage, che prevede il ricalco, con una matita o un pigmento, di un oggetto posto sotto un foglio di carta: negli anni Settanta Mimmo Rotella ne ideò una particolare elaborazione, usando un solvente su immagini tratte da riviste che, opportunamente “ricalcate” sul foglio sovrapposto, venivano trasferite con un risultato visivo particolare. Sempre Rotella creò nello stesso periodo anche gli effaçage, decolorando e alterando direttamente immagini preesistenti — spesso tratte da riviste — sempre tramite solventi come la trielina.
— China, inchiostri. I disegni a inchiostro sono generalmente ritenuti più pregiati di quelli realizzati con gli strumenti elencati sopra. L’inchiostro è sostanzialmente una sospensione di pigmenti o coloranti in un fluido lavorato con petrolio. Come si accennava prima, però, nella vasta tipologia di inchiostri adoperata dagli artisti vi è stata anche quella degli inchiostri all’anilina (composto chimico utilizzato per creare le sostanze coloranti) che, esposti a fonti di luce, possono sbiadire in tempi relativamente brevi. A loro volta, gli inchiostri ferro-gallici — che resistono alla luce — risultano vulnerabili alle comuni scolorine; inchiostri assolutamente indelebili sono quelli a base del cosiddetto blu di Prussia, inventato nel 1703 da Johann Jacob Diesbach, o quelli preparati con il nerofumo, che non è attaccabile da alcun reagente chimico. I comuni inchiostri da disegno, comunque, sono in genere soluzioni di gommalacca con colori d’anilina; l’inchiostro di china adopera come colorante il nerofumo.
— Più pregiati, perché più complessi nella loro realizzazione, sono gli acquerelli, la cui tecnica prevede l’uso di pigmenti diluiti con acqua, donde appunto il nome. Caratteristiche sono le tonalità “trasparenti” dei disegni realizzati con questa tecnica in cui — a differenza di quelle esposte sopra — viene utilizzato il pennello, come anche nelle seguenti.
— Il colore a tempera ha maggiore consistenza e matericità rispetto all’acquerello, essendo ottenuto dalla mescola dei pigmenti con un’emulsione a base di uovo, caseina, colle animali o gomme vegetali; ancora più consistente, per via della composizione della sua mescola che include biacca o gesso e gomma arabica, è la gouache (o guazzo). Come per la pittura ad olio (vedi sotto) il supporto cartaceo andrebbe preparato con un’imprimitura, cioè una iniziale stesura di una mescola di gesso, colla e olio di lino cotto, che da un lato faciliti la successiva distesa della pittura, dall’altro prevenga deformazioni causate dal diverso grado di umidità tra recto e verso del foglio. Oggi si usano, tuttavia, anche carte a grana grossa di scarsa permeabilità; in ogni caso il supporto deve presentare particolare consistenza e resistenza: non è raro il ricorso a cartoncino o cartone pressato.
— Come per le opere su tela, la tecnica in linea di massima più pregiata anche per le carte è la pittura a olio o ad acrilico: i lavori più importanti possono arrivare a rivaleggiare, quanto a prezzo, con opere realizzate su tela. I colori sono ottenuti con pigmenti mescolati con olii essiccanti (il più utilizzato è l’olio di lino): essiccandosi, l’olio va a formare una pellicola insolubile e resistente, garantendo maggiore durata e stabilità rispetto alla tempera. D’altro canto la possibilità — tipica di questa tecnica — di procedere per successive velature nella distesa del colore permette di ottenere sfumature ed effetti di luce difficilmente raggiungibili con altre tecniche.
I colori acrilici sono invece prodotti mescolando i pigmenti con una particolare resina; caratteristiche della pittura acrilica sono la facile stesura e la rapida asciugatura.
Utilizzato su supporto cartaceo soprattutto da alcuni artisti della Scuola di Piazza del Popolo (in particolare Mario Schifano e Franco Angeli), lo smalto nasce storicamente come rivestimento impermeabilizzante e decorativo per ceramica e metalli, passando poi quasi naturalmente all’ambito dell’oreficeria. La sua componente vetrosa, dovuta a una composizione chimica a base silicea, dona ai suoi colori una particolare luminosità.
Molte opere realizzate con queste tecniche — che richiedono in genere l’imprimitura — vengono poi riportate su tela: in tal caso la loro valutazione diviene analoga alle opere su tela tout court. Quando diverse tecniche vengono utilizzate nella stessa opera, si parla di tecnica mista, anche se sempre più, ultimamente, nelle schede descrittive si tende a definire nel dettaglio le tecniche compresenti.
Va considerato poi il collage (incollaggio di carta o altri materiali sul supporto o sul disegno sottostante), presente in opere di grande importanza storica — si pensi a Cubisti e Surrealisti, o anche all’Arte Povera — e utilizzato anche nelle opere su carta (talvolta realizzato anche in versione “seriale”). Un discorso particolare merita infine il monotipo, tecnica desueta che, come dice il termine stesso, designa un unico esemplare di “stampa” ottenibile in due modi: con un supporto-matrice disegnato direttamente con inchiostri o vernici e impresso sul foglio tramite torchio calcografico, oppure con una distesa uniforme di colore sulla matrice e il successivo disegno a levare tramite spatolina o strumento analogo, con successiva stampa. Per la natura stessa di questa tecnica, l’esemplare ottenuto è unico, molto raramente si arriva ad ottenerne due o tre copie, peraltro necessariamente dissimili tra loro. Celebri monotipi sono stati realizzati, tra gli altri, da Pablo Picasso e Antoni Tàpies.