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Arte: conta più la mano o la mente?

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Nessuno direbbe che il ciclo arazzi per la Cappella Sistina sia opera della bottega di Pieter van Aelst di Bruxelles. Tutti invece diciamo per convenzione che quegli arazzi sono di Raffaello, anche se la corretta dicitura sarebbe “Autore: bottega di Pieter van Aelst su disegno di Raffaello Sanzio“. Essi sono stati pensati, progettati e pagati (questione non indifferente) a Raffaello Sanzio da Papa Leone X. Poi i cartoni preparatori, consegnati a van Aelst, sono stati utilizzati per la loro realizzazione (pagata anch’essa da Papa Leone X). Ovviamente per questioni di ordine tecnico l’oggetto “arazzo” è stato realizzato da maestranze specializzate e non da Raffaello stesso.

Venendo al contemporaneo, nessuno direbbe che la Venere di Broadgate Square a Londra sia opera dalla Fonderia Mariani di Pietrasanta, ma questa azienda artigiana ha sì lavorato su un bozzetto (in misura ridotta) pensato e realizzato da Fernando Botero. E nessuno dubita del fatto che questa Venere sia una scultura di Botero.

 

Gli aiuti. Quando sì e quando no

 

Nelle grandi realizzazioni del passato (cicli di affreschi, pannellature lignee…) gli artisti si sono sempre avvalsi di aiuti: quindi a volte nella descrizione delle opere si incontra la dicitura “Giotto e aiuti”, “Donatello e aiuti”, ad indicare che il grande maestro ha pensato e progettato l’opera, ma l’ha realizzata solo parzialmente, lasciando poi agli “aiuti” il compito del completamento delle zone meno importanti. Questo comportamento era comune e universalmente accettato nella “bottega” del Rinascimento, che oltre ad essere crogiolo d’arte era anche impresa; ciò non toglie nulla alla grandezza di Giotto e di Donatello e delle opere “aiutate”.

Non dimentichiamo poi che artisti della levatura di Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti, Raffaello, Botticelli, Perugino furono allievi a bottega del Verrocchio, del Ghirlandaio, ecc… e quindi anche loro furono durante l’apprendistato, “aiuti”. Il maestro dava indicazioni su come doveva essere realizzata l’opera e gli aiuti lavoravano e si esprimevano, anche se all’interno di paletti ben determinati e specifici. Per questo, spesso gli storici dell’arte analizzando un’opera di un maestro ravvisano la presenza della mano di un suo allievo, che poi forse supererà in fama ed importanza il maestro stesso.

Come sempre ci sono le eccezioni: Michelangelo faceva tutto da solo, aveva forza e capacità nettamente sovrumane, quasi inspiegabili. Ovviamente necessitò di aiuto per impastare la calce e la polvere di marmo per realizzare gli affreschi della Cappella Sistina, di operai per passargli gli attrezzi sul ponteggio, per stendere la “giornata” di intonaco, ma poi fu lui a dipingere tutto, dopo aver preparato da solo i disegni preparatori e i cartoni.

Nell’arte contemporanea abbiamo l’esempio di Mario Schifano che firmava opere realizzate nel suo studio da allievi, riesumando nel Novecento l’idea e l’atmosfera della bottega artistica del Rinascimento. Tutto era eseguito ovviamente nel suo stile, fatto riportato allo scrivente da un amico che ha realizzato alcuni di questi quadri: “Schifano ti dava tutti i colori e le indicazioni su come fare un dipinto”. Ma poi, nell’atto della firma, il Maestro faceva propria l’opera che aveva preso vita grazie ad una sua idea, proprio come un imprenditore artistico del Quattrocento, un Verrocchio dei tempi moderni. Ma rimane comunque questo un caso limite.

