Blockchain, NFT, Crypto Arte, Cryptovalute. Non si parla d’altro in questi mesi, complice la veloce e progressiva digitalizzazione dovuta al periodo pandemico ma soprattutto grazie agli straordinari risultati ottenuti da alcuni artisti digitali sul mercato che hanno acceso la miccia. Primo fra tutti l’americano Beeple che da Christie’s ha venduto la sua opera NFT “Everydays: The First 5000 Days” per la cifra record di quasi 70 milioni di dollari diventando così il terzo artista vivente più caro in asta, dopo Jeff Koons e David Hockney.
Ma quando nasce ufficialmente la Crypto Arte? È il 19 gennaio 2018 e il primo a definire questo nuovo movimento artistico è Jason Bailey, Founder di Artnome. “Per crypto arte si intendono opere d’arte digitali associate a token unici e dimostrabilmente rari che esistono sulla blockchain sotto forma di NFT. Il concetto si basa sull’idea di scarsità digitale che consente di acquistare, vendere e scambiare beni digitali come se fossero beni fisici. Questo sistema funziona perché – come i bitcoin o altre cryptovalute – la crypto arte esiste in quantità limitata”. E ciò che è limitato, lo sappiamo, fa impazzire i collezionisti.
Tra i protagonisti di questo fenomeno culturale ultra-contemporaneo, il primo forse veramente globale, – che affonda le sue radici nel movimento Dada e nelle avanguardie storiche di inizio Novecento – vi sono diverse tipologie di artisti, esperti di tecnologia o più spesso autodidatti provenienti dal mondo fisico, accomunati dalla volontà di creare qualcosa di “nuovo” slegato dalle logiche rigide dell’arte tradizionale.
Non solo artisti oltre oceano, a far girare la testa ai crypto collezionisti di tutto il mondo ci sono anche molti italiani. Si pensi al duo Hackatao, pionieri indiscussi del movimento (era il 14 aprile 2018 quando hanno tokenizzato la loro prima opera digitale sulla piattaforma SuperRare); o a DotPigeon che in poche ore ha cambiato radicalmente la sua vita grazie al drop della serie “My Dark Twisted Fantasy” venduta per una cifra a sei zeri; o al veronese Giovanni Motta che dopo soli due mesi di attività sul mercato NFT si è posizionato al primo posto nella classifica degli artisti più richiesti da SuperRare; o ancora a Federico Clapis (Milano, 1987) che ha venduto la sua ultima opera “End of the physical world” a quasi $70.000; e infine a Fabio Giampietro da sempre appassionato di nuove tecnologie, robotica e realtà aumentata (nel 2017 ha ricevuto The Lumen Prize, il premio mondiale per l’arte digitale), celebre per le sue vertiginose megalopoli viste dall’alto esposte anche a Palazzo Reale di Milano.
Ma per provare a vederci veramente chiaro sul mondo NFT dobbiamo prepararci a cambiare radicalmente approccio, adottando nuovi paradigmi e modelli collezionistici, e lasciarci trasportare in una realtà ‘altra’ rispetto a quella a cui siamo sempre stati abituati. A guidarci in questa scoperta sarà proprio Fabio Giampietro nei cui lavori riconosciamo la velocità e la dinamicità dei Futuristi e i vertiginosi mondi di Escher in bilico tra illusioni ottiche e giochi geometrici.
Classe 1974, Fabio è nato a Milano, dove vive e lavora. Grande appassionato d’arte fin dall’adolescenza, realizza opere dal grande impatto visivo attraverso una tecnica pittorica unica, la sottrazione del colore ad olio dalla tela, diventando così uno dei giovani pittori italiani più ricercati al mondo.
I suoi lavori sono stati esposti a New York, Londra, Shanghai, Miami, Los Angeles, Berlino e Toronto, e in Italia è rappresentato e promosso dalla galleria milanese Fabbrica Eos diretta da Giancarlo Pedrazzini con cui ha partecipato a diverse edizioni di Arte Fiera Bologna. Nelle opere di Giampietro i limiti e le barriere tipiche dell’arte classica precipitano e una relazione di continuità e simultaneità tra le tre dimensioni spaziali e il tempo diventa tangibile, sebbene ancora imponderabile, agli occhi dello spettatore. Una vera combinazione fra tradizione pittorica e innovazione tecnologica permette al giovane artista di coniugare i piani dello spazio e del tempo, annichilendo la distanza contemplativa tra i sensi dell’osservatore e la realtà del lavoro artistico.
Scopriamo meglio insieme chi è Fabio Giampietro, l’artista che “non racconta mai una storia, semmai descrive una sua esigenza sentimentale, che traduce in pittura e che ricorda un’esplosione. O meglio, ricorda più un precipitare.”
