Se non avete mai letto la Biblioteca di Babele, è forse giunto il momento di farlo se volete entrare nel mood ideale per affrontare la Venezia della 55esima Biennale. Come nel racconto di Borges, infatti, la Serenissima sembra essersi trasformata, in questi giorni, in una biblioteca totale, sui cui scaffali è possibile trovare «tutto ciò ch’è dato di esprimere, in tutte le lingue. Tutto: la storia minuziosa dell’avvenire, le autobiografie degli arcangeli, il catalogo fedele della Biblioteca, migliaia e migliaia di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi cataloghi, la dimostrazione della falsità del catalogo autentico, […] la traduzione di ogni libro in tutte le lingue, le interpolazioni di ogni libro in tutti i libri».
Il parallelo, lo confesso, non è mio ma mi è stato suggerito da Luisa Flora, Amministratore unico e Responsabile comunicazione dell’Officina delle Zattere – giovane e dinamico spazio espositivo su cui non mancheremo di ritornare nei prossimi giorni –, che ha avuto l’ingrato compito di accompagnarmi in quello che, a mio avviso, è uno degli itinerari più interessanti attraverso la Biennale Off. Un percorso in quattro tappe che, partendo dal complesso del Centro Culturale don Orione Artigianelli, ci conduce alla ricerca del Palazzo Enciclopedico nelle calli di Venezia, aprendo al pubblico anche palazzi privati normalmente non accessibili.
La prima tappa interessa un intero isolato che Officina delle Zattere & Co. hanno letteralmente colonizzato. Si scende alla fermata ACTV “Zattere” e nella Chiesa di Santa Maria della Visitazione, fresca di restauro, ci accolgono le visioni iper-realistiche di Zhong Biao che qui ha allestito la mostra Universe of Unreality: meditazione sulle energie primigenie dell’universo e sul loro modo di manifestarsi nel mondo e nella nostra vita. Dalla Chiesa di Santa Maria a Campo Sant’Agnese il passo è breve, se geograficamente inteso, immenso dal punto di vista artistico. E’ questa, infatti, la sede di Back to Back to Biennale evento collaterale in cui un gruppo di writers, per la prima volta invitati ad una Esposizione veneziana, realizzeranno delle performance per quello che rappresenta il primo contest internazionale di Writing e Street Art di tutta Europa. Infine, l’Officia delle Zattere, che nei giorni della Biennale ospita il Padiglione Nazionale del Bangladesh con Supenatural, che raccoglie i lavori visionari degli artisti del gruppo Chhakka, e la mostra Metamorphosys of the Virtual che vede insieme gli artisti digitali Pia Myrvold, ORLAN, Miguel Chevalier e Anne Senstad. Chiude la prima tappa il Padiglione nazionale della Croazia (Sala Tiziano, Centro Culturale Don Orione Artigianelli) che, con Between the Sky and the Earthdi Kara Mijatovic, ci propone una meditazione sul momento che intercorre tra il sonno e la veglia.
La seconda tappa ci porta a Palazzo Zenobio, edificio barocco sede del Collegio Armeno Moorat Raphael, che ospita varie mostre tra le quali sono certamente da citare quelle dei due artisti russi Maxime Kantor e Sergei Nazarov. Un viaggio nel nuovo stile figurativo russo che affianca due letture diverse e, a loro modo, complementari della realtà. Da un lato quella politico-filosofica di Maxime Kantor che con Atlantis si concentra, appunto, sul mito di Atlantide, che l’artista interpreta come rappresentativo dell’inabissarsi di molte idee che hanno plasmato la nostra società contemporanea. Dall’altro Memorie di Nazarov in cui l’artista reinterpreta le proprie memorie attraverso una sua personale lettura della storia dell’arte dalla quale prende quello che gli serve per raccontare, appunto, i ricordi legati ad un certo momento della sua vita, a delle persone e dei luoghi cari tra i quali San Pietroburgo.
Lasciato Palazzo Zenobio ci avviamo verso la terza tappa, la più impegnativa, che ci apre le porte di Ca’ Bonvicini (fermata ACTV San Stae), palazzo privato trasformato, per l’occasione, in un vero e proprio condominio dell’arte. Qui le mostre sono veramente tante: al primo piano ci accoglie A Yellowing of the Lunar Consciousness, collettiva che raccoglie i lavori di 15 artisti italiani e internazionali under 30, che dialogano tra di loro e con lo spazio, curata della Galleria Massimodeluca. Abbiamo, poi, la mostra A 50 anni dal Vajont, installazione ideata dall’architetto Diego Morlin che propone un viaggio nel tempo per non dimenticare, lanciando un monito contro una realtà in cui la logica del profitto economico prevale sulle misure di sicurezza e, infine, sulla vita stessa. Salendo al secondo piano, troviamo il Padiglione nazionale della Costa Rica che, con Democracy and Dreams, presenta una riflessione sulla democrazia e sulle illusioni ad essa connesse, il tutto letto da un punto di vista molto particolare: quello dell’unico paese latinoamericano che, grazie anche all’abolizione dell’esercito, avvenuta nel 1949, non è mai stato oggetto di colpi di stato, tanto da avere oggi una delle situazioni più stabili dell’area, sia politicamente che economicamente, e da essere uno dei Paesi con il tasso più alto di felicità media del Mondo.
All’ultimo piano troviamo, invece, la mostra Encuentros, incentrata sull’incontro di due curatori e di tre artisti (due italiani e uno latinoamericano) legati da rapporti personali che creano un dialogo tra le loro opere: Antonia Trevisan propone una personale cosmologia con L’arte della Trasmutazione, in cui le tecniche dell’artista riconducono a valori alchemici e attraversano con l’arte della trasmutazione le infinite sale di questo immaginario palazzo enciclopedico; Wilmer Herrison, con il video documentario Democracia descrive, invece, la situazione politica attuale del Venezuela, mentre con L’Involuzione, l’italiana Rita Pierangelo presenta un lavoro sul decadimento fisico e mentale dell’essere umano, arenato nell’antica illusione di poter trascorrere una vita immune dal passaggio del tempo. Al mezzanino abbiamo, poi, una mostra dal titolo Yourope in Progress, che propone una riflessione sulle potenzialità della società della nuova Europa, dove i confini si sono molto allargati, attraverso gli occhi di un gruppo di giovani artisti. Da citare, infine, The God Machine di Sebastiano Mauri, una specie di Juke Box delle fedi religiose che fa capire come l’arte sia in grado di affrontare tematiche molto complesse e che possono generare conflittualità in un modo ironico che però non è offensivo né dissacrante.
Chiude l’itinerario una vera e propria chicca: Palazzo Widmann (fermata ACTV Tre Archi). La quarta tappa ci fa accedere, ancora una volta, ad un palazzo privato, e più precisamente al piano nobile, dove il gallerista belga Antonio Nardone ha lasciato l’arredamento originale “incastonandovi” le opere di una ricercata selezione di più di 20 artisti dando vita a una “Camera delle meraviglie” in chiave contemporanea, ispirandosi alla prassi dei collezionisti che tra il XVI e il XVIII secolo raccoglievano e conservavano oggetti stravaganti ed eccezionali, realizzati dall’Uomo o dalla Natura.