Ancora abbastanza poco conosciuto in Italia, trascurato — nonostante la sua fama e importanza riconosciute — anche negli Stati Uniti, probabilmente a causa della scarsa presenza sul mercato (grandissima parte delle sue opere non è in circolazione perché stabilmente in collezioni pubbliche o private: il record d’asta risale ormai al 2014), George Segal torna alla ribalta newyorkese grazie a una bellissima mostra alla Galleria Templon, nel nuovo spazio al 293 della 10th Avenue di Manhattan, inaugurato esattamente un anno fa.
Vernissage il 6 settembre scorso, Nocturnal Fragments rimarrà aperta fino al 28 ottobre. È una mostra che arricchisce la conoscenza del maggiore scultore della Pop Art americana, le cui figure, così immediatamente riconoscibili, sono entrate a far parte dell’immaginario collettivo.
Bianchi, a grandezza naturale, i suoi personaggi vengono ritratti in ambienti e situazioni realistiche dove però il tempo sembra essersi fermato in un’atmosfera sospesa; il contesto è spesso riprodotto con oggetti reali, a contrasto con l’apparenza fantasmatica, alquanto malinconica — l’espressione neutra, a volte atona, del viso, gli occhi socchiusi — delle figure che lo abitano, quasi una versione aggiornata della solitudine esistenziale dei personaggi di Alberto Giacometti.
Segal ideò la tecnica scultorea che caratterizza le sue opere e gli dona quella peculiare riconoscibilità: l’utilizzo di bende di gesso (proprio le strisce di garza impregnate di gesso che si usano in ortopedia) con le quali dapprima avvolgeva i modelli — spesso persone sue amiche —, rimovendo poi le forme indurite e ricomponendole per formare un guscio vuoto. Ma il guscio non veniva utilizzato come stampo: la conchiglia stessa diveniva la scultura finale, mantenendo a vista la ruvida consistenza delle bende. Il calco in gesso veniva ovviamente anche utilizzato nel caso di fusioni in bronzo, che tuttavia venivano spesso patinate di bianco per riprodurre l’aspetto gessoso originale.
La mostra alla Templon si focalizza però soprattutto sul periodo in cui Segal dipingeva, monocromaticamente, talvolta con colori sgargianti ma anche in nero, i suoi personaggi, in particolare negli anni Novanta.
Da sempre associato dai critici alla Pop Art, Segal — a differenza dei suoi colleghi focalizzati su immagini pubblicitarie, loghi e miti della cultura di massa — mette in scena semmai la solitudine esistenziale nella società capitalistica, colta proprio in contesti quotidiani e “normali”. Se si vuole parlare di “consumismo”, Segal lo ritrae dall’esterno, svelandone la parte triste e omologante.
Se l’influenza di Giacometti è evidente nelle pose e nell’incedere di alcuni suoi personaggi — si vedano in questa mostra ad esempio The Dumpster o Blimpies — la visione di una realtà quotidiana fatta di solitudine è sicuramente influenzata anche dall’arte di Edward Hopper. E forse l’opera in assoluto più interessante della mostra è proprio un omaggio a Hopper: Blue Woman Sitting on a Bed del 1996, quasi una riproduzione tridimensionale di un’immagine hopperiana.
Al piano seminterrato della galleria ci attendono però alcune sorprese: oltre a una “classica” opera degli anni Settanta (Woman Listening to Music II, 1972), alcuni “frammenti” di corpi (Torso: Hand on Thigh, 1978; Body Fragment #4, 1980) ma soprattutto una scultura a parete di raffinato erotismo, Miles and Monique, ca. 1980, che apre uno squarcio su una produzione piuttosto inedita dello scultore newyorkese.
Templon aveva presentato lavori di George Segal per la prima volta nella sede “madre” di Parigi in una collettiva nel 1979, dedicandogli poi due altre mostre nel 2017 sempre a Parigi, e l’anno dopo nella sede di Bruxelles. Suona forse un po’ paradossale — e meritorio — che sia stata una galleria francese a rimettere sotto i riflettori di New York l’opera di questo artista.