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Frieze 2016 e il ritorno degli anni Novanta

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Il mercato dell’arte sembra non stancarsi mai dei revival. E così, mentre in Italia si inseguono i fantasmi della Pop Art in salsa romana o dell’Arte Cinetica, nel resto del mondo si torna a guardare con crescente interesse a quello che è stato l’ultimo decennio del XX secolo.

Un’attenzione, quella per gli anni Novanta, che in realtà non si è mai sopita completamente – basta dare uno sguardo ai risultati d’asta dei protagonisti di quegli anni per capirlo -, ma che dal 2013 ad oggi ha visto un’interessante accelerazione. Tanto che gli organizzatori della prossima edizione di Frieze London (6-9 ottobre) hanno pensato bene di dedicare ai Nineties un’apposita sezione, unica vera novità di Frieze 2016, per la quale il curatore Nicolas Trembley ha chiamato a raccolta 14 gallerie – presenti anche nella main section della fiera – perché rivisitassero altrettante mostre chiave del decennio. Una sorta di capsula del tempo, come l’ha definita lo stesso Trembley che presentando il progetto ha sottolineato: «Non è il genere di cose che, normalmente, si vedono in una fiera. Ma rivela che le opere sono ancora attuali e che il mercato è adesso finalmente pronto per accoglierle».

Insomma, la nuova sezione di Frieze 2016 sembra presentarsi come un dispositivo per tastare il polso mercantile dei Nineties, dopo tre anni di mostre che, iniziate negli Stati Uniti, hanno cominciato a spuntare anche in Europa e che, dobbiamo credere, faranno salire le quotazioni di molti dei protagonisti di quel decennio iniziato con la caduta del Muro di Berlino (1989) e chiusosi con il tragico attentato alle Torri Gemelle (2001). Ma vediamo quali sono i “confini” di questo revival, cosa lo sta determinando e soprattutto perché questo rinnovato interesse è forse più importante di quello riservato ad altre epoche della storia dell’arte moderna e contemporanea.

 

Perché rileggere gli anni Novanta

 

Camminare per le strade e incontrare qualche adolescente con addosso la maglia dei Nirvana può far sorridere chi, come me, aveva diciotto anni nel 1994. Ma è un segno dei tempi. Tempi in cui gli anni Novanta stanno tornando nella moda come nella musica e, naturalmente, nel mondo dell’arte.

L’aver parlato di revival non deve far pensare ad un fenomeno nostalgico, tutt’altro. L’intensificarsi in tutto il mondo degli eventi espositivi e delle pubblicazioni dedicate agli anni Novanta, è legato infatti ad una necessità di capire meglio quello che è stato uno dei decenni più controversi e ricchi della recente storia dell’arte, tanto che l’opera di molti degli artisti protagonisti di quella stagione continua ad influenzare la produzione artistica di oggi.  E forse non è un caso se questa rinnovata attenzione parte da una serie di curatori che hanno superato da poco la quarantina e che in quel decennio si avviavano verso la loro prima maturità intellettuale e di esseri umani.

Ad aprire le danze di questo interesse in campo artistico è, nel 2013, la mostra del New Museum di New York: NYC 1993: Experimental Jet Set, Trash and No Star  che, con un taglio verticale, ha offerto uno spaccato della scena artistica newyorchese del 1993. Mettendo insieme i lavori di quella che era allora la nuova generazione emergente della Grande Mela e artisti internazionali più anziani che in quello stesso anno tennero a New York  le loro prime mostre significative.

Attraverso le opere e le installazioni di artisti come Gabriel Orozco, Matthew Barney, Annie Leibovitz o Larry Clark, tanto per citare alcuni nomi, la mostra, curata tra gli altri da Massimiliano Gioni, ha avuto il pregio di porre l’accento sui dibattiti e le discussioni critiche che in quei primi anni Novanta ruotavano attorno a tematiche come la politica razziale e di genere, il globalismo e la critica alle istituzioni. Tutti temi tornati oggi di grande attualità, anche tra le nuove leve dell’arte, ma che all’epoca rappresentavano una novità assoluta e creano un legame proprio con la situazione odierna aiutandoci, in un certo senso, a comprendere meglio anche la produzione artistica del XXI secolo. Una produzione, quest’ultima, che troppo spesso ci viene presentata quasi come “orfana”, forse per anestetizzarci di fronte alla sua scarsa carica innovativa, e che invece ha i suoi padri artistici proprio negli anni Novanta.

