In occasione della sua Mostra “Altana” in corso nella Repubblica di San Marino in quattro diverse sedi museali e non di San Marino dal 17 settembre 2022 al 31 gennaio 2023 e curata da Fabio Cavallucci ho avuto il piacere di intervistare l’Artista Stefano Arienti per una lunga chiacchierata che ci aiuta a ripercorrere il percorso di uno di quelli che è oggi tra i più importanti ambasciatori dell’arte italiana nel mondo.
Roberto Brunelli: Buongiorno Stefano, vorrei ripercorrere insieme il percorso che ti ha portato da una Laurea in Agraria conseguita nel 1986 a essere oggigiorno uno degli artisti italiani più stimati del panorama artistico contemporaneo.
Stefano Arienti: L’arte contemporanea è stata una scoperta un po’ tardiva, ma ci arrivavo con una mia personalità già matura che si era formata soprattutto nel campo della musica. Incontri fortunati e la disponibilità reciproca mi hanno dato la possibilità di crescere in fretta.
R.B.: Per crescere bisogna confrontarsi con coloro che, almeno sulla carta sono più bravi di te, quanto è stato importante nella Mostra “Il Cangiante” del 1986 poter esporre la tua opera “Alghe” di fronte a “Compagni, compagni” di Mario Schifano.
S.A.:”Il Cangiante” è stata una esperienza bellissima, dove ho imparato molto. Non ho mai avuto paura di confrontarmi con i maestri, o anche solo con la compagnia delle loro opere, il dialogo può benissimo essere a distanza. Invece negli anni ottanta conoscere e confrontarmi con alcuni protagonisti come Corrado Levi, Amedeo Martegani, Marco Mazzucconi, Luciano Fabro e Alberto Garutti mi ha permesso di crescere.
R.B.: Veniamo al 1991 e alla Mostra Anni Novanta curata da Renato Barilli. Li ho incontrato per la prima volta, innamorandomene immediatamente i tuoi “Pongo”. Ho sempre apprezzato che non hai mai voluto riornare su precedenti serie di Opere ma hai sempre voluto ricercare e sperimentare nuove vie. Com’è maturata in te questa scelta?
S.A.: In realtà le serie interrotte spesso sono state riattivate molti anni dopo: è successo sia ai pongo che ai puzzle che ho ripreseo dal 2016, dopo una pausa di più di vent’anni. Sono molto curioso e la molla che mi ha guidato verso l’arte è proprio la curiosità. In più non so fare quasi niente con le tecniche tradizionali e così ho trovato il modo di sperimantare o inventare sempre nuove cose.
R.B.: In una vecchia intervista rimarcavi l’importanza di vivere in una dimensione familiare, in cui anche la partita a carte al bar del paese ricopriva un momento importante della tua giornata. Negli anni l’Arienti Artista ha cambiato la vita dell’Arienti uomo o sei riuscito a conciliare le due dimensioni?
S.A.: Non mi piace vivere in un mondo distaccato, rinchiuso in una dimensione per addetti ai lavori. Ma devo ammettere che l’arte ha contribuito molto alla mia socialità di giovane trapiantato in città, timidissimo e impacciato.
R.B.: Credi che se gli artisti italiani delle ultime generazioni avessero saputo far gruppo avrebbero avuto maggiore visibilità a livello internazionale?
S.A.: Non credo che la visibilità possa dipendere molto dal fare gruppo, anche se le relazioni sono importantissime. La visibilità dipende da moltissimi fattori e non tutti la ricercano.
R.B.: Al MamBo per la Mostra No, Neon, No cry ho avuto modo di rivedere esposta nella loro collezione permanente la tua opera “Turbine” (Libri di carta piegati a mano) del 1988 e mi è venuta questa domanda sulla conservazione: ti sei mai chiesto se qualcuno si fosse dovuto cimentare con la conservazione delle tue opere, come avrebbe fatto? Meglio, hai mai pensato alla conservazione delle tue opere?
S.A.: Mi è stato chiesto spesso e quindi ci ho pensato spesso. Mi fa piacere vedere le mie opere andare in giro per il mondo con le proprie gambe. Ma non mi spaventa l’invecchiamento, anzi mi fa piacere vedere che i segni del tempo cominciano a collocare certi oggetti in un’epoca storica precisa, anche semplicemente perchè quegli oggetti, allora comunissimi come orari dei treni o elenchi del telefono, oggi sono estinti.
R.B. E secondo te, quale è la prassi che si dovrebbe seguire? Cosa dovrebbe essere conservato: significato o materiale originale?
S.A.: Non do linee guida di conservazione precise e vincolanti, ed ho imparato a mettermi fra il pubblico a guardare cosa succede ai miei oggetti d’arte durante la loro vita. Cerco di limitarmi a intervenire solo quando è strettamente necessario; se una mia opera viene smembrata o vistosamente alterata, anche nel rispetto di chi ha deciso di impegnarsi in prima persona acquistando una mia opera e conservandola.
