L’Ottocento è stato un secolo lunghissimo, e Parigi è stata l’altare su cui si è celebrato il rito messianico di un’Umanità nuova, lanciata con entusiasmo verso il disastro del secolo breve.
Nel ventre di Parigi si sono succedute rivoluzione e controrivoluzione di tante cose, anche della pittura, come racconta L’opera di Emile Zola, in cui un giovane pittore si batte contro l’arte ormai accademica dei pittori un tempo antiaccademici. Una metafora del rapporto di Zola stesso con gli amici impressionisti, prima sostenuti e poi ripudiati.
È il secolo delle grandi innovazioni tecniche a disposizione dei pittori. Innanzitutto la produzione di materiale per le Belle Arti ha per la prima volta un carattere semi industriale, con la nascita delle prime aziende specializzate nel settore, come l’inglese Windsor & Newton, fondata da un pittore e da un chimico nel 1832. Sul mercato arrivano una gran quantità di nuovi pigmenti sintetizzati artificialmente e, di conseguenza, di tante nuove tinte e sfumature. Fondamentale per la diffusione su larga scala è poi l’invenzione dei tubetti di stagno in sostituzione del buon vecchio budello animale, attribuita alla Lefranc Bourgeois, che garantiscono un uso più agevole del colore e permettono, quindi, al pittore di sortir de son atelier.
Tra i nuovi pigmenti messi in commercio in questo periodo ci sono, per esempio, i gialli di cadmio e quelli di cromo, il blu di cobalto e il verde di cobalto. Per un nuovo pigmento sintetizzato, spesso ne scompare uno “vecchio”. Questa è la sorte del giallo di piombo-stagno, scomparso già dalla metà del diciottesimo secolo e sostituito dal giallo di piombo-antimonio (da alcuni detto di Napoli).
Già nel secolo precedente, ci si era resi conto che la lavorazione del piombo faceva ammalare gli operai, e l’uso dei pigmenti che ne contenevano in abbondanza – come la biacca – avvelenava i pittori. Comincia la grande corsa alla ricerca di sostituti degni di questo pigmento fondamentale per la pittura dei secoli precedenti.
Il successo maggiore in questa ricerca fu senz’altro l’introduzione del bianco di zinco, che però non ha neanche lontanamente le buone caratteristiche della biacca, per cui anche i pittori ottocenteschi, impressionisti compresi, preferirono continuare a utilizzare il bianco di piombo, pigmento dalle qualità troppo superiori a qualsiasi sostituto allora trovato per essere accantonato.
Uno studio su tre dipinti impressionisti praticamente coevi condotto da Ashok Roy per il Technical Bulletin della National Gallery – che si prefigge di ricomporre la tavolozza di tre personaggi chiave del movimento impressionista come Monet, Renoir e Cézanne – riporta la massiccia presenza del bianco di piombo nella tavolozza dei suddetti.
Nello specifico, il dipinto di Claude Monet che ritrae la Gare de Saint-Lazare datato 1877 – uno di una serie di quattro che ritraggono l’interno della stazione con illuminazioni differenti secondo un metodo di studio della luce celebre e ben consolidato dal pittore di Giverny – presenta un uso massiccio di bianco di piombo utilizzato nella preparazione veloce della tela. Il bianco di piombo è presente miscelato pressoché in ogni tinta del dipinto, probabilmente per la comodità di stesura che garantiva alla materia pittorica, proprietà ricercata dal pittore stesso, notoriamente vicino a una concezione di pittura di getto. I toni dominanti in questo dipinto sono quelli di blu, e la biacca si trova mescolata con blu oltremare, blu ceruleo e blu cobalto.
Monet continuò anche negli anni successivi a utilizzare questo metodo di lavoro. Anche in due opere del periodo 1914-1917 come Les Nénuphars e Les Iris, analizzate sempre da Roy, la biacca è utilizzata per tracciare il fondo della pittura abbozzando le forme dei fiori acquatici.
In La Seine à Asnières, anche Renoir fa ampio utilizzo della biacca per la preparazione e per la mescola dei colori, stesi a tocchi corposi. Il bianco di piombo si trova miscelato ampiamente con blu di cobalto (soprattutto nella rappresentazione dell’acqua), verde viride (nel verde del canneto), vermiglione (per i riflessi rossastri nell’acqua), giallo di cromo e lacca rossa.
Montagnes en Provence di Cézanne contiene una miscela di bianco di piombo e pigmenti terrosi nella preparazione. In una serie di lettere datate tra il 1905 e il 1906, Cézanne indica esplicitamente i pigmenti presenti nella propria tavolozza: verde cinabro, blu di Prussia, blu cobalto, e oltremare artificiale, terre di Siena, verde smeraldo, terra verde, vermiglione, lacca di Garanza, rosso di Saturno (ovvero di piombo, metallo alchemicamente associato al dio greco) e, naturalmente, bianco di piombo.