Manca ormai solo una manciata di giorni alle evening sale di New York, in programma tra martedì e giovedì della prossima settimana, ed è naturale chiedersi se ci sarà o meno un “effetto Trump” su un mercato dell’arte che, a livello internazionale, sta vivendo un momento di stanchezza. Un affaticamento che viene da anni di record e da un ritmo che difficilmente poteva ancora essere sostenuto. L’ultimo RawFacts Montly Report di ArtTactic, uscito qualche giorno fa, ci dice infatti che ad ottobre 2016 il mercato ha fatto registrare un -16.9% nelle vendite globali di Sotheby’s, Christie’s e Phillips rispetto allo stesso mese dello scorso anno.
Allo stesso tempo, però, gli autori del report sottolineano come il trend negativo in atto già dal primo semestre dell’anno si stia, in realtà, riducendo. Come dire che il mercato sta piano piano trovando un nuovo punto d’equilibrio e che la fiducia dei collezionisti sta lentamente ritornando. Peraltro il tanto temuto effetto Brexit non c’è stato e la piazza londinese ha realizzato, fino ad oggi, la performance migliore di questo autunno, totalizzando il 41.2% delle vendite, contro il 38.5% di Hong Kong e il 9.2% di New York. Percentuale, quest’ultima, che dovrebbe cambiare, in novembre, a favore della Grande Mela dove, come detto, si terranno le principali aste del mese di Impressionisti, Arte Moderna e Contemporanea. E qui si inserisce il risultato delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti.
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Fare previsioni è sempre difficile e nessuno degli articoli usciti in questi giorni sulla stampa americana di settore azzarda molto. Quello che però si rileva, sfogliando la rassegna stampa, è una sostanziale fiducia degli operatori di mercato. Una fiducia, mi viene da aggiungere, non solo supportata dal risultato londinese, ma anche dal fatto che nel primo semestre il calo registrato nei fatturati delle aste è principalmente imputabile ad una minor presenza di “capolavori” nei cataloghi. Ma dove erano presenti il risultato c’è sempre stato. Tanto che a fatturati in calo ha corrisposto, spesso, un incremento dei record d’asta.
Il timore che la possibile elezione di Trump potesse avere un’influenza negativa sulle aste deve comunque essere stato molto forte nei vari dipartimenti di Sotheby’s, Christie’s e Phillips che, guarda caso, hanno fatto slittare le loro aste di qualche settimana, rispetto alla programmazione tradizionale, così da scongiurare un tragico effetto fallout. E’ la prima volta che accade una cosa del genere – in passato le aste si sono sempre tenute negli stessi giorni delle elezioni – ma sicuramente la scelta è stata saggia e ha concesso ai mercati finanziari di superare le turbolenze che hanno preceduto l’effettivo ingresso del multimiliardario statunitense alla Casa Bianca. Un interessante studio del 2009 a firma di William Goetzmann, Luc Renneboog e Christophe Spaenjers mette, infatti, in risalto proprio come l’andamento del mercato dell’arte, già dal 1830, segua di pari passo quello dei titoli finanziari. Detto questo, l’arte in questi anni è sempre più vissuta come un asset alternativo alle più tradizionali forme di investimento e questo è, al di là di tutto, un importante asso nella manica per il mercato.
Come spiega benissimo
La prima è che l’instabilità globale e i dubbi tenderanno ad accelerare il flusso di denaro verso forme alternative di investimento. In parole povere, ci sono buone ragioni per credere che gli acquirenti continueranno a spostare il loro denaro su arte e gioielli, invece che su strumenti finanziari come titoli di stato o, addirittura, titoli azionari. La seconda questione riguarda l’andamento macroeconomico dell’inflazione. I tassi di interesse si manterranno presumibilmente bassi per molto tempo. Ma già alcuni dei probabili consiglieri di Trump chiedono un’azione aggressiva sui tassi di interesse e altre delle mosse politiche annunciate renderanno l’inflazione una priorità rispetto ad altri obiettivi. Gli economisti, inoltre, indicano come le posizioni di Trump sull’immigrazione e la possibilità di un ampio piano di incentivi come segni che l’inflazione probabilmente tornerà a crescere. E anche il protezionismo commerciale farà aumentare la pressione dell’inflazione. Nessuna di queste tendenze è necessariamente un male per il mercato dell’arte, in particolare nel contesto di un regime politico che è improbabile aumenti le tasse».Ovviamente tutto ciò non risolve a pieno la questione circa un possibile “effetto Trump” sul mercato dell’arte, ma ci consegna un doppio scenario molto legato all’imprevedibilità del nuovo presidente USA. Il primo è di breve, anzi brevissimo periodo, e ci porta ad affermare che quasi certamente nell’immediato non ci sarà nessun effetto pesante sul mercato dell’arte, anche perché il nuovo corso della politica statunitense non ha ancora avuto inizio. Il secondo, di medio e lungo periodo, è invece decisamente più incerto. Già in passato abbiamo visto come, al di là della speculazione, i fattori che più influenzano l’andamento dell’arte sono l’instabilità economica e politica, ma anche le guerre. Oltre che la diffusione della ricchezza. Un eccesso di protezionismo e un aumento delle tasse potrebbe quindi influire molto sull’andamento del mercato americano più che, probabilmente, su quello globale, visto anche il crescente peso che negli anni stanno acquisendo i collezionisti asiatici e sudamericani.
Almeno per il momento, però, nessun cambiamento epico è atteso sul mercato dell’arte che la prossima settimana si appresta a battere alcuni dei suoi cataloghi più preziosi di arte Impressionista, moderna, post-war e contemporanea, con un totale complessivo atteso dalle tre case d’asta in campo tra gli 882 milioni e 1.2 miliardi di dollari. Difficilmente, d’altronde, il risultato elettorale potrà scalfire il fascino di opere come Rigide et courbé (1935) di Wassily Kandinsky o Meule (1891) di Claude Monet in asta da Christie’s e che rappresentano un’opportunità unica per il grande collezionismo internazionale di acquistare capolavori dell’arte mondiale che mancavano dal mercato da più di 50 anni.