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Saper vedere l’Italia. Imparare a preservare la bellezza

del

È un’estate anomala rispetto a quelle degli ultimi anni. Dov’è il caldo soffocante? Dove sono le tapparelle abbassate e i condizionatori al massimo? Hanno ceduto il passo ai cieli cristallini, alle pioggerelle e ai prati verdi di una primavera prolungata. Un’estate di tregua, o com’era una volta, secondo qualcuno.

Agosto è il mese in cui si percorre l’Italia in lungo e in largo, per raggiungere o andarsene dall’eletto luogo di villeggiatura, sia mare o montagna, lago o collina. Il mese delle partenze, insomma, cinematograficamente reso emblematico nell’immaginario nostrano da una serie di film come “Il sorpasso” di Dino Risi o “Un sacco bello” di Carlo Verdone.

Il viaggio in autostrada è sempre un pretesto, per me, per farsi scorrere sotto gli occhi il panorama italiano con tutte le sue rapide, splendide, variazioni. Sarà anche rimasto poco dello splendore che nel Seicento diventava lo scenario perfetto per le solenni composizioni arcadiche di Poussin, ma quel poco sopravvive come brace accesa sotto un cumulo di zone industriali, periferie, asfalto e cemento.

L’Italia è bella e particolare perché a un bel contesto naturale si è unita la cura dalla mano dell’uomo che da millenni vi abita. Un incontro tra favore della natura e ingegno umano, fragile perché precario e minacciato da forze avverse che siano speculazione, incuria, disinteresse, disamore o ogni altra nefandezza pensabile.

Vale la pena, in questo fresco agosto, meditare su questo leggendo le parole di Giorgio Bassani, grande scrittore che in prima persona si batté per preservare un’Italia da salvare – com’è il titolo del libro che raccoglie i suoi vari articoli, scritti, interventi a riguardo – già settant’anni fa.

Scritti che raccontano di una lotta appassionata per preservare e salvare qualcosa che in molti casi è andato perduto ma in tanti altri è rimasto, e forse qualche merito a persone così dovrebbe essere riconosciuto non solo da un pubblico più specialistico.

Giorgio Bassani. Foto di: De Bezige Bij

Per fare un esempio, nel 1962 Bassani parlò al consiglio comunale della sua città, Ferrara, in merito agli interventi di edilizia urbana nel centro storico, nella città estense bellissimo e frutto di aggregazione di nuclei di epoche diverse, culminante nella splendida addizione rinascimentale per mano di Biagio Rossetti, il primo architetto che seppe vedere una città nel suo insieme.

Il tema dell’intervento davanti ai consiglieri comunali era in particolare incentrato sulla convenienza o meno di aprire con pesanti demolizioni le strette strade del centro storico, e in particolare la caratteristica via San Romano, al traffico automobilistico.

“In Italia, le culture locali erano fino a poco fa pienamente efficienti, consentendo alle città di provincia, Ferrara compresa, di mantenere integro il proprio carattere, di conservare intatto il proprio volto. In ogni centro, anche piccolo, esisteva un gruppo di valentuomini, capaci di proteggere il patrimonio urbanistico locale dalle manomissioni più brutali e sfacciate, di riaffermare, con la loro azione, il valore inestimabile della tradizione. Fino a poco fa, un architetto che volesse costruire in provincia doveva tener conto della presenza, in loco, di una cultura ancora viva, di una società ancora in grado di esprimere un’opinione.”[1]

Quindi, Bassani mette in luce la necessità che architetti, ingegneri, urbanisti, assessori, cittadinanza ricordassero che una città va vista nel suo insieme, come faceva Biagio Rossetti, e non nel singolo lotto edificabile.

“Lo “sventramento” di questa meravigliosa contrada, nata quasi per lento accumulo, per insensibile deposito della vita, fu concepito in epoca fascista dall’architetto Di Fausto. Si sarebbe potuto pensare che, crollato il fascismo, il progetto di scempio di S. Romano sarebbe stato accantonato. Invece no. Lo scempio ormai è in pieno atto, per dar luogo a un quartiere che, quando sarà “risanato”, risulterà comodo per le macchine, certamente, ma sarà anche privo di qualsiasi carattere. Che cosa importerà, allora, di aver salvato dalla distruzione qui una casetta trecentesca, là una finestrina gotica, là un colonnato romanico? L’effetto raggiunto non sarà troppo diverso da quello che fanno le chiese ortodosse di Mosca, o il centro storico di Varsavia, o Por Santa Maria a Firenze.

Non serve a molto, quindi, salvare un muro demolendo l’intera chiesa di cui esso è parte. E dopo aver posato lo sguardo sulla chiesa, bisogna sforzarsi di posarlo sulla piazza che vi è antistante, e poi sulle strade che da essa partono, e poi agli edifici che vi si affacciano, ai quartieri, alla cinta muraria, alle espansioni residenziali e infine a tutto quello che vi è nei dintorni.

Guardando l’Italia scorrere sotto gli occhi in autostrada, mi riprometto ogni volta di alzare lo sguardo al di sopra del guardrail e di provare a vedere la città, la campagna, il paesaggio. Di ripensare, almeno idealmente, al nostro paese come organismo complesso che sarebbe bello nel suo insieme e non soltanto nei suoi dettagli da cartolina.


[1] Entrambe le citazioni sono estrapolate da Giorgio Bassani, Italia da Salvare. Gli anni della Presidenza di Italia Nostra (1965-1980), Feltrinelli, 2018.

Francesco Niboli
Francesco Niboli
Restauratore di dipinti antichi e contemporanei, ha intrapreso un percorso di approfondimento del design grafico e dell’arte del ‘900 italiano collaborando con Fondazione Cirulli di Bologna. Ha partecipato alla scrittura del libro "Milano, la città che disegna", catalogo del neonato Circuito lombardo Musei Design. Attualmente collabora come grafico con la casa editrice indipendente Sartoria Utopia.

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