Giorgia Ligasacchi: Fabio, come nasce la tua passione per l’arte? A quando risale la tua prima opera e di cosa si tratta?
Fabio Giampietro: «La mia prima opera risale al momento in cui nella mia ricerca si è consolidato uno stile e una poetica precisa. Alla fine degli anni Novanta ero uno di quegli artisti che cercava ispirazione nelle aree periferiche della città tra le archeologie industriali, con le loro strutture in ferro, fra i carroponti e i capannoni, che spesso diventavano luoghi di incontro per i ravers e tele bianche per i primi street artists. Ho sempre ricercato il sogno in quelle rovine che mi ricordavano le forme delle giostre di un antico luna park abbandonato. La mia prima opera, infatti, è stata una grande ruota panoramica che ha segnato, come un enorme orologio, il passaggio alla mia maturità artistica».
G.L.: Quali sono i maestri o i movimenti a cui ti ispiri e che, in qualche modo, influenzano il tuo essere artista, la tua ricerca e il tuo stile?
F.G.: «La semisfera del mio immaginario si è delineata sicuramente nel periodo della mia infanzia: gli anni Ottanta, dove il futuro era rappresentato ovunque. Molteplici sono i momenti da cui traggo ispirazione, a partire da tutte quelle volte in cui l’umanità si è aspettata con entusiasmo svolte epocali e ha peccato di ambizione: dalla torre di Babele allo Zeppelin fino alle oscure manipolazioni climatiche di questi giorni. Oggi l’ispirazione artistica non deriva più da decenni di altri pittori, ma da una matassa complessa di influenze impossibile da sbrogliare. Più che un punto di riferimento passato, ho un punto di riferimento come obbiettivo: arrivare a una pittura simbolista evocativa, potente e semplice, come un racconto di Michael Ende e come un brano di At the court of the Crimson King, anche se ci sono ancora lontano perché troppo affascinato dalla complessità. Il mio artista figurativo preferito è Max Ernst e sicuramente il mio punto di partenza è stato il futurismo, da Sant’Elia all’aeropittura».
G.L.: Che artista è Fabio Giampietro?
F.G.: «Un artista che combatte per evolversi».
G.L.: Dalle archeologie industriali alle giostre abbandonate fino alle viste dall’alto delle megalopoli (anche in versione ritratto): la tua prima produzione appare molto prolifica ed eterogenea, sia per tecnica sia per soggetto. Quali sono state le suggestioni che hanno caratterizzato la tua evoluzione artistica? Come ti sei avvicinato a questa specifica estetica e quale messaggio vuoi trasmettere con le tue opere?
F.G.: «Il Luna Park abbandonato è un contenitore di simboli che ho utilizzato negli anni come spazio di riflessione su diversi temi. Le imponenti strutture di ferro di questo luogo magico affiancate agli scheletri dei dirigibili utilizzati come bombardieri nella Prima Guerra Mondiale che somigliano a una grande ruota panoramica ferma, una bambina, persa ma perfettamente a suo agio nel suo giocare con la morte o con il buio, e poi la città, che ci inghiotte, ci travolge come un’onda e a volte ci esplode addosso: sono tutte figure che vorrei stimolassero a non cedere alle paure e a essere sempre consapevoli che quel momento magico in cui si è creata la nostra immagine del mondo esiste ancora. La possibilità di dargli un altro colore, un altro nome e un’altra forma ci accompagna per tutta la vita: non a caso proprio il primo Luna Park è stato utilizzato come territorio di sperimentazione per la città nuova, la città in verticale del secolo scorso a Coney Island».
G.L.: Dal linguaggio pittorico figurativo tradizionale all’intangibile universo digitale. In una intervista hai dichiarato che – come il grande maestro Fontana – persegui il sogno di andare oltre lo spazio della tela; ma a differenza dei tagli o dei buchi, sperimenti con le nuove tecnologie per creare varchi dimensionali sulle realtà parallele. Raccontaci come si è sviluppato questo passaggio da fisicità della tela dipinta a sua versione immersiva-virtuale, come riesci a tenere vivo il dialogo tra tali due mondi?
F.G.: «Ho iniziato nel 2014, anche se già da diverso tempo stavo cercando qualcosa che coinvolgesse lo spettatore in una maniera più totalizzante, senza mai comunque tradire la pittura. Così sensori, microprocessori, giroscopi e accelerometri hanno incominciato ad accompagnarsi ai colori ad olio, alle tele e alla tavolozza. La svolta però è arrivata quando Palmer Luckey ha realizzato Kickstarter. Mi sono subito procurato un prototipo di visore per sviluppatori e ho iniziato a sperimentare e lavorare a Hyperplanes of Simultaneity (il mio primo progetto di pittura e VR). Parto sempre da un quadro che dipingo a mano libera, poi creo la sua versione immersiva in realtà virtuale; lo faccio attraverso i software che si utilizzano per gli effetti speciali 3D nel cinema e ultimamente anche con quelli usati per realizzare i videogiochi. Benché siano strumenti di grafica digitale ho una particolare attenzione nel far rimanere evidenti diversi aspetti della pittura anche nella realtà virtuale, quali ad esempio la matericità del colore, le pennellate e la trama della tela stessa».
