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La Bulgaria, questa sconosciuta

del

La Galleria Continua di San Gimignano starebbe proponendo una mostra (al momento chiusa per l’emergenza COVID-19) creata da Nedko Solakov: The Artist-Collector’s Dream (A Nice Thing). Solakov, nato a Červen Brjag nel 1957, è uno dei più noti artisti bulgari contemporanei, ma è anche curatore e collezionista: questa esposizione si sviluppa partendo da suoi lavori — tipici quelli che includono annotazioni scritte a mano sui muri della galleria, una sorta di storytelling — ma appaiandoli con opere di altri diciannove artisti, molte delle quali dalla collezione dello stesso Solakov, nata tramite scambi di lavori con colleghi.

Già: la Bulgaria, questa sconosciuta. Una nazione di circa 111.000 km² con non più di sette milioni di abitanti (un quarto dei quali concentrato nelle due maggiori città), di cui per decenni in Occidente si è saputo pochissimo, salvo che era sede di una delle dittature più dure dell’ex blocco sovietico, o Patto di Varsavia che dir si voglia.

La Cattedrale di Sofia, uno dei 10 siti patrimonio Unesco della Bulgaria

Eppure la Bulgaria ha una lunghissima e nobile storia, che dall’antica Tracia al cosiddetto Primo Impero Bulgaro — fulcro culturale dei popoli slavi durante l’Alto Medioevo: lo stesso alfabeto cirillico fu inventato in Bulgaria nel X secolo — arriva al fiorire della pittura di icone dopo la conversione del paese al cristianesimo ortodosso, divenuta poi un simbolo della resistenza culturale all’invasione ottomana iniziata nel 1391 e durata quasi cinque secoli. Di fatto uno dei tramiti tra il vicino Oriente e l’Europa occidentale, data anche la sua posizione geografica, la Bulgaria annovera 10 siti (7 culturali e 3 naturali) inclusi nella World Heritage List dell’UNESCO.

Il Novecento la vide passare dalle due Guerre Balcaniche del 1912 e 1913 alle due Guerre Mondiali, ove fu in entrambi i casi alleata della Germania; nel 1923 e 1934, due colpi di stato d’ispirazione fascista avevano messo fuori legge le forze democratiche; infine, nel 1946, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Bulgaria entrò nell’orbita sovietica divenendo una repubblica comunista a partito unico, fino alla caduta della “cortina di ferro” avvenuta nel 1989.

Questa storia travagliata, culminata con la dura dittatura di stampo sovietico, bloccò sostanzialmente — come in altri paesi dell’Europa dell’Est — lo sviluppo delle Arti, ingabbiandole infine nei rigidi diktat formali e contenutistici del famigerato Realismo Socialista. Per tutto il Novecento, i più famosi artisti bulgari sono stati degli espatriati in Occidente: dallo scrittore Elias Canetti alla semiologia Julia Kristeva, dal pittore Jules Pascin (nato Julius Pincas, 1885-1930) a Christo (Hristo Yavachev), probabilmente il primo nome di artista contemporaneo bulgaro a venire in mente (anche Sylvie Vartan — ve la ricordate? — è bulgara di nascita, pur venendo da genitori di origine armena e ungherese: dopo l’occupazione sovietica la loro casa venne nazionalizzata e la famiglia decise infine di emigrare a Parigi, quando Sylvie aveva otto anni).

Vladimir Dimitrov-Maistora – Ritratto di fanciulla

Emblematico, d’altro canto, il caso di quello che viene considerato uno dei maggiori pittori bulgari (operante in patria) del XX secolo: Vladimir Dimitrov-Maistora  — “Il Maestro” —, nato nel 1882 e morto nel 1960. Dopo aver viaggiato frequentemente in Occidente prima e dopo il primo conflitto mondiale, già celebre si ritirò nel villaggio di Shishkovtsi, nella natia provincia di Kyustendil nel sudovest della Bulgaria, adottando uno stile di vita di povertà e ascetismo ispirato al cosiddetto tolstoianesimo e lavorando per il Ministero dell’Educazione. Nel 1946 aderì al Partito Comunista; anni dopo avrebbe dichiarato: «Dopo aver pagato lo scotto di aver creduto nell’“idealismo”, ho accettato, sebbene in età avanzata, l’unico veritiero punto di vista — il marxismo-leninismo — e, per quanto riguarda la mia arte, il realismo socialista».

