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Nei luoghi del progetto: la parola al Circuito Lombardo Musei Design

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Se è vero che i semi del design italiano furono buttati già all’inizio del ‘900, la piena fioritura è avvenuta a partire dagli anni ’50, in un terreno di coltura che è stata Milano col suo ampio circondario, forte della sua proverbiale esuberanza imprenditoriale.

Ciò che di questa grande stagione creativa ha forse fatto maggiormente scuola è stata la naturale predisposizione a fare rete tra designer, imprenditori e mondo della formazione, stringendo interazioni concentrate in un’area di qualche decina di chilometri quadrati.

Lo straordinario interesse tecnico del fenomeno nasconde una nota romantica che forse è anche il segreto del suo fascino, ovvero l’intreccio di vicende personali di coloro che ne furono protagonisti.

Queste storie sono oggi sommerse nel ventre di Milano, metropoli in costante espansione, custodite in archivi personali, in fondi ancora da riorganizzare e in musei d’impresa, in attesa che qualcuno dia loro voce.

La missione è stata accolta da Circuito Lombardo Musei Design, associazione nata nel 2018 e che riunisce oggi 28 realtà di assoluto prestigio, il cui obiettivo è una valorizzazione condivisa che non solo le apra a un pubblico più ampio, ma anche a un dialogo alla pari con le grandi istituzioni museali, imprenditoriali e formative oggi attive in Lombardia.

Ne abbiamo parlato con Claudio Palvarini che, insieme a Ludovico Gualzetti, è coordinatore del progetto.

Francesco Niboli: Come nasce il Circuito Lombardo Musei Design?

Claudio Palvarini: «Nasce da una serie di rapporti professionali tra la nostra compagine, che gestiva allora l’Archivio Sacchi (che fino ad agosto del 2020 ha avuto sede all’interno del Parco Archeologico Industriale di Sesto San Giovanni, n.d.r.), e alcuni direttori e curatori conosciuti per vicende professionali e personali. L’occasione per una aggregazione originaria è stat un bando di Regione Lombardia che ci ha portato a mandare molte email e ad avere le prime risposte da parte di un nucleo di otto realtà.

La vittoria di questo bando ha previsto la gestione biennale di un sito web e di pagine social, più l’ideazione di due eventi, durante i Fuorisalone 2018 e 2019, che fossero rappresentativi della realtà di questi archivi e musei.

Il salto quantitativo è stata la partecipazione a un secondo bando, questa volta di Cariplo, e anche qui si è andati per aggregazione, quasi sempre con la naturalità di mandare una email ai direttori degli archivi e raccogliendo adesioni.

Adesso siamo alla terza fase, più specializzata. Abbiamo avviato un nuovo progetto che costituisce una sorta di “carotaggio” sugli archivi di design, che sono ormai quattordici tra i ventotto aderenti alla rete».

F.N.: Se il primo nucleo, quindi, è partito da una vostra ricerca di contatti, ora siete aperti ad adesioni spontanee?

C.P.: «Sì, assolutamente. Le ultime due adesioni al Circuito sono nate da autocandidature. Inoltre, di recente ci è capitato di dire alcuni no a rispettabili realtà al confine tra il design e l’arte contemporanea. La nostra associazione lavora per valorizzare istituzioni legate al design storico milanese e lombardo, e stiamo cercando di mantenere una linea molto rigorosa che è quella della storicità».

F.N.: Quindi storicità e radicamento al territorio. Le attività proposte fino ad oggi che risposte di pubblico hanno avuto?

C.P.: «Le prime prove di eventi in presenza di grande richiamo, i due Fuorisalone, hanno avuto un riscontro positivo, anche se mancano le controprove, avendo l’emergenza sanitaria bloccato tutto. Nel 2018, per un’esperienza partita da zero, totalmente autofinanziata perché nata in vista del primo progetto regionale ma ancora senza il contributo del bando, richiamare circa duemila persone non è stata cosa da poco.

L’anno successivo per noi è stato di passaggio. Si è infatti pensato ad una prima mostra volutamente piccola e filologica di disegni originali, dal titolo In principio era la matita, che celebrava il lapis come elemento madre del design.

Sarebbe dovuta essere un ponte verso un evento più grande nel 2020, che avrebbe avuto lo scopo di indirizzare il pubblico, per gli archivi e i musei d’impresa in genere estremamente specialistico, verso luoghi che possono invece avere fascino come una villa di delizia o una chiesa del Quattrocento.

Per il 2021 abbiamo ancora in cantina la mostra I luoghi del progetto in Triennale, durante la quale presenteremo il libro Milano, la città che disegna, scritto da sei giovani talenti selezionati tramite una call, che hanno visitato undici degli archivi del Circuito producendo altrettanti testi di taglio narrativo.

Questo evento e quelli che seguiranno nei prossimi due anni, saranno la controprova fattuale del richiamo di pubblico che il Circuito può avere».

F.N.: La digitalizzazione dell’esperienza culturale è un mantra di questi tempi e del resto una necessità. Come Circuito quale tipo di riflessioni e investimenti avete fatto a riguardo?

C.P.: «Esprimo un’opinione personale, figlia della mia formazione umanistica. Sono molto legato all’idea della presenza reale dell’oggetto e a maggior ragione del luogo, un’esperienza irripetibile perché al contempo sensoriale e relazionale, dove c’è ad esempio la signora Giovanna Castiglioni che ti porta in giro per il suo archivio raccontandoti i ricordi di suo padre, e nessuno schermo può riconsegnare questo nella sua interezza.

Uno dei progetti che abbiamo in mente, però, parte dall’idea di integrare questa esperienza attualmente non realizzabile producendo contenuti digitali che tengano viva la comunicazione col pubblico, restituendo però un’idea di come un’esperienza dal vivo possa essere.