G.L.: Il 2016 è stato sicuramente un anno da ricordare. Con la personale Hyperplanes of Simultaneity organizzata nella Sala degli Arazzi di Palazzo Reale di Milano. Sei stato uno dei primissimi artisti italiani a cimentarti con la realtà virtuale e in particolare con l’Oculus Rift, visore 3D in grado di aprire le porte d’accesso di un universo immaginifico sperimentando un’alterazione della percezione dello spazio espositivo e una trasposizione in una dimensione onirica. Com’è nato il progetto e com’è andata questa esperienza? Quanto è importante la socialità e l’interazione nei tuoi lavori? E quindi qual è stata la reazione del pubblico?
F.G.: «Quando presentai Hyperplanes a Palazzo Reale quasi nessuno aveva mai visto i visori. I giornalisti che ne parlarono li definirono nei modi più svariati, così come furono molteplici le reazioni durante le “immersioni nei quadri”: da chi urlava terrorizzato e si bloccava tremando, a chi si è sentito liberato e leggero tanto da volersi trasferire nel quadro; da chi si vergognava di essere visto senza poter vedere gli altri, a chi monopolizzava il visore per farsi fare mille foto per i social, non curandosi degli altri visitatori e della mia opera. Sono passato tutti i giorni in mostra, perché era uno spettacolo che poteva insegnarmi qualcosa, dal pensionato con le mani dietro la schiena che dopo mezz’ora immobile nella VR ha esclamato “che quel palazzo lì è storto!”, al ragazzo in carrozzella a cui sembrava di volare. Oggi è diverso, molti hanno già provato questa tecnologia, ma l’esperienza mi ha aiutato ad affinare il modo di creare quello stato di stupore e straniamento che riesce a emozionare come fosse la prima volta».
G.L.: Sei indiscutibilmente tra i primi artisti italiani del mondo tradizionale ad affacciarti alla Crypto Art. È infatti da circa un anno che hai cominciato a convertire le tue opere fisiche in file digitali, vendendole come NFT (Not-Fungible Token) tramite SuperRare, uno dei più famosi marketplace di NFT al mondo. In che modo sei entrato in contatto con questa realtà? Qual è stata l’evoluzione dei prezzi delle tue opere ad oggi? Qual è l’identikit del tuo collezionista?
F.G.: «Stavo cercando un modo per poter dare valore alla sfera digitale del mio lavoro che, pur rappresentando una parte molto considerevole dell’opera, era considerata più un accessorio, un gadget da aggiungere al quadro. Quando fui contattato dalle piattaforme degli NFT ho visto in questo mondo una possibile soluzione al problema. I prezzi nel mondo crypto sono soggetti a fattori di hype, di volatilità del mercato e al fatto che i collezionisti sono spesso ragazzi che hanno a disposizione ingenti quantità di cryptovalute. Talvolta il prezzo dei miei lavori digitali ha superato di gran lunga il valore delle mie opere fisiche: una delle prime opere digitali che ho messo su questo mercato è stata venduta a 45 Ethereum (valore attuale di circa $180.000), circa dieci volte il valore della tela da cui ho creato l’NFT (https://superrare.co/fabiogiampietro). I nuovi collezionisti sono giovani dai 25 ai 35 anni, sparsi per il mondo ma provenienti in gran parte da America, Australia e Nuova Zelanda (almeno credo, in quanto la maggioranza si cela dietro un nickname). Il loro collezionismo è soprattutto speculativo ma esiste sicuramente una predilezione per un’estetica, diversa da quella che siamo abituati a chiamare arte, che comprende GIF, Meme e diversi stilemi di questa generazione».
G.L.: Addentriamoci ora un po’ nel vivo del discorso e aiutaci a fare ordine e chiarezza. Come avviene il processo di digitalizzazione delle tue opere fisiche e la tokenizzazione tramite blockchain? Quanto è sicura questa forma di certificazione? Decidi tu il prezzo al quale offrire l’opera sul mercato? Produci solo opere uniche o anche edizioni? Al crypto collezionista consegni anche l’opera fisica o solo l’NFT? A che punto siamo in merito alla tutela dei diritti dell’artista? È previsto il riconoscimento di una sorta di “diritto di seguito” da parte delle piattaforme, se sì qual è la %?