Frieze 2016 - Una vista della mostra “NYC 1993: Experimental Jet Set, Trash and No Star”, tenutasi al New Museum di New York nel 2013. Photo: Benoit Pailley
Una vista della mostra “NYC 1993: Experimental Jet Set, Trash and No Star”, tenutasi al New Museum di New York nel 2013. Photo: Benoit Pailley

La scelta, peraltro, di concentrarsi solo sul 1993 non è casuale ma ha un valore simbolico, quasi celebrativo, visti i 20 anni precisi che separavano la mostra di New York da due eventi che hanno segnato profondamente il mondo dell’arte. Il 1993, infatti, è l’anno della più “politica” delle edizioni della Whitney Biennal e di Aperto ’93, la mostra ideata da Helena Kontova e Giancarlo Politi per la Biennale di Venezia di quello stesso anno e che ha segnato un punto di svolta nella storia delle grandi rassegne inaugurando l’era dei curatori. Oltre a presentare al mondo molti degli artisti che ancora oggi sono tra i più importanti della scena internazionale ma che, in quel lontano 1993, erano ancora all’inizio della carriera.

Se la mostra al New Museum fotografava la scena artistica newyorchese del 1993; 1984-1999: The Decade al Centre Pompidou di Metz (2014) ha posto invece l’accento su quella generazione di artisti che riportarono la Francia alla ribalta sul palcoscenico mondiale dell’arte. Così come, lo scorso anno, il Museo Ettore Fico di Torino, con la mostra Liberi tutti! Arte e società in Italia. 1989-2001, ha ripercorso lo stesso decennio da una prospettiva italiana offrendo al pubblico una preziosa ricognizione della scena artistica del tempo, dei temi, dei linguaggi e degli artisti – 63 quelli in mostra da Maurizio Cattelan a Francesco Vezzoli, passando per Mario Airò, Adrian Paci e Rudolf Stingel – che si fecero interpreti di una nuova era di profonde trasformazioni sociali, culturali e politiche. Quelle trasformazioni che, allora solo all’inizio, oggi sono fenomeni esplosi e, a tratti, incontrollabili come la globalizzazione, il dominio del web che influenza ogni ambito della società o il multiculturalismo derivante dalle migrazioni di massa.

Una vista della mostar "Liberi tutti! Arte e società in Italia. 1989 -2001" che si è tenuta al Museo Ettore Fico di Torino lo scorso anno.
Una vista della mostar “Liberi tutti! Arte e società in Italia. 1989 -2001” che si è tenuta al Museo Ettore Fico di Torino lo scorso anno.

Ma mostre dedicate agli anni Novanta sono state allestite, negli ultimi anni, anche al Garage Museum of Contemporary di Mosca (The New International, 2014) e in musei meno noti come il Montclair Art Museum nel New Jersey dove, ad inizio 2015, si è tenuta Come As You Are: Art of the 1990s che nel 2016 è approdata al Blanton Museum of Art di Austin in Texas. Di fatto la più ampia retrospettiva mai organizzata negli Stati Uniti sulla scena artistica americana dell’ultimo decennio del secolo scorso: 60 opere di 45 artisti nati o attivi degli USA – tra i quali Doug Aitken, Felix Gonzalez-Torres, Glenn Ligon, Donald Moffett, Shirin Neshat, Catherine Opie, Gabriel Orozco, Shahzia Sikander, Frances Stark e Kara Walker— con installazioni, video, dipinti, sculture, disegni, stampe, fotografie ed esempi della prima Internet art.

Un’ondata di esposizioni, quella descritta, che rappresenta lo sforzo di imporre un rigore storico ad un periodo che siamo sempre tentati di chiamare “contemporaneo”, ma non solo. Queste mostre, nel contestualizzare le opere esposte nella giusta cornice storico-temporale, ci aiutano a capire meglio come sia nata questa arte e, soprattutto, come gli anni Novanta continuino ad essere forti, in termini artistici, anche a distanza di 15 anni dal loro termine. Una serie di mostre che, peraltro, sono state affiancate, negli ultimi 5 anni anche da un ampio numero di convegni e di importanti pubblicazioni che hanno sancito, di fatto, l’inizio di un vero e proprio processo di storicizzazione di questo periodo.

 

Ripartire dagli anni Novanta

 

Se si vogliono capire a pieno gli anni Novanta e la produzione artistica che li ha caratterizzati è necessario, per prima cosa, affrontare questo decennio da un punto di vista economico-sociale più che estetico. L’ultima decade del secolo scorso si apre, infatti, nel peggiore dei modi: la crisi economica del 1991. Le gallerie d’arte chiudono in tutto il mondo e i prezzi di molti artisti crollano anche del 50% e si dovrà attendere il 2003 per vederli tornare ai livelli precedenti. L’arte degli anni Novanta nasce dunque in un momento di tagli alle spese e di ripensamenti, e se negli anni Ottanta la parola d’ordine era “eccesso”, nei Novanta diventa “risparmio”.

