Nell’arco di un paio di settimane sono stati pubblicati due dei più completi rapporti sul mercato globale dell’arte che, però, ci consegnano due scenari diametralmente opposti. Secondo il TEFAF Art Market Report, uscito il 6 marzo scorso, il mercato dell’arte nel 2016 è cresciuto del +1.7%, mentre per The Art Market 2017 – realizzato per Art Basel e UBS da Clare McAndrew – sarebbe crollato del -11%. Che tra un report e un altro ci possano essere delle differenze è una cosa più che normale, ma che la fotografia di un intero comparto economico possa risultare addirittura opposta a seconda dello studio condotto, appare quanto meno anomalo. Ma questo è quanto sta succedendo nel settore degli art market report.
Per Maastricht il mercato è cresciuto…
L’unica cosa su cui vanno d’accordo i due rapporti sul mercato realizzati, rispettivamente, da TEFAF ed Art Basel sembra essere, guarda caso, il ruolo di indiscutibile importanza che oggi ricoprono le fiere d’arte. Per il resto, al netto degli approfondimenti che contengono, sempre molto interessanti, i due studi sembrano descrivere le economie di due pianeti diversi. Ma procediamo con ordine. Il 6 marzo TEFAF lancia il suo rapporto annuale che, per la prima volta, non è realizzato da Clare McAndrew di Arts Economics, “fuggita” a Basilea per offrire ad Art Basel i suoi servigi, ma dalla professoressa Rachel A. J. Pownal della Maastricht University. E subito l’autrice ci mette in guardia, dicendo che il suo studio parte da una base dati diversa dal passato, ma che coincide in modo più esatto con i reali “confini” del mercato. Per questo, si giustifica, il dato globale è profondamente diverso da quello pubblicato nelle edizioni precedenti del rapporto olandese. E il mercato globale dell’arte, infatti, secondo la Pownal, nel 2016 avrebbe raggiunto un valore di 45 miliardi di dollari segnando un +1.7% sul 2015.
Anche se mancano all’appello circa 20 miliardi di dollari di fatturato rispetto ai report realizzati in passato dalla McAndrew (chissà che fino hanno fatto), il trend è positivo e questo rappresenta certo una grande rassicurazione a pochi giorni dall’apertura di una delle fiere più importanti del mondo. Un andamento positivo, spiega la professoressa Pownal nel testo, dovuto unicamente ai mercanti e alle gallerie che hanno visto crescere i propri fatturati mediamente del +20% raggiungendo, complessivamente, i 27.9 mld $ e arrivando a rappresentare il 62.5% dell’intero mercato. Allo stesso tempo, il rapporto ci fa sapere che il fatturato delle aste si è contratto del -18.8% rispetto al 2015, attestandosi sui 16.9 miliardi di dollari (nel 2015 erano 20.8 mld $). Entrando più nel dettaglio, il TEFAF Art Market Report ci dice poi che tutte le tipologie di gallerie, da quelle senza dipendenti a quelle più grandi, hanno fatto registrare crescite nei fatturati con picchi anche del +50%.
…per Basilea no
Che le aste non avessero brillato nel 2016 ce ne eravamo accorti tutti, ma la notizia che, trainato dai galleristi, il mercato nel 2016 ha tenuto è stata sicuramente fonte di ottimismo per il futuro, ma… arriva il 22 marzo e l’uscita di The Art Market 2017, la “nuova” creatura che Clare McAndrew ha realizzato per ArtBasel e UBS, e lo scenario cambia radicalmente. Secondo il rapporto di Basilea, infatti, il fatturato globale del mercato dell’arte sarebbe di 56.6 miliardi di dollari, con una contrazione del -11% rispetto al 2015 in termini di turnover. Clare McAndrew, inoltre, ci fa sapere che il mercato delle aste è calato del -26% mentre quello dei dealer è cresciuto del +3%. In crescita anche i fatturati delle fiere (+5%) e l’online (+4%). Anche in questo caso, il report cerca di entrare più nel dettaglio e parlando di galleristi e dealer precisa che le realtà con un fatturato inferiore ad un 1 milione sono in difficoltà, mentre i dealer/galleristi con introiti tra 1 a 10 mln $ hanno chiuso il 2016 con un +7% nei fatturati. Mentre quelli con un turnover superiore ai 10 mln $ hanno realizzato +2%.