F.G.: «Avviene attraverso l’upload del contratto sulla blockchain e del file con l’opera digitale su IPFS tramite un portafogli digitale (il più utilizzato è Metamask). È sicuramente il metodo di certificazione più sicuro attualmente disponibile, in quanto la blockchain garantisce l’origine dell’opera che è legata al numero dell’account del portafogli di chi lo ha creato, utile anche per rintracciare il suo percorso se dovesse essere rivenduta. Una volta che l’opera è sul marketplace i collezionisti possono fare offerte e l’artista può decidere se accettarle o meno. Personalmente ho scelto di produrre solo opere uniche, secondo me più in linea con la filosofia degli NFT. In questi mesi vanno molto le Open Editions, aste a tempo in cui si possono comprare multipli della stessa opera, occasione ghiotta per un facile guadagno dell’artista pur risultando spesso saturo di richieste. Ai crypto collezionisti consegno solo l’NFT, in quanto mantengo i diritti commerciali e intellettuali sull’opera. Per quanto riguarda la % non esiste ancora un contratto unico ma dipende dai marketplace, anche se solitamente ammonta circa al 10%. Bisogna però ricordare che esistono tantissimi marketplace e oltre alla blockchain di Ethereum sono nate altre blockchain su cui si possono scambiare NFT, come Tezos e Binance Smart Chain».
G.L.: Raccontaci un aneddoto divertente che ti è successo in quest’anno di attività NFT…
F.G.: «È un aneddoto che ricordo come divertente nella sua assurdità ma allo stesso tempo anche frustrante. Ogni volta che vendo un NFT chiedo al compratore se è interessato anche all’opera fisica che ho utilizzato per crearlo e, solo una volta, un collezionista australiano ha voluto comprare anche il quadro. Dato che dopo un mese dall’avvenuta consegna dell’opera non ho più avuto sue notizie, pensavo fosse imbarazzato e il quadro non gli piacesse. Invece, recentemente mi ha contattato scusandosi molto perché non aveva ancora aperto il quadro, non avendo in casa un cacciavite con cui aprire la cassa con cui è stato trasportato. Ad oggi il cacciavite non lo ha ancora comprato e la cassa è ancora chiusa, ma il collezionista sfoggia con fierezza l’NFT nella sua galleria virtuale».
G.L.: Secondo il più recente NFT Yearly Report si stima che dal 2018 al 2020 la capitalizzazione del mercato NFT (non solo arte) sia aumentata di otto volte, passando da $40.9 milioni a oltre $338 milioni, e si prevede che questa cifra possa salire a oltre $1.3 miliardi nel 2021. Quale la tua opinione sulla Crypto Arte e su questo nuovo mercato? Pensi che possa davvero rappresentare il futuro del mondo dell’arte o solo una bolla e mera speculazione?
F.G.: «Non vedo la Crypto Arte solo come un nuovo modo di fare arte ma anche come nuovo mercato per l’arte come siamo abituati a conoscerla, con regole più precise, definite e sicure. Il mercato NFT mentre scrivo è in una fase di naturale contrazione: dopo il boom dei primi mesi dell’anno, i fatturati dei vari marketplace si sono di gran lunga normalizzati. Abbiamo superato il primo picco, ma sono convinto che la scena continuerà a crescere sul lungo periodo e offrirà più opportunità di fare leva su blockchain non solo come marketplace, ma anche come medium. Con arte programmabile per esempio».
G.L.: Pensando ai volumi straordinari raggiunti in brevissimo tempo da questo mercato, un tema molto interessante riguarda l’impatto ambientale e il costo energetico per la creazione, la convalida e la trasmissione di NFT su tecnologia blockchain. Secondo l’analisi di Memo Akten, in media la carbon footprint di un singolo NFT su SuperRare è di 211 kg di Co2, ossia l’equivalente di un viaggio in macchina per mille chilometri o di un volo lungo due ore. Un dibattito aperto tra chi sostiene che la Crypto Arte non sia dannosa per l’ambiente e chi invece aspira a modelli più sostenibili. Qual è il tuo pensiero in merito?
F.G.: «Nessuno si è mai posto lo stesso problema per i cloud su cui poggiano la maggior parte delle applicazioni dei nostri smartphone. Il problema esiste ma sarà risolto nel prossimo futuro sostituendo la POW (Proof of Work), che è effettivamente molto dispendiosa a livello energetico, con una POS (Proof of Stake) in cui basta detenere un certo numero di cryptovalute per produrne altre».
G.L.: Progetti futuri?
F.G.: «C’è un gran fermento nel settore dell’arte tradizionale e molti si stanno attrezzando per ospitare mostre di NFT in gallerie, fiere e aste. Mentre si delineano gli eventi farò una mostra a fine giugno in Realtà Virtuale in un metaverso digitale chiamato Spatial.io con SuperRare e una mostra immersiva vera e propria a Milano».
Si ringrazia la dott.ssa Beatrice Cozzi per il prezioso contributo di ricerca e supporto documentale