Allo stesso tempo, l’ultimo decennio del secolo scorso rappresenta un passaggio storico per la società, che assiste all’emergere della pandemia di AIDS e al sorgere delle cultura Grunge; alla rivoluzione tecnologica introdotta da Internet, senza dimenticare le guerre che insanguinano il Medio Oriente, l’Africa e i Balcani con i conseguenti flussi migratori o il modificarsi degli assetti geopolitici che seguono il crollo del Muro di Berlino e il dissolversi dell’Unione Sovietica e della Federazione Iugoslava. La società si fa sempre più liquida, finisce il secolo delle ideologie portandosi dietro molti dei punti fermi del passato, fino ad arrivare al terrorismo internazionale. Per dirla con i REM: It’s the End of the World as We Know It.

Tutto ciò, ovviamente, non può non ripercuotersi sul mondo dell’arte: cambia il mercato che si anima di biennali, fiere e nuove riviste; tutto diviene più “globale” a partire dalla capacità di azione degli artisti. L’arte subisce così una svolta “sociale” che le dà nuova linfa vitale in un momento in cui uno dei temi ricorrenti era proprio quello della sua “morte”. E diviene sempre più una situazione o un processo in cui ogni momento della vita può avere senso e per questo la si crea ovunque ed in ogni modo: davanti ad una telecamera, con un registratore o in uno spazio urbano. Tanto che sono pochissimi, tra i giovani artisti degli anni Novanta, quelli che lavorano ancora con i media tradizionali.

Felix Gonzalez-Torres, Traveling, 1994. Vista dell'installazione.
Felix Gonzalez-Torres, Traveling, 1994. Vista dell’installazione.

Un cambiamento, quello descritto, che è sintomatico di una nuova situazione di maggior connettività e di sincronicità dei fenomeni che porta ad un rinnovato tentativo di pensare l’arte collettivamente, dando vita ad una produzione che è spesso in un equilibrio, talvolta instabile, tra una maggior introspezione e una spiccata attitudine alla provocazione. E allo stesso tempo, la crescente attenzione che l’arte contemporanea riscuote a livello mondiale, porta al consolidarsi di un nuovo fenomeno nato alla fine degli anni Ottanta con l’emergere dei cosiddetti Young British Artists (YBAs’): quello dell’artista star, della singola individualità artistica dotata di grandi capacità imprenditoriali e in grado di autopromuoversi. Damien Hirst in questo è stato certamente un maestro, ma anche il nostro Marizio Cattelan è un case history interessante di questa metamorfosi. Con tutto quello che segue in termini di mercato.

E’ in questa temperie che si sviluppa l’arte degli ultimi dieci anni del secolo scorso che non a caso affronta temi come la globalizzazione, l’identità, le ideologie, le questioni di genere e i comportamenti sociali pescando, non di rado, da quelle che sono le cosiddette sub-culture non solo metropolitane. Gli anni Novanta sono gli anni delle grandi installazioni immersive tipiche degli YBAs‘, come Pharmacy di Damien Hirst o Light Sentence di Mona Hatum, che abbattono il confine tra arte e vita con una sottile vena provocatoria, attivando negli spettatori nuove esperienze fisiche e psicologiche. Artisti come l’americana Kara Walker creano opere ponenti che, affrontando il tema dell’identità, rompendo il muro di silenzio attorno agli stereotipi di genere e razziali.

Kara Walker, Gone, An Historical Romance of a Civil War as It Occurred Between the Dusky Thighs of One Young Negress and Her Heart, 1994.
Kara Walker, Gone, An Historical Romance of a Civil War as It Occurred Between the Dusky Thighs of One Young Negress and Her Heart, 1994.

Nel contempo sorge quella che viene definita l’Arte Relazionale, forse la forma espressiva più caratteristica del momento, che vede artisti come Gillian Wearing, Douglas Gordon o la nostra Vanessa Beecroft, sondare le relazioni umane e i contesti sociali, invece che soffermarsi sugli spazi privati. E mentre la globalizzazione è uno dei temi dominanti, i new media diventano uno strumento espressivo cruciale all’interno delle pratiche artistiche contemporanee. Questo grazie alle sperimentazioni di artisti come Doug Aitken o Bill Viola, senza dimenticare Matthew Barney e la saga, noiosina, di Cremaster. Infine la fotografia che con l’opera di Andreas Gursky o di Jeff Wall – tanto per citare due dei protagonisti – raggiunge una dimensione e una complessità inedite.

Per tutto ciò, e per molte altre ragioni che qui non è possibile indagare, si può dire che gli anni Novanta sono stati l’ultimo decennio del XX secolo, ma anche il primo del XXI. Sì, perché se una parte di quella produzione artistica appare oggi datata (in primis la Internet art), molte delle sperimentazioni e delle pratiche artistiche dell’epoca continuano ad essere le stesse di oggi, tanto che viene da chiedersi cosa abbia portato di realmente nuovo, almeno nel mondo dell’arte, il cambio di Secolo. E per questo, il rinnovato interesse che il mondo sta rivolgendo verso la produzione artistica di quella decade assume un valore molto particolare. E speriamo che possa aiutare l’arte ad uscire da un periodo fin troppo lungo di stasi. Forse uno dei più lunghi della storia.

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.

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