Tra il 1920 e il 1930, Dimitrov aveva dipinto un quadro capitale nella storia dell’arte bulgara: la cosiddetta Madonna bulgara (in realtà il titolo le fu attribuito nel 1973 da un critico parigino — che la vide in una retrospettiva postuma dedicata all’artista — sottolineandone l’evidente ispirazione leonardesca). Il quadro, esempio tipico della ritrattistica femminile di Dimitrov («Volevo mostrare la sagacia spirituale e la purezza dell’anima e l’umiltà delle fanciulle»), passò da un consenso popolare immediato — preso a simbolo della più profonda essenza dello spirito bulgaro — al successivo gradimento delle autorità comuniste, che vi vollero vedere il nesso tra la tradizione popolare e le future magnifiche sorti e progressive del Paese, considerando anche la tematica per così dire “agraria” che percorreva tutta l’opera di Dimitrov.

Vladimir Dimitrov-Maistora, Madonna bulgara, ca 1920-1930

Va detto però, per comprendere fino in fondo la portata storica dell’opera, che fin quasi all’inizio del Novecento l’unica forma di iconografia esistente in Bulgaria era, come detto, la pittura di icone,  influenza che in qualche modo Dimitrov cercò di “traghettare” nell’evo moderno; come pure che l’artista, assieme ad altri suoi contemporanei del movimento Rodno Izkustvo (“Arte nativa”), perseguì deliberatamente un’arte tradizional-popolare che si tenesse distante dalle tendenze occidentali che iniziavano a filtrare in Bulgaria — soprattutto dalla Francia — nel periodo tra le due guerre mondiali.

Vi furono invece artisti che, soprattutto negli anni Sessanta, cercarono di rompere la gabbia delle estetiche normative di marca sovietica. Coetaneo di Christo era Dimitar Kirov (1935-2008), il cui stile di quegli anni si ispira chiaramente a Chagall e al Picasso del periodo blu, con vaghi tocchi matissiani. Una figura interessante è anche quella di Ivan Nenov (1902-1997), la cui pittura oscilla tra il Realismo Magico e la Metafisica: già membro dell’Accademia Bulgara di Belle Arti, negli anni Cinquanta gli fu proibito esporre e fu espulso dall’Accademia in quanto giudicato “formalista”. Lika Yanko (1928-2001), d’altro canto, scontò a sua volta l’insofferenza per i dettami politico-accademici: la sua prima personale a Sofia nel 1967 fu bollata come “avanguardia” e chiusa pochi giorni dopo l’inaugurazione; la Yanko non poté più esporre fino al 1981, e durante la sua vita realizzò solo sette mostre, anche se i suoi quadri ricevettero attenzione da diverse gallerie europee.

Ivan Nenov – Donna in attesa, 1941

È difficile per noi concepire quale fosse la portata sovversiva di opere come quelle della Yanko, ai nostri occhi non particolarmente sperimentali, al di là di un blando astrattismo e dell’uso di oggetti come perline, bottoni, ghiaia apposti sulla tela, ma, per chiarire meglio quale fosse l’atmosfera della Bulgaria negli anni della Cortina di Ferro, posso riferire un aneddoto raccontatomi “di prima mano” da un testimone oculare. In vista della visita ufficiale di un alto membro del Partito Comunista nella città di Vidin, un suo segretario fu inviato a controllare che tutte le manifestazioni ad essa collegate si svolgessero correttamente. Supervisionando la prova dell’orchestra della Filarmonica locale per l’immancabile concerto di gala, il segretario trovò da ridire sul fatto che il direttore sul podio voltasse le spalle alla platea: era una grave scortesia nei confronti dell’ospite illustre. Ed era anche ridicolo che il contrabbasso fosse suonato da una persona così smilza e l’ottavino da un corpulento flautista. E quindi il concerto ebbe luogo con il direttore rivolto verso la platea, spalle all’orchestra… e due strumentisti che, scambiatisi i rispettivi strumenti, fingevano di suonare.

