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Se il condition report diventa l’opera d’arte. Il potenziale della documentazione.

del

Glenn Ligon è un artista americano contemporaneo. Non propriamente un artista sconosciuto, dal momento che i suoi lavori sono stati esposti già diverse volte alle Biennali di Venezia, di Berlino, di Istambul e a Documenta XI.

Molto impegnato per il suo attivismo nei confronti della comunità black, le opere dell’artista fanno spesso riferimento a citazioni di importanti pensatori afroamericani, che in diverse occasioni diventano il soggetto vero e proprio delle sue installazioni luminose o dei suoi stancil su carta.

La ricerca di Ligon è ben conosciuta alla Tate Gallery, con la quale ha collaborato in diverse occasioni, e che dal 2007 ha acquistato e esposto nella sua sede di Liverpool un’opera che può farci accendere diverse lampadine. Almeno, credo sarebbe bello se lo facesse.

Appesa alla parete della prima grande sala del museo inglese aperto pochi anni fa compare l’opera Conditon Report. Ora, per chi tra i lettori sa che tipo di documento è un condition report capisce bene perché il titolo sia già motivo di particolare interesse. Forse anche un po’ di stupore.

Un condition report è un documento che certifica lo stato conservativo di un’opera, di supporto al lavoro di conservatori, musei, collezionisti da impiegare tutte quelle volte in cui si decide di movimentare un oggetto. Non possiamo definirlo come una vera e propria scheda conservativa, normalmente più approfondita e dettagliata di un condition report. Piuttosto su questo documento tecnico viene riportata un’annotazione sintetica dello stato conservativo, normalmente utilizzando una fotografia dell’opera come base per segnare con pennarelli di diversi colori, oppure con codici specifici, i possibili degradi che l’opera presenta prima e dopo il trasporto.

Per ogni mostra temporanea che viene allestita, disallestita e movimentata vengono redatti molti condition report che accompagnano le opere, come una sorta di dichiarazione sul loro stato di fatto.

Nel caso dell’opera della Tate datata anno 2000, Ligon si serve di questo documento per interpretare una forma di denuncia civile. Nella parte sinistra dell’opera è riprodotto un dipinto dello stesso artista del 1988, che fa riferimento ai cartelli di protesta utilizzati dai lavoratori di Memphis durante un famoso sciopero del 1968. A destra compare un duplicato della stampa, che presenta una serie di annotazioni fatte dal conservatore durante l’attività documentativa svolta per la redazione del condition report.

Se a una prima vista, non viene subito colto il senso di questo tipo di rappresentazione, nel contesto dell’indagine artistica di Ligon invece risulta ben chiaro l’intento. Le imperfezioni annotate possono essere lette contemporaneamente come una messa in discussione del sé e come la registrazione delle fragilità dell’oggetto. Questa dicotomia, d’altra parte, è dichiarata anche dallo stesso Ligon: “Si trattava di far vedere non solo l’invecchiamento fisico del dipinto nel tempo – come le crepe, la perdita di vernice e tutto il resto – ma di fare riferimento anche a come e quanto cambiando le idee riguardo la mascolinità, le idee sul rapporto che abbiamo con il movimento per i diritti civili”.

Continuando a mettere al centro dell’opera questa doppia visione, l’ulteriore lettura che potrebbe fare un visitatore appassionato da questo tipo di opere (e ogni riferimento personale è puramente casuale), riguarda gli aspetti che facilmente traslano tra l’umano e l’artistico. È come se l’artista volesse mettere l’accento su quanta attenzione può essere riposta nei confronti di qualcosa, quanta cura può essere richiesta per descrivere ogni minimo dettaglio.

E da questa attenzione così acuta, quanti particolari si possono notare, danni e piccole rotture che a primo impatto non sarebbero visibili? In fondo, è come con le persone e con le loro debolezze.

Da professionista che compila diverse volte e in molte occasioni documenti di condition report, non avevo mai pensato quanto potesse essere forte come rappresentazione. Quanti significati possa portare con sé.

Quanto potenziale ha l’attività di documentazione?

In effetti moltissimo. E non si tratta di soli messaggi e retromessaggi che può trasmettere. La documentazione – e tutto ciò che riguarda quel lavoro attento di raccolta delle informazioni intorno a un oggetto – deve essere inteso come uno strumento necessario alla vita di un’opera. E anche di una collezione. Perché è proprio la documentazione che tiene insieme i pezzi, li collega e ne racconta l’evoluzione e la storia.

L’interesse per la poetica di Ligon è dovuto, molto probabilmente, anche a questa sua capacità di raccontare dei fatti. Forse è questo il motivo per cui proprio lui è riuscito a vedere in un documento conservativo, in un insieme di annotazioni, la chiave per la comunicazione del suo messaggio.

Ogni collezionista dovrebbe poter dare questa occasione alla sua collezione. L’occasione di essere raccontata, documentata, conservata con i dati giusti, con le informazioni giuste. Insomma con le parole giuste. Ogni collezionista dovrebbe intravedere nella attività di documentazione un potenziale: organizzativo, gestionale, logistico, conservativo. Certo. Ma forse prima di tutto, narrativo.

Francesca Gasparetto
Francesca Gasparetto
Restauratrice-conservatrice di formazione con una passione per il data management e la documentazione digitale delle collezioni d'arte. E’ autrice di diverse pubblicazioni scientifiche sul tema della documentazione per la conservazione del Patrimonio. Collabora con l’Università degli Studi di Urbino nell'ambito di progetti internazionali sul tema della conservazione del Patrimonio e tiene un corso sulla documentazione digitale. E’ co-fondatrice della start-up arturo, società che si occupa di conservazione e documentazione delle collezioni d’arte.

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