Con lo stesso scopo abbiamo anche realizzato la serie di podcast Italian style – Viaggi nei luoghi del design con Radio Popolare.

Però, ripensando all’emozione di suonare un campanello e farsi aprire il portone, è evidente che una ricchezza di questo tipo è insostituibile».

F.N.: L’idea che ha dato a me il progetto del Circuito è quello di un primo passo verso un museo diffuso, non centralizzato ma integrato, profondamente radicato all’identità e alla storia dei singoli archivi. Pensi che ci sia questa intenzione anche tra i curatori?

C.P.: «C’è interesse a fare sistema, soprattutto in direzione di un ampliamento di pubblico. L’espressione inventata dal collega Ludovico Gualzetti, del Circuito che si presenta come “quarta gamba” del design lombardo dove le altre tre sono il mondo delle eccellenze industriali in attività, il mondo della formazione e le grandi istituzioni museali, è decisamente calzante. La quarta gamba siamo noi, ovvero quel museo diffuso che ha effettivamente potenzialità di dialogo con le altre tre identità sopracitate».

F.N.: La varietà della natura degli archivi, del loro livello di organizzazione e della loro progettualità individuale sicuramente deve rendere complesso un lavoro di coordinamento che accontenti tutti. Come riuscire a gestire una tale complessità?

C.P.: «Abbiamo visto che una formula che funziona è quella che nei progetti mette gli archivi assieme sulla forma trasversale, ma poi permette ad ognuno di realizzare con piena autonomia scientifica o artistica attività indipendenti. Per esempio, in concomitanza di una mostra collettiva, Paola Albini di Fondazione Albini può decidere autonomamente di allestire uno spettacolo teatrale sulla vita di Franco Albini.

Da una parte, quindi, la voglia di fare sistema comune, dall’altra quella di rispettare e dare spazio all’espressione dell’identità, molto diversa per ognuno».

F.N.: E riguardo al tema della conservazione? Come Circuito avete pensato a possibili campagne di ricerca fondi per interventi conservativi condivisi o mirati?

C.P.: «È un tema aperto che stiamo cercando di mettere a fuoco, intercettando il finanziamento giusto. Alcuni archivi sono più organizzati rispetto ad altri, alcuni possono fare affidamento su attività che ne finanzino la catalogazione, la conservazione e la valorizzazione, mentre altri non hanno queste disponibilità. Qualche curatore ce lo sta chiedendo, però finora non si ha avuta una risposta collettiva».

F.N.: Parliamo del libro Milano, la città che disegna che dovrà essere presentato nella prossima mostra-evento in Triennale. A chi è venuta l’idea di un libro dal taglio non accademico la cui scrittura è stata affidata a sei giovani talenti? E curatori e direttori che accoglienza gli hanno riservato?

C.P.: «L’idea è stata nostra. L’Archivio Sacchi ha una lunga tradizione di proposte ai giovani coinvolti attraverso piccole call con obiettivi diversi. Agli archivi abbiamo chiesto la disponibilità per le visite in cambio di uno strumento di promozione originale come il libro.

Quando abbiamo mandato le bozze agli archivi, non sapevo che reazioni ci sarebbero state. Poi è andata benissimo, c’è stato molto apprezzamento.

Ammetto che ci siamo assunti il rischio di fare qualcosa senza sapere come sarebbe stata recepita, ma abbiamo scoperto delle sensibilità che si sono rivelate consone alle nostre e di questo sono felice».

F.N.: E come siete arrivati ad accordarvi con Triennale per ottenere lo spazio per l’evento?

C.P.: «Il contatto è avvenuto in maniera sorprendentemente facile. Dal momento che lo spazio dell’Archivio Sacchi, originariamente pensato per l’evento, dopo giugno 2020 non sarebbe più stato disponibile, ho scritto a Stefano Boeri che nel giro di pochi giorni ha risposto manifestando interesse, concedendoci alcuni spazi dell’edificio per tre giorni di evento.

La volontà espressa da Triennale con questa scelta è evidentemente quella di non voler apparire come una cattedrale nel deserto ma di voler dialogare con le realtà storiche del territorio.

Di recente anche Adi del Compasso d’oro ci ha dato accoglienza, grazie soprattutto alla disponibilità di Andrea Cancellato, per un evento sulla valorizzazione della fotografia d’autore custodita negli archivi di design.

Evidentemente veniamo davvero percepiti come un insieme di realtà importanti, secondo l’idea della “quarta gamba” di cui si parlava prima».


Fanno attualmente parte del Circuito: AIAP, Archivio Sacchi, Molteni Museum, MUMAC, Museo Fratelli Cozzi, Museo Fisogni , Museo Kartell, Museo SAME, Archivio Gae Aulenti, Archivio Osvaldo Borsani, Archivio Piero Bottoni, Archivio Cesare Cattaneo, Archivio Origini Steiner, Associazione Iliprandi, Associazione Longaretti, Fondazione Castiglioni , Fondazione Albini, Fondazione Magistretti , Fondo Ghianda, MAC Lissone, Scrivania Ghianda, Archivio Joe Colombo, Fondazione ISEC, Fondazione Manzoni , Fondazione Vodoz Danese, Museo Macchinapercucire, Museo Macchinadascrivere, Officina Rancilio

Francesco Niboli
Francesco Niboli
Restauratore di dipinti antichi e contemporanei, ha intrapreso un percorso di approfondimento del design grafico e dell’arte del ‘900 italiano collaborando con Fondazione Cirulli di Bologna. Ha partecipato alla scrittura del libro "Milano, la città che disegna", catalogo del neonato Circuito lombardo Musei Design. Attualmente collabora come grafico con la casa editrice indipendente Sartoria Utopia.

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