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Scolpire lo Spazio: intervista a Elia Cantori

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La prima volta in cui mi sono imbattuto nell’opera di Elia Cantori (n. 1984) è stato il 2015 quando i suoi lavori furono portati ad Artissima dalla CAR DRDE, galleria bolognese che partecipava per la prima volta alla fiera e che oggi lo rappresenta. Da allora sono passati due anni e questo giovane artista di Ancona continua a colpirmi per la grande coerenza che caratterizza il suo lavoro e, soprattutto, per la costante evoluzione delle sue sperimentazioni da cui nascono opere mai ripetitive o banali. In cui materia ed energia sono due degli ingredienti base con cui Cantori ci fa vivere l’esperienza fisica ed emozionale dello spazio, spinto da un grande interesse per il modo in cui il cosmo influenza e determina i nostri movimenti e le nostre attitudini. Per questo – mi spiega durante la nostra chiacchierata – gran parte del suo «lavoro parla di spazio e lo affronta sia da un punto di vista fisico e materico, occupandolo, che da un punto di vista mentale, cercando di creare situazioni sensoriali». Come nel caso di Navetta (2008), esposta in occasione della sua prima personale del 2009: «una ruota interattiva capace di far vivere nel visitatore l’assenza di gravità all’interno dello spazio espositivo. Basato sul principio utilizzato dagli astronauti nelle loro esercitazioni spaziali,  questo lavoro è un invito a dialogare con lo spazio che ci circonda».

Nicola Maggi: Da dove nasce questo tuo interesse per i processi naturali, fisici o chimici in grado di trasformare la materia in altro?

Elia Cantori: «Gran parte del lavoro della scultura ha strette analogie e allusioni con le terminologie e le ricerche scientifiche. Anche prima tu citavi la materia, lo spazio e l’energia come elementi primari del mio lavoro, ma ovviamente sono questioni universali che riguardano tanto l’arte quanto la scienza. Per uno scultore, come per uno scienziato, la materia è alla base di tutto, anche se la ricerca per tentare di definirla è diversa. Lo scultore agisce più da un punto di vista intuitivo e di subconscio, mentre sarà indagata in maniera logica e conscia dallo scienziato. In entrambi i casi però si cerca sempre di sperimentare  e di creare situazioni per far sì che avvenga qualcosa».

Elia Cantori, Navetta, 2008. Collezione Privata
Elia Cantori, Navetta, 2008. Collezione Privata

N.M.: Uno dei luoghi privilegiati della tua indagine è stato, peraltro, proprio il tuo studio che sembra rappresentare il fil rouge che unisce le tue varie sperimentazioni già a partire dal 2008, quando lo hai compresso in una sfera di 90 cm di diametro...

E.C.: «Stanza è stato il primo lavoro in cui ho usato il mio luogo di produzione come soggetto e oggetto della mia arte trasformando il mio studio in una sintesi spaziale: ho fisicamente compresso in una sfera i materiali ricavati dalla demolizione del mio studio, illuminandola poi con il neon originariamente collocato sul soffitto e applicando la maniglia e la serratura all’esterno. E’ un’opera che ha segnato, senza dubbio, un inizio importante della mia ricerca e da lì a poco, infatti, sono iniziati una serie di lavori a tema. La scelta di usare lo studio è stato un passaggio naturale e, per alcuni versi, anche necessario: essendo il primo spazio con cui mi confronto quando lavoro è il luogo per eccellenza in cui effettuare gli interventi. Inoltre, dal momento che è parte del mio privato, riesce più di un qualsiasi altro posto a essere la perfetta cassa di risonanza delle mie idee e, nel caso di Stanza, la vittima sacrale».