Nessuna trasparenza neanche per le aste
Ora, il mondo dei dealer e delle gallerie, lo sappiamo, è quello più difficile da indagare vista l’opacità di questa parte di mercato. Le aste, invece, con i tanti database disponibili e i risultati pubblici, dovrebbero essere la fetta di mercato più trasparente e, quindi, più “semplice” da indagare. Eppure, anche se Pownal e McAndrew sono concordi nel dirci che i fatturati delle vendite in asta sono calati, non riescono ad essere allineate sulle dimensioni di questa contrazione e neppure sulla geografia del mercato. Per la professoressa della Maastricht University, infatti, non solo questa fetta di mercato è calata del -18.8%, ma le piazze principali sarebbero l’Asia (40.5%), l’Europa (31%) e le Americhe (27.5%). Completamente diversa la visione della fondatrice di Arts Economics: le aste sono calate del -26% e i tre mercati più importanti sono Stati Uniti (40%), Regno Unito (21%) e Cina (20%). Non solo, per la McAndrew il volume delle transazioni in arte nel 2016 sarebbe calato del -8%; per la Pownal addirittura del -21.5%.
E Artprice, leader mondiale delle banche dati sulle quotazioni e degli indici dell’arte, che cosa dice? Il suo rapporto sulle aste è uscito il 3 marzo e potrebbe essere un utile riferimento per fare una “riprova” dei risultati emersi dagli altri due rapporti. Ma quello che emerge è ancora un altro panorama: secondo il report della società francese il mercato delle aste nel 2016 avrebbe raggiunto i 12.4 miliardi di dollari, facendo registrare un -22.5% rispetto al 2015, quando le vendite nella aste pubbliche avevano realizzato un fatturato globale di 16 miliardi. Un calo a cui sarebbe corrisposto, però, un incremento del +8% nei volumi delle transazioni d’arte. Sul podio del mercato, secondo la società francese, la Cina con il 38% delle quote di mercato, seguita da Stati Uniti (28%) e Regno Unito (17%).
Così i report diventano inutili
Da cosa dipende questo balletto di cifre? Sicuramente i campioni utilizzati da Rachel A. J. Pownal e Clare McAndrew per monitorare l’andamento del settore delle gallerie e dei dealer sono diversi e – pur leggendo le appendici dei rapporti – non si capisce neanche troppo bene in base a quali criteri statistici siano stati composti (sembrano più nati per “conoscenza” se capite cosa intendo). Ma per le aste le cose dovrebbero già essere più allineate. E invece no, tre rapporti tre scenari, con il fatturato di questo settore che ammonta a 12.4 mld di dollari per ArtPrice, 16.9 mld per TEFAF e addirittura a 22.1 mln per Art Basel.
Che il problema stia nei campioni usati o in come vengono trasmessi i dati delle aste una cosa è certa: la situazione rasenta l’assurdo e rischia di rendere inutili questi rapporti. Sia per usi giornalistici sia per gli stessi operatori: come si può tracciare una qualsiasi strategia partendo da una visione così confusa? E la situazione è tanto più assurda in un’epoca in cui si parla sempre più spesso di Big Data, data science e open data. Solo organizzando e dando trasparenza ai dati è possibile prevedere cosa potrà succedere dopo e, di conseguenza, dar vita ai processi decisionali. Dati, strategia, collaborazione e competenze tecniche sono, d’altronde, le basi del futuro. Ed anche il mercato dell’arte dovrebbe iniziare a capirlo.