«Ho cominciato a subire il fascino del tempo che passa su tutto, dell’uomo che dimentica e trascura, ma non riesce e, a volte, non vuole cancellare. Le persone, gli oggetti abbandonati, le stanze vuote raccontano tutto quello che non c’è più, ma la memoria e il senso dell’attesa e del sospeso rimangano intatti». Così parla di sé Enrico Tealdi, artista nato nel 1976 a Cuneo, dove vive, ha studiato ed oggi lavora.
La tecnica che utilizza più spesso è certamente la pittura, un fare che prevede la stesura di materiali che conferiscono “polvere e poesia” agli elementi ed ai soggetti del dipinto. Si tratta di tele di diverse dimensioni su cui Tealdi interviene con una tecnica mista a base di acrilico e pigmenti in polvere, che accordano alle opere una dimensione sospesa e misteriosa, indefinita e fragile. Di contro, le sue installazioni ambientali spaziano e accolgono materiali come il legno, le luci, la terracotta, a creare delicati equilibri tra gli elementi e le sensazioni.
Il suo lavoro dal titolo Le ombre che non riescono ad aspettare, appartenente alla serie Mondi, è stato recentemente premiato all’interno della IV edizione dell’Art Prize CBM – Premio Carlo Bonatto Minella, categoria over 30, e sarà impegnato in un tour espositivo che ha già toccato Londra e approderà in seguito al centro sperimentale NoD di Praga. Molte altre sue opere sono in Galleria da Francesca Antonini Arte Contemporanea a Roma, e la prima occasione per vederle in giro per l’Italia è sicuramente Artefiera, Padiglione 25 Stand A77, dal 2 al 5 febbraio a Bologna.
Project Marta- Monitoring Art Archive – un servizio che, a partire dall’intervista con artista, realizza una scheda tecnica completa di tutte le informazioni utili a conoscere in profondità le opere d’arte – ha raccolto tecniche e materiali per diverse tipologie di lavori di Enrico, con l’obiettivo di toccare tutte le sue produzioni più importanti, ed oggi vuole condividere l’intervista per I pensatori non sono mail soli, un’opera realizzata nel 2016, una tecnica mista su carta foderata su tela, di dimensioni molto piccole (24 x 18 cm).
Benedetta Bodo di Albaretto: I pensatori non sono mai soli, sono in compagnia dei loro pensieri è un lavoro a sé stante, appartenente al genere di soggetti che hai scelto di radunare sotto il nome di Batee. Come si lega questo progetto al tuo percorso artistico?
Enrico Tealdi: «I pensatori non sono mai soli è un’opera a sé, ma appartiene al genere di soggetti che ho scelto di radunare sotto il riferimento di unico titolo seriale, Batee. La batea è uno strumento, una sorta di setaccio che viene utilizzato per filtrare l’acqua e i residui per scovare le pepite o pagliuzze d’oro. I dipinti di questa serie ritraggono tutti orizzonti nebulosi e sospesi, e sono punteggiati da piccole figure quasi indistinguibili. Sono poesie visive, ed ognuna di loro contiene tante piccole figure, avvolte in un’atmosfera di polvere e solitudine. Sembrano quasi note musicali su un pentagramma, e suonano insieme una musica che arriva da lontano, forse perduta, ma che parla ad ognuno in modo diverso e personale. Batee è quindi una serie che racchiude diversi elementi, sei per la precisione, anche se non è un progetto concluso, ma in divenire».
B.B.: Molti tuoi lavori – penso ai dipinti, ma anche alle installazioni – tracciano riflessioni su temi di attualità e sollevano domande rispetto all’esistenza, al fascino di tutto quello che è stato, al tempo umano che scivola via attraverso selezionate sequenze di immagini. Cosa vorresti venisse percepito e compreso dal pubblico e dagli operatori in generale per I pensatori non sono mai soli?