Elia Cantori, Stanza, 2008. Courtesy: CAR DRDE Bologna
Elia Cantori, Stanza, 2008. Courtesy: CAR DRDE Bologna

N.M.: Si così al bienni 2009-2010 in cui la tua attenzione si focalizza sull’energia che, in serie come 60 Watt-18,97 Feet o Untitled (Explosion), tu fotografi letteralmente…

E.C.: «Nel lavoro 60 Watt-18, 97 Feet  cerco di raccontare lo spazio dello studio attraverso fogli di carta fotografica, piegati al buio nella forma di aeroplanini e lasciati volare con la luce accesa all’interno dello spazio. Il risultato, una volta sviluppati, sono geometrie coloratissime, sulle quali resta impressa la velocità della luce. Il titolo 60 Watt-18, 97 Feet  fa riferimento alla lunghezza della stanza e all’intensità della luce. Untitled (Explosion), invece, è uno dei primi lavori in cui mi sono servito della carta fotosensibile; è stato la conseguenza di un’altra serie di opere intitolate Explosion (2009) in cui, come in una sorta di test, ho registrato su blocchi di cera la deflagrazione di piccoli esplosivi,  dove il gesso, una volta colato nella cavità, restituiva la forma esatta dell’esplosione. Il bisogno successivo è stato quello di registrare la luce, da qui la serie fotografica in camera oscura. Vedo questi lavori come vere e proprie sculture. Un modo per dare immagine e corpo all’energia».

N.M.: E nel 2010 realizzi, con  Senza Titolo (Studio), anche il tuo spazio di lavoro diventa una installazione fotografica…

E.C.: «Studio è un fotogramma completo di un’intera stanza del mio studio. Ho letteralmente tappezzato tutto lo spazio, dal soffitto al pavimento, con la carta fotosensibile, per poi auto-registrare l’ambiente con la stessa luce di illuminazione. L’intera stanza si è così auto-impressa al negativo sulla carta fotografica, bloccando in un istante il normale andamento del tempo, segnato anche da un calendario e da un orologio appesi alle pareti. L’aspetto finale della stanza disorienta e fa assumere al tutto una valenza quasi cosmica».

Elia Cantori, Untitled (Studio), 2010. Courtesy: CAR DRDE Bologna
Elia Cantori, Untitled (Studio), 2010. Courtesy: CAR DRDE Bologna

N.M.: Un tema, quello del cosmo, dell’universo, che è stato al centro di molti tuoi lavori del 2013. Penso ad Armillary Sphere (Expanded Universe) o Dark Sun

E.C.: «Tutto è  iniziato con Dead Constellation (2011) in cui, attraverso l’uso della camera oscura e della polvere di meteorite messa a contatto diretto con un foglio di carta fotosensibile, ho ricreato l’immagine al negativo di un cielo stellato. Con Dark Sun (2013) ho cercato, invece, di utilizzare le proprietà tipiche della carta solare per auto-registrare, attraverso l’uso della luce solare, delle immagini ravvicinate della stella madre riprese dalla sonda della NASA. Come in un loop il sole ha generato la sua stessa immagine. Mentre in Armillary Sphere (Expanded Universe), sempre del 2013, ho decostruito un antico astrolabio sferico di metallo, scomponendo e riorganizzando tutte le sue singole parti in una sorta di proiezione assonometrica: la sfera che prima fungeva da ricostruzione fedele dell’universo conosciuto si è trasforma, così, in una nuova visione cosmologica».

Elia Cantori, Armillary Sphere (Expanded Universe), 2013. Iron and brass. Courtesy: CAR DRDE Bologna
Elia Cantori, Armillary Sphere (Expanded Universe), 2013. Iron and brass. Courtesy: CAR DRDE Bologna

N.M.: Poi lo scorso anno hai realizzato Untitled (Double Hemisphere Room), una delle opere più interessanti tra quelle presenti ad Artissima 2016… ma soprattutto la Sfera del 2008 si è magicamente aperta…

E.C.: «Le Corbusier diceva che “l’esterno è sempre un interno”, riferendosi alla capacità di un oggetto o di uno spazio di rivelarsi al suo esterno. Con Untitled (Double Hemisphere Room) è come se avessi voluto “svelare”, in maniera definitiva, le dinamiche spaziali interne che hanno generato e determinato la forma sferica di  Stanza. In Untitled (Double Hemisphere Room), mi sono servito della camera oscura per registrare all’interno di due semisfere lo spazio e gli oggetti del mio studio. L’immagine che si è impressa, attraverso l’uso dell’emulsione fotosensibile, è riuscita ad accrescere ulteriormente il senso di vertigine dello spazio».