R.B.: Hai mai scelto i materiali in base alla loro durevolezza o alla loro compatibilità?
S.A.: Ho sempre scelto oggetti che mi attiravano nella loro materialità, e ho preferito oggetti contemporanei invece che materie atemporali. Se le mie opere sono fragili è un rifllesso di quanto è fragile la nostra cultura materiale. Ma non è necessariamente un male.
R.B.: Da genitore considero che l’arte giochi un ruolo fondamentale nello sviluppo dei bambini. Puoi parlarci della mostra al Castello di Rivoli del 2001 e dell’omonimo libro “Il tempo considerato come una spirale di pietre semipreziose”.
S.A.: Un progetto curato dal Dipartimento Educazione del Museo che ha usato oggetti collezzionabili (palline di gomma) per proporre un modo giocoso di disegnare: posizionare le palline su un grandissimo tappeto monocromo. In una mostra successiva il grande tappeto blu è stato sostituito da miei tappeti tinti di nero. Il libro che accompagnava la mostra era un libro per bambini, ma a tutti gli effetti è uno dei miei primi libri d’artista. Compare lì per la prima volta una forma di manipolazione digitale (l’inversione)che in seguito ho usato spesso.
R.B.: Veniamo ora alla mostra attualmente in corso nella Repubblica di San Marino e mi piace farlo ricordando il grande Claudio Poleschi prematuramente scomparso il 25 agosto e che non ha potuto vedere questa mostra che ha fortemente voluto di un artista che sapevo, avendoci parlato più volte negli anni passati, stimava tantissimo.
S.A.: Non aver potuto avere Claudio Poleschi all’inaugurazione della mia mostra è stato un vero dispiacere, avrei voluto mostrargli di persona come avevo risposto alla sua chiamata generosa a San Marino, e fino all’ultimo giorno dell’allestimento gli inviavamo le immagini di tutto quello che stavamo facendo, consentendogli di seguire il progetto passo dopo passo.
R.B.: Vuoi parlarci per favore di come nasce l’evento e di come sono selezionate le sedi, dei sopraluoghi necessari, di tutto quel dietro le quinte di cui normalmente non si parla mai.
S.A.: Il progetto sammarinese nasce come collaborazione pubblico-privato per un progetto di respiro museale, e quindi anche in galleria si è pensato fin dall’inizio a lavorare con la stessa qualità. La grande disponibilità delle istituzioni dello stato ha aperto la possibilità di intervento in spazi bellissimi che mi hanno guidato nella progettazione verso interventi inediti, pensati appositamente.
R.B.: Nel 2015 lanciai una petizione per chiedere che il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia torni ai Giardini così da dare la meritata visibilità alla nostra Nazione e agli Artisti italiani a oggi gravemente penalizzati dall’aver visto ormai da diversi anni il nostro Paese cedere il suo storico/naturale Padiglione ai Giardini in cambio di una posizione defilata e logisticamente poco felice all’Arsenale. La proposta ti trova d’accordo?
S.A.: E’ una proposta molto sensata. Sono molto d’accordo ad un ritorno ai Giardini, il padiglione centrale non è solo molto più bello, ma è sicuramete più versatile. Visitare il padiglione italiano affaticatissimi dopo aver percorso tutto l’Arsenale e per di più in uno spazio difficilissimo è troppo penalizzante. Il padiglione centrale potrebbe servire all’Italia e ad altri paesi senza padiglione proprio, lasciando l’Arsenale il più possibile per la mostra del direttore della Biennale che spesso raddoppia le stesse presenze fra Giardini e Arsenale.
R.B.: Che cosa consiglieresti a un giovane artista che vorrebbe fare dell’arte la sua professione?
S.A.: Sconsiglio sempre la carriera artistica, così incerta e portatrice di continue frustrazioni. Nonostante i successi e le soddisfazioni è una professione troppo legata ad un mondo limitatissimo e capriccioso. Non è affatto una professione libera, perchè è determinata dal tuo pubblico, anche se tu cerchi di creartelo o di condizionarlo. Nei fatti è più salutare avere più professioni, la più naturale è l’insegnamento, dato che la maggior parte degli artisti ha un diploma. E non guasta avere altre esperienze professionali o imparare a lavorare direttamente su committenza.
R.B.: Per finire mi piacerebbe che ci parlassi dei tuoi progetti futuri, dei tuoi sogni e di quanto si è davvero concretizzato rispetto a quello che hai e/o avresti voluto portare come contributo a quel mondo fantastico che rimane pur sempre quello dell’arte.
S.A.: Non faccio bilanci e vorrei continuare le serie che ho ancora attive e produrre molte opere che non ho ancora realizzato. Mostre o progetti arrivano e li accolgo volentieri perchè mi permettono nuove esperienze e mi stimolano. Ho sempre avuto una libertà di azione e di proposta non scontate. Mi sento un artista fortunato che ha lavorato sempre.