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Il ruolo di Christie’s nel mercato dell’arte: intervista a Mariolina Bassetti

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Fondata nel 1766, Christie’s è una delle case d’aste più prestigiose al mondo, un punto di riferimento per collezionisti, investitori e appassionati d’arte. Nel corso dei secoli, ha attraversato trasformazioni significative, adattandosi ai cambiamenti del mercato e alle nuove tendenze del collezionismo.

Per comprendere meglio l’evoluzione del settore e il ruolo di Christie’s oggi, abbiamo intervistato Mariolina Bassetti, Chairman di Christie’s Italia. Con una lunga esperienza nel mondo dell’arte e delle aste, Bassetti ci ha raccontato come la casa d’aste abbia affrontato le sfide degli ultimi anni, il crescente interesse per l’arte contemporanea e quali siano le prospettive per il futuro del mercato.

Dalla digitalizzazione delle aste alle collezioni corporate, fino al rapporto tra valore economico e valore artistico, ecco cosa ci ha raccontato.

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Gino Fienga: Partiamo dalle origini: come nasce Christie’s?

Mariolina Bassetti: Christie’s viene fondata nel 1766 da James Christie con l’idea di creare una casa d’aste che fungesse da intermediario tra venditori e compratori. Nel tempo, ha giocato un ruolo fondamentale nel mercato dell’arte, contribuendo alla circolazione di opere e alla formazione di grandi collezioni. Basti pensare che la zarina Caterina di Russia acquistò da Christie’s un’importante collezione che oggi fa parte del Museo dell’Ermitage.

La sede storica di Christie’s è in King Street, Londra, anche se durante la Seconda guerra mondiale la casa d’aste dovette trasferirsi temporaneamente dopo che una bomba distrusse l’edificio. Addirittura, la regina concesse degli spazi per permettere alla maison di continuare la sua attività, a testimonianza del ruolo centrale delle aste in momenti storici cruciali.

G.F.: Come si è evoluta la casa d’aste nel tempo e quali sono le sue principali sedi oggi?

M.B.: Fino al 1975, Christie’s operava solo a Londra. Poi, si è espansa a livello internazionale. Curiosamente, la prima sede aperta fuori dal Regno Unito non fu New York, ma Roma, scelta per il suo legame con il collezionismo e la grande tradizione artistica italiana.

Negli anni ’70 è arrivata a New York, prima su Park Avenue e poi al Rockefeller Center, dove oggi si trova la sede che genera il maggior volume d’affari. Nel tempo, il network si è allargato con sedi strategiche in Europa, Medio Oriente e Asia. L’ultima grande apertura è stata a Hong Kong, in un palazzo ristrutturato da Zaha Hadid, e presto arriveremo anche a Riad. La geopolitica influenza molto le scelte della maison: le sedi si spostano in base all’evoluzione del mercato. Per esempio, in Europa Parigi sta assumendo un ruolo sempre più centrale a scapito di Londra, complice anche la Brexit.

G.F.: Come ha reagito Christie’s alla pandemia e quali cambiamenti ha portato nel settore?

M.B.: Il Covid ha segnato un momento storico: per la prima volta nella sua storia, Christie’s ha dovuto chiudere temporaneamente le sue sedi. Non ci siamo fermati un solo giorno e abbiamo accelerato l’innovazione digitale. Sono nate nuove modalità di vendita, come le aste online e il formato “One”, una vendita in streaming che ha collegato contemporaneamente le sedi di Hong Kong, Parigi, Londra e New York.

Anche le vendite private hanno avuto un boom: durante la pandemia hanno permesso di mantenere attivo il mercato e oggi rappresentano circa un terzo del nostro fatturato. Questo dimostra come il mercato dell’arte sappia adattarsi e reinventarsi di fronte alle sfide globali.

G.F.: Come si è chiuso il 2024 per Christie’s e quali sono le previsioni per il 2025?

