Con 43.098 km² di superficie e circa 5.800.000 abitanti, la piccola Danimarca raramente assurge agli onori della cronaca, se non come modello di benessere: uno studio del 2006 dell’Università di Leicester — che analizzava dati forniti dall’UNESCO, dalla CIA (!), dal New Economics Foundation e quant’altro — la elesse addirittura “stato più felice del mondo”.
Nella sua più che millenaria storia — che la vide, nell’XI secolo, espandere il suo dominio su Inghilterra, Norvegia e parti della Svezia — la Danimarca non ha avuto una produzione artistica particolarmente degna di nota, se non a partire dal XVI secolo, quando sotto il regno di Federico II e poi di suo figlio Cristiano IV fiorirono un mecenatismo e una politica culturale che fecero riunire a corte, tra gli altri, l’astronomo Tycho Brahe e artisti di varie parti d’Europa, come i compositori John Dowland e Heinrich Schütz.
Nelle arti figurative si deve però arrivare alla fine del Settecento per trovare il primo artista danese d’importanza storica, ovvero lo scultore Bertel Thorvaldsen (1770-1844), massimo esponente del Neoclassicismo assieme ad Antonio Canova. Quanto alle arti decorative, nel 1775 era stata fondata a Copenaghen la Regia Fabbrica di Porcellana (in danese: Den Kongelige Porcelænsfabrik), poi internazionalmente nota con il marchio Royal Copenaghen.
La pittura danese conosce un momento particolarmente notevole tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo successivo, con un peculiare “realismo metafisico” il cui maggiore esponente è Vilhelm Hammershøi (1864-1916), le cui opere sono oggetto da qualche anno di una riscoperta critica e di mercato: dalla retrospettiva del 1997-1998 che viaggiò dalla Collezione Ordrupgaard al Musée d’Orsay fino al Guggenheim di New York, al record d’asta stabilito nel maggio del 2015 a Londra da Sotheby’s con Interno, Strandgade 30 battuto a 1,7 milioni di sterline, superato proprio nel dicembre scorso a New York da Christie’s con Interno con cavalletto, Bredgade 25 venduto a oltre 5 milioni di dollari.
A metà del Novecento Copenaghen fu una delle tre capitali riunite nell’acronimo Co.Br.A., movimento — attivo dal 1948 al 1951 — che collegava artisti danesi, belgi e olandesi (oltre ad alcuni di diversa nazionalità, come lo svedese Bengt Lindström): tra i suoi maggiori esponenti vi era Asger Jorn (1914-1973), il più noto artista danese del XX secolo assieme a Per Kirkeby (1938-2018), quest’ultimo molto attivo anche in Italia.
Olafur Eliasson, nato nel 1967 a Copenaghen da famiglia islandese, è sicuramente l’artista danese vivente più famoso nel mondo; oltre a lui, altre figure di spicco nel mondo dell’arte contemporanea sono Danh Vō (nato in Vietnam nel 1975 e trasferitosi bambino in Danimarca), che ha rappresentato la nazione alla Biennale di Venezia del 2015; Kirstine Roepstorff (1972), presente invece alla Biennale del 2017; Michael Elmgreen (1961) del duo Elmgreen & Dragset; Kirsten Astrup (1983), artista che opera contaminazioni tra musica, performance, multimedia e oggetti realizzati generalmente in cartapesta.
Alla Astrup dedicherà una personale l’ARoS – Århus Kunstmuseum dal 9 marzo al 26 maggio; nel 2019 questo stesso museo ha in programma — oltre alla prosecuzione fino al 3 marzo della mostra in corso di Julian Schnabel Aktion paintings 1985-2017 — diverse esposizioni tematiche interessanti: Tomorrow is the question (dal 6 aprile al 4 agosto) con opere, tra gli altri, di Doug Aitken, Rirkrit Tiravanija, Allora & Calzadilla, Mona Hatoum; Art & Porn (dal 29 maggio all’8 settembre), una riflessione su come l’arte venga influenzata dai cambiamenti di legislazione riguardanti la pornografia: si parte dall’opera Sex-paralysappeal, sorta di ready-made realizzato nel 1936 dall’artista danese Wilhelm Freddie che provocò uno scandalo; infine Objects of wonder (dal 12 ottobre al 1° marzo 2020), mostra di scultura con opere degli ultimi sessant’anni — Yves Klein, Louise Bourgeois, Anthony Caro, Anish Kapoor, Damien Hirst, Jeff Koons, Sarah Lucas tra gli autori presenti —, realizzata in collaborazione con Tate Modern.