Altro caso limite fu Pablo Picasso che in linea generale faceva tutto da solo producendo nella sua vita migliaia di dipinti, terrecotte dipinte, disegni e incisioni. Va notato però che egli si avvaleva di stampatori e che quindi nella realizzazione, ad esempio, delle sue celebri linoleografie degli anni ’60, si affidasse ad altri, pur dirigendo tutte le fasi di realizzazione dell’opera, operando delle scelte artistiche ben precise. Egli realizzava le matrici linoleografiche che poi venivano stampate sotto la sua supervisione: la qualità del colore, il tipo di carta usata, la qualità della stampa; insomma come un architetto che disegna l’edificio e che poi è presente in cantiere per controllare che tutto vada come egli desidera, cercando di raggiungere un risultato finale che rispetti il suo progetto, senza ovviamente mettersi ad impastare la calce con la sabbia o ad intagliare la pietra delle cornici delle finestre.

 

Opere postume

 

Un altro caso limite che potrebbe essere preso come esempio è quello dei contratti posti in essere tra un artista e un editore. Grazie ad uno di questi il famoso portfolio di serigrafie delle 10 Marilyn del 1967 opera di Andy Warhol, fu continuato ad essere stampato anche dopo la sua morte avvenuta nel 1987 dalla casa editrice Sunday B. Morning mantenendo le stesse dimensioni, gli stessi colori e la stessa qualità di stampa della tiratura del ’67. Artisticamente le tirature possono essere considerate entrambe valide ma la tiratura del 1967 (che è firmata e numerata in 250 copie) ha un valore di mercato molto più elevato (l’ultima serigrafia venduta in Svezia a circa 40.000 Euro, non il portfolio di 10 ma una sola serigrafia! Mentre il portfolio di Sunday B. Morning si trova sul libero mercato a circa 3000 Euro).

 

La redazione della perizia di valore

 

La reazione della perizia di valore su un’opera prodotta non direttamente dall’artista, in una o più unità, necessita della conoscenza di alcuni parametri a seconda del tipo di opera che si sta trattando; oltre che la profonda conoscenza di quanto prodotto in serie dall’artista (in questo ci aiutano alcuni importanti testi specialistici, per i libri con opere originali: P. Cramer, Pablo Picasso – the illustrated books; C. Duthuit, Henry Matisse – ouvrages illustrés ecc. ). Nel caso delle sculture, in presenza di punzonature del fonditore, esse andranno analizzate anche in microscopia per ricercare eventuali anomalie e andranno confrontate con punzonature su opere dello stesso autore o di altri ma provenienti dallo stesso fonditore. Ne caso di opere calcografiche firmate e numerate, come quasi tutte quelle dal dopoguerra in poi, oltre ovviamente alla firma, andranno controllate le misure del foglio, il tipo di carta e il sistema di stampa, per essere certi che tutto corrisponda a ciò che si sa da una copia sicuramente autentica.

 

Conclusioni

 

Le opere prodotte dall’artista e quelle non prodotte direttamente da questo, sia per motivi tecnici che per motivi legati alle tempistiche di produzione o di opportunità, purché sicuramente provenienti da un suo progetto e quindi da una sua idea originale, debbono essere considerate egualmente degne dal punto di vista artistico. Per quanto riguarda il valore di mercato, questo sarà determinato, oltre che dall’importanza dell’opera, dal numero di copie in cui essa è stata prodotta, dalla rarità e dal suo stato di conservazione.

Quindi un’opera potrebbe avere un altissimo valore artistico, perché segna un particolare momento nella storia dell’arte, ma un basso valore economico perché prodotta in molte copie o, viceversa, essere un’espressione non massima di un artista, ma essere talmente rara sul mercato da valere molto in termini economici. In ogni caso sarà sempre necessario provare attraverso delle analisi ottiche non distruttive che la tiratura sia quella originale e che nulla appaia contraffatto. Per concludere direi che la risposta alla domanda del titolo è: nell’arte, prima la mente e poi la mano, anche se per il raggiungimento della fama quasi tutti gli artisti si sono serviti oltre che della loro mente, anche della mano.

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