M.B.: Il 2024 è stato un anno più cauto rispetto ai precedenti, con un fatturato di circa 5,7 miliardi di dollari, leggermente inferiore all’anno precedente. Un dato interessante è che 1,5 miliardi derivano da vendite private, segno che sempre più collezionisti preferiscono questa formula rispetto alle aste tradizionali.

Il mercato è stato influenzato da fattori geopolitici, in particolare dalla guerra tra Israele e Palestina, che ha avuto un forte impatto sugli investimenti nel settore. Il collezionismo è anche una questione di piacere: in momenti di incertezza, alcuni compratori tendono a rimandare gli acquisti.

Per il 2025, però, vediamo segnali di ripresa. Eventi come Arte Fiera Bologna hanno mostrato un pubblico molto vivace e interessato, e ci aspettiamo che la qualità delle opere in circolazione migliori. Inoltre, il mercato delle aste riserva sempre delle sorprese: opere con stime conservative possono raggiungere cifre inaspettate, come è successo con un Fontana stimato tra 500 e 800mila sterline e venduto per 2 milioni.

G.F.: Il futuro di Christie’s e del mercato dell’arte passa dunque per un equilibrio tra tradizione e innovazione?

M.B.: Esattamente. Christie’s da sempre si adatta ai cambiamenti, sia nel mercato che nel contesto economico e politico globale. Le aste rimangono il cuore pulsante del settore, ma crescono anche le vendite private e le nuove formule digitali. Guardiamo con attenzione alle nuove generazioni di collezionisti e agli sviluppi internazionali, pronti a evolverci per continuare a essere un punto di riferimento per il mercato dell’arte.

G.F.: Come è cambiato l’approccio dei collezionisti negli ultimi anni? Quanto pesa oggi l’equilibrio tra passione e investimento?

M.B.: È una questione molto personale. Tuttavia, possiamo dire che, a partire dalla fine degli anni ’80, con le prime grandi aggiudicazioni come i Girasoli di Van Gogh venduti per 34 milioni e il Ritratto del dottor Gachet a 110 milioni, il mercato ha iniziato a spostarsi verso cifre sempre più elevate. Il Bal au moulin de la Galette di Renoir è stato battuto per 70 milioni, fino ad arrivare al Salvator Mundi, venduto per 450 milioni di dollari.

Di fronte a queste cifre, la passione spesso passa in secondo piano e l’investimento diventa una componente inevitabile. Tuttavia, i grandi collezionisti italiani del passato, come Giuseppe Panza di Biumo, hanno costruito raccolte straordinarie in un’epoca in cui il mercato non aveva ancora il peso attuale: si comprava principalmente per passione, in un sistema caratterizzato da una forte sinergia tra artisti, galleristi e collezionisti.

Negli ultimi anni, questo confronto si è un po’ perso, anche se alcune giovani gallerie stanno cercando di recuperarlo. Certo, quando sul mercato appaiono grandi numeri, l’aspetto finanziario prende il sopravvento. Ma io sono convinta che il primo impulso per acquistare e costruire una collezione di valore debba essere la passione. È questa che dà un’identità coerente a una collezione e, di conseguenza, ne favorisce la rivalutazione nel tempo.

Un esempio? La collezione di Arte Povera che abbiamo curato, protagonista di sei mostre a Londra con una rassegna stampa straordinaria e tre grandi conferenze. L’asta ha stabilito 17 record, partendo da una stima complessiva di 22 milioni di sterline e arrivando a oltre 40 milioni. È stato un successo enorme perché la collezione è stata promossa nel modo giusto e comprendeva opere di grandissima qualità. Le collezioni, alla fine, rimangono sempre il fiore all’occhiello di una casa d’aste.

G.F.: Negli ultimi anni, il peso delle vendite private è cresciuto e l’arte contemporanea è sempre più dominante. Le case d’aste stanno prendendo il sopravvento sulle gallerie?