Il museo di Århus — seconda città della Danimarca, situata nella penisola dello Jutland — è l’istituzione più importante della nazione per quanto riguarda l’arte contemporanea, assieme al Louisiana Museum of Modern Art di Humlebæk, 35 chilometri a nord di Copenaghen. Fondato nel 1958, quest’ultimo vanta una collezione d’arte che va dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi, e comprende uno sculpture garden; il Louisiana è peraltro uno dei co-produttori della grande retrospettiva di Marina Abramović The Cleaner, ora in via di finissage a Palazzo Strozzi a Firenze.
A sua volta, fino al 27 gennaio a Padova è aperta la mostra su Gauguin e gli Impressionisti. Capolavori dalla Collezione Ordrupgaard. La Collezione Ordrupgaard — temporaneamente chiusa per la costruzione di un nuovo padiglione, riaprirà nel 2020 — è situata a Charlottenlund, poco a nord della capitale. Il nucleo principale della Collezione fu creato ai primi del Novecento dal banchiere, Consigliere di Stato e filantropo Wilhelm Hansen. Un primo ampliamento della sede originale era già stato costruito nel 2005, con un bell’edificio progettato da Zaha Hadid.
A Copenaghen, il Museo di riferimento è lo Staten Museum for Kunst, di non particolare rilevanza per l’arte contemporanea; vicinissimo alla capitale, a Ishøj, sorge invece l’ARKEN Museum for Moderne Kunst, che annuncia per il 2019, tra l’altro, una personale di Patricia Piccinini (dal 9 febbraio all’8 settembre).
Degno di nota anche lo Holstebro Kunstmuseum. Holstebro, cittadina dello Jutland a ovest di Århus, è per gli amanti del teatro soprattutto la sede storica dell’Odin Teatret, gruppo fondato nel 1964 dal regista italiano Eugenio Barba: ad oggi la più longeva compagnia di teatro di ricerca al mondo assieme al Living Theatre. Si deve alla lungimiranza culturale dell’allora sindaco della città — che nel 1966 invitò l’Odin, all’epoca di base a Oslo, a stabilirsi definitivamente a Holstebro, assicurandogli sede e una piccola sovvenzione — anche l’acquisto di una statua di Alberto Giacometti, posta nella piazzetta antistante il Vecchio Municipio. Il Kunstmuseum, inaugurato nel 1967, oltre a organizzare mostre temporanee possiede opere di artisti danesi dagli anni Trenta a oggi, nonché incisioni di Matisse, Picasso, Chagall, Giacometti, Bacon e una collezione di arte tradizionale di culture extraeuropee.
È infine da ricordare che a Odense, terza città della Danimarca situata nell’isola di Fyn — tra lo Jutland e l’isola dove sorge Copenaghen —, si svolge un’importante Biennale di fotografia (la prossima sarà nel 2020).
Il patrimonio artistico statale della Danimarca è completamente schedato in un archivio, il Kunstindeks Danmark, liberamente consultabile sul web all’indirizzo: https://www.kulturarv.dk/kid/Forside.do .
P.S.: Vatti a fidare degli stati “più felici del mondo”… Uno dei simboli di Copenaghen è la famosa statua della Sirenetta, ispirata alla celebre favola di Andersen e realizzata nel 1913 dallo scultore Edvard Eriksen (1876-1959) su commissione di Carl Jacobsen, figlio del fondatore del celebre marchio di birra Carlsberg. Beh, pochi sanno che la povera statua ha subito negli anni una serie infinita di attacchi di vandalismo: nel 1964 alcuni sedicenti esponenti del movimento Situazionista segarono e sottrassero la testa della statua, che non venne mai ritrovata e dovette essere sostituita con una copia. Vent’anni dopo fu la volta del braccio destro, che però fu riconsegnato due giorni dopo dai colpevoli stessi. Nel 1990 un nuovo tentativo di segare la testa della statua provocò un taglio profondo 18 centimetri nel collo della Sirenetta. A quel punto, si decise di sostituire l’originale con una copia, ma anche questa subì nel 1998 la mutilazione della testa (che fu riconsegnata questa volta in forma anonima e rimessa al suo posto), e poi nel 2003 fu addirittura fatta saltare con una piccola carica di dinamite dalla sua roccia-piedistallo. Senza contare tutte le volte che la statua è stata imbrattata di vernice…