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Diario newyorkese #7: la Dia Art Foundation

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New York – Beacon, 4 luglio 2019 — L’Independence Day è una festa nazionale vissuta, negli Stati Uniti, in maniera analoga al nostro Ferragosto. Quest’anno, oltretutto, cade di giovedì incoraggiando, col risultante weekend lungo, le tradizionali gite fuori città. Anche noi ne approfittiamo, limitandoci però a un’escursione di circa 100 km a nord di New York City: la mèta è Beacon, una cittadina raggiungibile comodamente in un’ora e mezzo di treno con un bellissimo tragitto panoramico che, lasciata Manhattan e costeggiato brevemente il Bronx, prosegue a ridosso delle scogliere basaltiche lungo la riva orientale dell’Hudson.

Beacon, vista sulla Main Street

Beacon, nella Dutchess County dello Stato di New York, è la classica, gradevole cittadina americana linda e pinta, tipo quella “ideale” costruita per l’ignaro Truman Burbank nel Truman Show, ma con un pizzico di bohème che si affaccia in maniera discreta esplodendo qua e là in qualche murale. In effetti, dopo che nel 2003 la Dia Art Foundation decise di creare subito fuori del centro cittadino il Dia: Beacon, ristrutturando una ex fabbrica di stampa su cartoni della Nabisco, la città è divenuta anche residenza di molti artisti e musicisti.

Abbiamo già incontrato su queste pagine la Dia Art Foundation, parlando del Broken Kilometer e del New York Earth Room, le installazioni di Walter De Maria custodite nel cuore di SoHo, nonché di Times Square di Max Neuhaus, installazione sonora sita nella piazza omonima. Fondata nel 1974 da Philippa de Menil (figlia dei mecenati di Houston che realizzarono, tra l’altro, la Rothko Chapel e il museo d’arte contemporanea che porta il loro nome) assieme a Heiner Friedrich e Helen Winkler, la Dia Art Foundation è un’organizzazione nonprofit che supporta la creazione di opere, in particolare di grandi progetti site-specific, che non potrebbero altrimenti essere realizzati. (Leggi -> Diario newyorkese #6: arte urbana a Manhattan)

L’ingresso del Dia Beacon

Tra i suoi scopi vi è inoltre la conservazione di opere ambientali e di Land Art: oltre a quelle citate sopra, la celeberrima Spiral Jetty realizzata nel 1970 da Robert Smithson nel Great Salt Lake nello Utah, Sun Tunnels di Nancy Holt nel Great Basin Desert sempre nello Utah, The Lighting Field di De Maria nel deserto del New Mexico e altre ancora. La Dia gestisce anche il Dan Flavin Art Institute a Bridgehampton, sempre nello Stato di New York, ed è impegnata nel supporto ai progetti di lunghissima data City di Michael Heizer, nel Nevada, e Roden Crater di James Turrell, nel Painted Desert dell’Arizona. E infine vi sono i due spazi museali, ove sono esposte le opere della Collezione vera e propria: il Dia: Chelsea a Manhattan (535, 541 e 545 West 22nd Street), temporaneamente chiuso per rinnovo fino all’inverno 2020, e il Dia: Beacon, appunto.

Una sala del Dia: Beacon. Si noti l’illuminazione naturale dai lucernari

La collezione della Dia comprende opere dagli anni Sessanta ad oggi, di artisti per la maggior parte americani, con un focus particolare su Minimalismo e Land Art. La sede di Beacon, che con i suoi 15.000 mq è uno degli spazi più grandi degli Stati Uniti dedicati all’arte contemporanea, è facilmente raggiungibile a piedi dalla stazione. Ex stabilimento costruito dalla Nabisco nel 1929, il museo è immerso nel verde, su una collina a poca distanza dalla riva dell’Hudson. La struttura, rinnovata e riadattata da Robert Irwin assieme allo studio di architettura OpenOffice, è meravigliosa, oltre che dal punto di vista estetico, per l’illuminazione calibratissima e per gran parte naturale, che permette una straordinaria fruizione delle opere, diverse delle quali sono costruite su effetti di rifrazione della luce talvolta impalpabili.

Anne Truitt: Landfall, 1970 e Portal, 1979

È così che le sale dedicate a Anne Truitt, con i suoi impasti di colore solo apparentemente monocromi, a Robert Ryman, con le sue variazioni sul bianco, e a Robert Smithson, per l’utilizzazione di vetri e specchi, costituiscono dei capolavori per qualità e allestimento. Non sono da meno, però, gli ambienti con le opere meravigliosamente stilizzate — dalla semplicità esteticamente perfetta da ikebana — di Lee Ufan, la grande sala dedicata a John Chamberlain (con una quindicina di sculture, tra cui la bellissima Daddy in the dark del 1988) e le impressionanti installazioni di Michael Heizer Negative Megalith #5, del 1998, e North, East, South, West (1967/2002), vera e propria opera di Land Art “al chiuso”.

La sala dedicata a John Chamberlain

Vi sono, poi, sale che aggiungono qualcosa di inedito alla conoscenza di due artisti ben noti. Di Andy Warhol è esposta la serie-installazione Shadows (1978-1979), costituita da 102 tele della stessa dimensione che corrono lungo le pareti collegate l’una all’altra: variazioni cromatiche astratte, dipinte ad acrilico alternando l’uso di spugne e pennellesse — il che influenza, anche qui, la rifrazione della luce sul colore — su una base serigrafica che riproduce la foto di un’ombra colta nello studio dell’artista. La serie può essere adattata allo spazio espositivo: qui i pannelli esposti sono 72.

Andy Warhol: Shadows, 1978-79, partic.

 Ancora più imprevedibile la sala dedicata a Gerhard Richter: Six Gray Mirrors (2003), un’installazione tra il minimale e il concettuale, ennesima prova dell’irriducibile poliedricità dell’artista tedesco.

Gerhard Richter – Six grey mirrors, 2003, particolare dell’installazione

Un altro culmine dell’esposizione, infine, è uno degli spazi dedicati a Richard Serra, dove hanno trovato collocazione quattro strutture monumentali in acciaio COR-TEN, vere e proprie sculture-ambiente: Torqued Ellipse I e II (1996), Double Torqued Ellipse (1997) e 2000 (2000). Le prime tre fanno parte di una serie: assieme alla quarta dialogano con lo spettatore-fruitore nel loro proporre “interni” che man mano si fanno più labirintici.

Sala dedicata alle Torqued Ellipse di Richard Serra

Oltre a quelli già citati, tra i 28 artisti presenti nel museo figurano anche Louise Bourgeois, Walter De Maria, Dan Flavin, Donald Judd, Sol LeWitt, François Morellet, Bruce Nauman. Una buona gelateria artigianale sulla Main Street di Beacon fa da giusto suggello a questo caldo Independence Day.

Sandro Naglia
Sandro Naglia
Nato nel 1965, Sandro Naglia è musicista di professione e collezionista d’arte con un interesse spiccato per gli astrattisti italiani nati nei primi decenni del Novecento e per quelle correnti in qualche modo legate al Pop in senso lato (Scuola di Piazza del Popolo, Nouveau Réalisme ecc.).
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