E.T.: «“Amare le persone significa imparare le canzoni che sono nel loro cuore, e cantargliele quando le hanno dimenticate”. Vorrei che fosse così per chi guarda le mie opere. Trovarsi di fronte a qualcosa che può sembrare lontano, dimenticato, e che invece in un istante torna per raccontarti una storia che credevi perduta. Ma vorrei anche che suggerissero un mistero, qualcosa di sospeso che è rimasto ad aspettarti. Per questo anche il titolo è suggestivo e misterioso. Penso che i titoli siano importantissimi, per me sono parte integrante del lavoro stesso, e spesso ricordano stralci di una poesia, oppure frammenti di un testo. L’idea stessa del frammento mi interessa, anche nella costruzione del titolo. Di solito il titolo “arriva” alla fine dell’esecuzione, ci penso molto e, paradossalmente, li scordo spesso».
B.B.: Mi puoi raccontare le scelte tecniche a supporto del tuo lavoro, il processo creativo che ha portato alla progettazione realizzazione e all’allestimento di Batee?
E.T.: «Le scelte tecniche di oggi sono il frutto di molte sperimentazioni, un equilibrio che ho ricercato e trovato in più di vent’anni di pratica artistica. Ho utilizzato una tecnica mista, in questo caso come in molti miei lavori ho scelto una carta da spolvero incollata su tela. Utilizzo una colla in polvere che preparo io, come quella usata da tappezziere per la carta da parati, che scelgo perché non dovrebbe ingiallire nel tempo. Utilizzo poi acrilici, tempere e pigmenti in polvere, quelli che normalmente vengono usati dai restauratori per lavorare sugli affreschi. Diluisco il pigmento naturale nell’acrilico e in acqua, creando una pittura che deve essere stesa velocemente, proprio perché asciuga velocemente. Al tempo stesso, è leggera, e mi consente di stendere più velature, che a loro volta creano un’atmosfera polverosa, rarefatta. Si tratta di una tecnica personale, adottata sperimentando miscele e diluizioni. Utilizzo poi anche carboncino, graffite…e man mano applico fissativi specifici per evitare che le polveri si disperdano. In ultima mano utilizzo una vernice finale specifica per pittura, all’acqua, in piccolissime dosi, per fissare meglio i colori. È un procedimento che richiede un’estrema attenzione, basta poco perché resti troppo spessa, una pellicola, uno specchio che appiattisce e ammazza il mio lavoro».
B.B.: Dunque si tratta di un procedimento lungo, metodico…
E.T.: «Il tempo fa parte di queste opere. La contemplazione di un diverso orizzonte, misterioso e poco chiaro, l’equilibrata solitudine evocata dal titolo, le atmosfere ovattate che invitano a soffermarsi, sono tutti gli spunti di riflessione offerti da questa serie di carte intelate. I tempi di esecuzione sono effettivamente molto lunghi, per lasciare alla carta il tempo di accogliere l’effetto di “polvere” e sedimentazione. La carta è il supporto che prediligo, perché è vivo e si mette in condizione di accogliere e trattenere ciò che racconto in modo diverso rispetto a qualsiasi altro supporto».
B.B.: In generale, pensando ad eventuali future problematiche dovute ad invecchiamento oppure a cause accidentali, hai considerato in quale modo si potrebbe intervenire? Dovresti essere contattato in prima persona?
E.T.: «Fortunatamente non mi è ancora capitato di dover affrontare problemi di conservazione per i miei lavori, ma certamente vorrei essere contattato e coinvolto direttamente nell’intervento. È una situazione delicata, non si sa mai come reagire di fronte a un danno. Preferirei essere contattato perché saprei come fare, certamente potrei dare dei riferimenti importanti. In generale, anche se le mie opere sono trattate con fissativi, cerco di consigliare di non esporle a fonte diretta di luce o di calore, ma il tempo che passa fa parte del lavoro, il tempo è il suo destino».