Elia Cantori, Untitled (Double Hemisphere Room), 2016. Photographic emulsion, resin and iron. Courtesy: CAR DRDE Bologna
Elia Cantori, Untitled (Double Hemisphere Room), 2016. Photographic emulsion, resin and iron. Courtesy: CAR DRDE Bologna

 

N.M.: Sempre del 2016 sono anche le tue “mappe”, un lavoro molto particolare, ce ne parli?

E.C.: «La serie Untitled (1.1 Map) sono semplicemente calchi in scala 1:1 di mappe geografiche. Ho recuperato alcune mappe che tenevo nel mio studio e, successivamente, le ho portate in fonderia, cercando di registrale con la tecnica del sand casting. Questa tecnica consiste nell’imprimere nella sabbia la superficie che si vuole registrare. Nel mio caso, però, mi interessava registrare, oltre alla superficie della mappa, anche le dinamiche spaziali che si vengono a creare attraverso la fusione. In qualche modo Untitled (1.1 Map)  può essere visto come una continuazione dei lavori fotografici di cui parlavamo prima».

Elia Cantori, Untitled (1_1 Map), 2016. Aluminum. Courtesy: CAR DRDE Bologna
Elia Cantori, Untitled (1_1 Map), 2016. Aluminum. Courtesy: CAR DRDE Bologna

N.M.: Adesso a cosa stai lavorando? Quali direzioni sta prendendo la tua ricerca?

E.C.: «Tendo sempre a non forzare le idee, ma a lasciarle crescere liberamente nella maniera più naturale possibile, un po’ come se si auto-generassero. Credo che l’approccio intuitivo sia il modo migliore per riuscire a creare un corpo di lavoro coerente e personale. Al momento sto portando avanti una serie di lavori sempre riguardanti lo spazio, ma da un punto di vista più “entropico”. Vorrei analizzare, attraverso la scultura, i meccanismi interni di trasformazione della psiche e della conseguente alterazione percettiva dello spazio».

[infobox maintitle=”PER I COLLEZIONISTI” subtitle=”Elia Cantori è rappresentato dalla CAR DRDE di Bologna. I prezzi delle sue opere vanno dai 1.500 ai 20.000 euro a seconda delle dimensioni. Nato ad Ancona nel 1984, città dove vive e lavora, Cantori ha debuttato nel 2008, mentre la sua prima personale è del 2009: Amplified Loop da CAR Project a Bologna. Nello stesso anno è stato anche protagonista di Compressed Building, a cura di Francesco Stocchi da Crisp a Londra. Da allora ha esposto sia in collettive che con solo show in Italia ed in Europa. Il 2 giugno prossimo alcune sue opere saranno presenti nella collettiva Zodiaco curata da Davide Bertocchi da Samy Abraham a Parigi. Mentre già a metà maggio sarà presente, con una serie di lavori, insieme ad artisti storici come Giulio Paolini, Luigi Ghirri, Lucio Fontana, Gilberto Zorio, in un progetto collettivo della Repetto Gallery di Londra. Nel 2016 la CAR DRDE gli ha dedicato un solo booth ad Artissima” bg=”gray” color=”black” opacity=”off” space=”30″ link=”no link”]

Nicola Maggi
Nicola Maggi
Giornalista professionista e storico della critica d'arte, Nicola Maggi (n. 1975) è l'ideatore e fondatore di Collezione da Tiffany il primo blog italiano dedicato al mercato e al collezionismo d’arte contemporanea. In passato ha collaborato con varie testate di settore per le quali si è occupato di mercato dell'arte e di economia della cultura. Nel 2019 e 2020 ha collaborato al Report “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione” di Deloitte Private. Autore di vari saggi su arte e critica in Italia tra Ottocento e Novecento, ha recentemente pubblicato la guida “Comprare arte” dedicata a chi vuole iniziare a collezionare.

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