Come in altri paesi dell’ex blocco sovietico, si diceva, questa situazione socio-politico-culturale ritardò molto — se non bloccò del tutto — l’allineamento delle arti all’evoluzione e alle tendenze che si andavano affermando man mano in Occidente (peraltro col rischio della “rincorsa fuori tempo massimo” da parte degli artisti bulgari, una volta che gli stimoli di avanguardie, divenute nel frattempo superate, filtrassero infine nel loro paese).

Ergin Çavuşoğlu, Dust Breeding, 2015

Un caso esemplare è quello della videoarte. A causa della scarsa diffusione delle nuove tecnologie video — e anche della mancanza di una tradizione cinematografica-visuale innovativa — solo alla fine degli anni Ottanta gli artisti bulgari si accostarono al nuovo medium, inizialmente per la documentazione di performance, che sovente si svolgevano al di fuori dei contesti istituzionali, e poi come forma creativa in se stessa. Tra i primi a sperimentarlo ci fu proprio Nedko Solakov che, dopo aver integrato componenti video nelle sue installazioni multimediali, nel 1995 presentò il suo primo video autonomo: Some of My Capabilities. Altri nomi importanti nell’ambito della videoarte bulgara sono quelli di Ventsislav Zankov (1962), Kalin Serapionov (1967; il primo a realizzare una personale interamente composta di video, nel 1997 alla Ata-ray Gallery di Sofia), Ergin Çavuşoğlu (1968; noto anche per i suoi disegni ambientali anamorfici), Krassimir Terziev (1969; un suo lavoro fu incluso nella mostra itinerante New Video. New Europe, curata da Hamza Walker, che tra il 2004 e il 2006 toccò vari musei in Europa e Stati Uniti, tra cui il Tate Modern e lo Stedelijk Museum di Amsterdam).

Nel frattempo iniziavano a fiorire istituzioni che promuovevano l’arte contemporanea nel paese. Nel 1993 a Sofia aprì uno dei Soros Centers for Contemporary Art — programma promosso dal miliardario statunitense di origine ungherese per il sostegno e lo sviluppo dell’arte contemporanea nei paesi appena usciti dall’orbita sovietica —, seguito due anni dopo dall’Institute of Contemporary Art, sempre a Sofia. Nel 1999, ancora nella capitale, si svolse un Festival Internazionale di Videoarte, mentre a Plovdiv — la seconda città bulgara per importanza — fu fondata nel 2007 la Open Arts Foundation. Nel 2011, infine, ha aperto i battenti il Sofia Arsenal — Museum of Contemporary Art, ospitato in un bell’edificio costruito nel 1916 e originalmente destinato appunto a deposito di munizioni.

Luchezar Boyadjiev – On Vacation

Un altro artista bulgaro molto interessante, per concludere, è Luchezar Boyadjiev (1957), il cui lavoro si confronta, tramite serie/work in progress spesso connotate da forte ironia, con le rappresentazioni del potere e i processi sociali ad esse correlati. Notevole, ad esempio, la serie fotografica On Vacation (2004-2011), che ritrae decine di statue equestri di tutto il mondo private, in post produzione, dei personaggi storici che celebrano (in pratica lasciando visibile solo il cavallo), con un effetto straniante e corrosivo.

Sulla scena artistica contemporanea in Bulgaria è di recentissima pubblicazione un libro, Introduction to Bulgarian Contemporary Art (1982-2015) di Vessela Nozharova (Janet 45 Publishing & Open Arts Foundation, 2018 — testo in bulgaro e inglese), che riprende un ciclo di conferenze tenute dall’autrice nell’ambito di un programma educativo della Open Arts Foundation, e che costituisce il primo tentativo di tracciare una storia dell’arte bulgara a cavallo tra XX e XXI secolo.

Sandro Naglia
Sandro Naglia
Nato nel 1965, Sandro Naglia è musicista di professione e collezionista d’arte con un interesse spiccato per gli astrattisti italiani nati nei primi decenni del Novecento e per quelle correnti in qualche modo legate al Pop in senso lato (Scuola di Piazza del Popolo, Nouveau Réalisme ecc.).
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