M.B.: No, credo che gallerie e case d’aste siano due realtà complementari. Le aste sono probabilmente la soluzione ideale per la vendita di intere collezioni, ma le gallerie svolgono un ruolo insostituibile nella promozione di nuovi artisti e nella collaborazione con i musei internazionali.

Le case d’aste e le gallerie possono (e devono) collaborare, anche se a volte c’è competizione. Ma il ruolo di scouting e valorizzazione che svolgono le gallerie non potrà mai essere sostituito.

G.F.: Quali sono i vostri progetti per il 2025?

M.B.: Il 2025 sarà un anno molto intenso, sia a livello internazionale che italiano. Abbiamo scelto di proporre un nuovo modello di casa d’aste, che non vende in Italia ma presenta le opere nel nostro Paese per poi batterle a Parigi.

A marzo organizzeremo esposizioni a Roma, Milano (Palazzo Clerici) e Torino, dove mostreremo opere in trattativa privata e selezioni delle aste internazionali. In aprile e ottobre, a Parigi, torneranno le nostre aste Thinking in Italian e Avant-Garde & Including Thinking in Italian.

Parallelamente, svilupperemo un programma di eventi per i nostri collezionisti, tra conferenze, visite a mostre internazionali e presentazioni di trattative private nei nostri spazi. Un esempio? Durante una recente retrospettiva sull’Arte Povera, abbiamo organizzato una mostra di arte italiana in vendita privata, che ha ottenuto ottimi risultati.

G.F.: Guardando ai prossimi anni, quali saranno le tendenze dominanti?

M.B.: Credo che assisteremo a una selezione naturale tra gli artisti del ’900. Ogni nazione conserverà una decina di nomi veramente rilevanti, mentre il mercato premierà sempre di più le grandi avanguardie storiche.

Se da un lato il contemporaneo continuerà a essere centrale, dall’altro vedo un ritorno alla figurazione e a una pittura più ordinata, un’esigenza dettata anche dal contesto sociale.

Un altro grande cambiamento è generazionale: oggi il 35% dei nuovi acquirenti sono Millennials. I collezionisti storici diventano venditori e, soprattutto in Europa, dove si trovano le opere più belle, si sta verificando un enorme ricambio.

G.F.: Il modo di partecipare alle aste sta cambiando. Dopo l’exploit dell’online con il Covid, assisteremo a un ritorno alla partecipazione in sala?

M.B.: In realtà, siamo già tornati alla partecipazione in presenza. Le nostre sale d’asta sono gremite e, per gli appuntamenti più importanti a Londra e New York, trovare posto è difficilissimo.

Detto questo, il digitale è ormai parte integrante del mercato. I Millennials, in particolare, sono molto più indipendenti: preferiscono agire online senza bisogno di un intermediario e si sentono più liberi nel farlo. L’online crescerà ancora, ma l’asta dal vivo rimarrà sempre.

G.F.: Cosa comprano i Millennials?

M.B.: Lusso, orologi, borse e arte contemporanea. Si identificano più facilmente con artisti della loro epoca, piuttosto che con chi ha dipinto un secolo fa. È normale ed è sano che sia così.

G.F.: Per i Millennials, l’arte è più passione o investimento?

M.B.: Il giovane collezionista è più orientato all’investimento. È cresciuto in un mondo digitale, dove tutto si muove rapidamente, e spesso ha esperienza diretta con la scalabilità del valore (basti pensare al fenomeno delle startup).

Nel mercato dell’arte contemporanea, vediamo dinamiche simili a quelle degli orologi di lusso: artisti che vengono acquistati a cifre contenute in galleria e poi rivenduti in asta con grandi plusvalenze. È un’attrazione naturale.

Ma la passione rimane fondamentale: senza una visione solida, il rischio è quello di inseguire trend effimeri. E, come abbiamo già visto, il mercato si sta già ridimensionando in alcuni segmenti.

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