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Contenere l’arte. Riflessioni conservative sull’arte molto contemporanea

del

L’immateriale è una forma d’arte. La sua conservazione anche.

Quando si tratta di conservare una forma d’arte immateriale poco c’entra il conservatore. In questo caso è l’artista stesso che ha la responsabilità di fare un’operazione di conservazione preventiva, scegliendo il giusto supporto su cui salvare l’opera da lasciare ai posteri. E infatti spesso le ricerche di questi artisti sono accomunate dalla continua sperimentazione tecnologica, consapevoli tuttavia che la tecnologia non è un linguaggio, ma un mezzo per esprimere il pensiero artistico.

L’hard disk è troppo capiente e poco pratico, la chiavetta USB si smagnetizza in poco tempo, il CD-ROM è obsoleto, un Cloud davvero “troppo concettuale”. Così, chiacchierando con Matilde Sambo, artista veneta che si esprime (anche) attraverso la video-arte, scopro che lei vende i suoi lavori salvandoli su una scheda SD: oggetto che incarna in sé anche un ritorno all’origine del suo lavoro, a quegli scatti e a quelle riprese che realizza con la sua fotocamera per poi smontarli e rimontarli in un video.

Tuttavia, anche quest’oggetto porta con sé problemi di tipo “conservativo”: innanzitutto, è talmente piccola che rischia di perdersi. Così, per conservare le sue SD, Matilde ha studiato e sviluppato una confezione ad hoc: uno strumento, cioè, che in qualche modo possa contenere il contenitore dell’immateriale. E non solo, perché il contenitore, ad un certo punto, si lega intrinsecamente al contenuto, diventando parte dell’opera.

E così è successo per le sue micro-sculture, che, a detta del collezionista, necessitavano di un involucro, avevano bisogno di una protezione. Si tratta di micro-sculture che rappresentano cicale: Matilde raccoglie le mute di questi piccoli insetti e all’interno di questo involucro perfetto cola la cera liquida per poi realizzare delle microfusioni a cera persa in bronzo o addirittura in oro. E ne escono sculture minute meravigliosamente realistiche che no, non possono essere fatte più grandi, perché appunto la poetica sta proprio nel ridare vita alle cicale che non sono più dentro la loro vecchia pelle.

Le cicale abbandonano le loro mute sugli alberi, e ognuna di queste mute contiene in sé un “essere” cicala, di cui conosciamo più i suoni che la forma. Le mute abbandonate, quando le ali rendono più grande il corpo dell’insetto, prendono una nuova vita attraverso la microfusione in bronzo a cera persa”.

“Cantus ab aestu”, microfusione a cera persa, 2021

Ma per poter vendere queste opere bellissime a Matilde è stato chiesto di pensare ad un contenitore. E così l’Artista ha realizzato anche una confezione, fatta per conservarle e non perderle ma che, essendo stata progettata e realizzata da lei appositamente, in mogano e di una forma astratta che ricorda la cavità del terreno da cui le cicale sbucano per fare la muta, diventa essa stessa un’estensione dell’opera, permeata di artisticità.

Dunque, sorge spontaneo chiedersi: le cicale di Matilde possono vivere senza il loro contenitore? E ancora, il mercato le definirà autentiche unicamente se corredate dalla loro scatola o le cicale saranno libere di volare via dal loro buco? In fin dei conti l’artista le aveva progettate per essere posizionata nello spazio, ma ora che hanno la loro “tana” sicuramente nessuno sceglierà di rimuoverle. Ed ecco che improvvisamente la poetica dell’artista viene in qualche modo in parte “distorta” in favore della conservazione, di una paura di dispersione, di furto, forse.

In definitiva, nel formulare le strategie di conservazione più adatte, è opportuno sempre domandarsi e avere ben chiaro quali siano l’intento e la poetica dell’artista, considerando lo strumento della conservazione a servizio di questi ultimi e non viceversa.

E se questa problematica conservativa stimola in un lettore la curiosità di scoprire dal vero l’opera di Matilde, capita che a partire proprio da mercoledì 29 marzo, per un mese intero, presso la Galleria AA29 di Milano sarà possibile visitare la sua seconda mostra personale, intitolata Fulgor progetto in cui l’artista veneziana vuole esplorare la relazione tra arte, necessità e immaginazione nella dimensione in cui esse si fondono.

Il materiale da scoprire questa volta sarà diverso. Parliamo di sculture che sembrano essere frutto di spirali fisiche e di un pensiero continuo, che modella il bronzo, il vetro e la terracotta. Qualcosa di ancora diverso, che apre le porte a un ragionamento sulla conservazione sempre vivo.

Sara Stoisa
Sara Stoisa
Sara Stoisa è un'Art Collection Manager specializzata nella gestione, archiviazione e conservazione delle collezioni d'arte. Laureata in Restauro dei Beni Culturali presso la Venaria Reale, si è specializzata nella creazione e curatela di archivi d'arte privati e archivi d'artista, oltre all'attività di restauro e consulenza in ambito conservativo delle opere.

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