Una fiera più… fiera. Ecco, se dovessi dare una definizione sintetica della prima edizione di Artissima sotto la direzione artistica di Ilaria Bonacossa sarebbe proprio questa. E da qui, quel “pragmatica” utilizzata nel titolo e che non vuol essere una nota negativa, ma solo sottolineare come la kermesse torinese quest’anno sia tornata a fare il suo mestiere di fiera, con una proposta artistica di qualità, certamente, ma anche più ammiccante ai trend di mercato, come è giusto che sia per un evento che, di base, è e rimane commerciale. Con buona pace anche di ogni intervento curatoriale possibile, che sicuramente rende più piacevole e stimolante una visita, ma non deve snaturare quella che è la finalità di una fiera: vendere.
Non si svela nessun mistero, d’altronde, se si ricorda come Artissima, a livello internazionale, sia da tempo una fiera molto apprezzata, ma anche una di quelle con la minor capacità di fidelizzare le gallerie straniere che qui da Torino ci passano al massimo un paio di volte. Salvo rare eccezioni. Segno che dal punto di vista dei rientri economici qualcosa non funzionava proprio alla perfezione. Via, dunque, le ricerche più ardite e le sperimentazioni cutting edge, per dare maggior spazio ad un’arte sicuramente più in grado di incontrare i gusti del collezionismo che frequenta la fiera, in primis quello italiano. Se questo cambio di rotta, in parte già iniziato lo scorso anno, funziona ce lo diranno poi i numeri, ma da quel che si è potuto vedere durante la preview di ieri direi che la macchina gira bene e questo è quello che conta.
Back to the Future ci riporta negli anni Ottanta
Un primo elemento positivo, che si coglie camminando tra i corridoi della fiera, è certamente l’organizzazione delle varie sezioni. L’aver spostato Back to The Future all’estrema sinistra, dove una volta trovavano spazio le istituzioni museali – oggi relegate vicino all’area editoria -, rende il piano della fiera decisamente più chiaro da seguire. Il focus di quest’anno, della sezione dedicata alla riscoperta dei pionieri dell’arte contemporanea, è sugli anni Ottanta e dà voce al versante alternativo della scena artistica che ha caratterizzato il periodo 1980-1989, quello legato alle minoranze e agli artisti marginalizzati, a quelle ricerche rimaste per vari motivi ai margini del cosiddetto mainstream.
E il caso, ad esempio, Vivienne Koorland, portata in fiera dalla londinese Richard Soulton e nei cui dipinti, fotografie trovate, nomi di luoghi, canzoni, mappe o un fiore disegnato da un bambino per la madre, prima di essere deportato in un campo di concentramento, diventano simboli codificati per tradurre l’indelebilità dell’Apartheid, rintracciabile in tutti i lavori di questa artista nata a Cape Town nel 1957 e tra i temi più caldi che hanno caratterizzato gli anni Ottanta.
La Galleria Ribot di Milano propone, invece, un’interessante retrospettiva su Corrado Levi, figura cruciale del nostro panorama artistico degli anni Ottanta, mentre nello spazio della Kayne Griffin Corcoran di Los Angeles, troviamo le particolarissime sculture di Beverly Pepper nelle quali riecheggiano i simboli e la monumentalità della scultura cambogiana che la colpì in gioventù per la sua mistica trascendenza. La Pepper, peraltro, è stata una pioniera sia nell’uso di materiali come l’acciaio Cor-Ten sia nell’utilizzo di particolari tecniche di installazione outdoor.
Infine, tra le varie proposte, mi piace segnalare quella della bolognese P420 che a Torino porta l’opera dell’artista tedesco Joachin Schmid, uno dei primi ad utilizzare foto trovate, in una sorta di appropriazionismo di immagini anonime, come il suo lavoro dedicato ai maestri della fotografia dove sono esposte una teoria di immagini trovate nei mercatini ma che stilisticamente rimandano ai grandi fotografi a cui Schmid le attribuisce, attivando una riflessione sulla riproducibilità dell’opera, sull’autorialità e sullo stesso mezzo fotografico.
Il meglio di Disegni e delle altre sezioni di Artissima 2017
Uscendo da Back to the Future, una delle sezioni più interessanti di tutta la fiera, ci addentriamo tra i vari corridoi dove si intrecciano Dialogues, Main Section e New Entries, costruite attorno al cuore della manifestazione, dove si trovano Present Future – quest’anno particolarmente debole, se non fosse per il nostro Salvatore Arancio – e Disegni: la vera novità di questa edizione, fortemente voluta dalla nuova direttrice e che, effettivamente, porta una bella ventata di freschezza nella manifestazione, anche se la qualità delle opere mi è sembrata quanto meno discontinua. Detto questo, tra gli stand di questa sezione uno dei più belli è certamente quello allestito dalla genovese Pinksummer con i lavori di Mariana Castill Deball.
Deball, artista messicana del 1975, indaga il ruolo che gli oggetti hanno nella nostra comprensione della storia e dell’identità. E lo fa attraverso opere che sono il frutto di una mescolanza di linguaggi diversi. Interessante anche il lavoro dell’argentino Daniel Otero Torres, portato in fiera dalla galleria Sketch di Bogotà e che attraverso la sua ricerca mette in discussione il rapporto tra copia e originale. Ma il Booth che ho trovato più affascinante tra quelli della sezione Disegni, è certamente quello della galleria portoghese 3m1arte che ad Artissima ha presentato le opere di Jorge Queiroz: immagini apparentemente astratte che ci aprono ad un mondo fatto di rappresentazioni oniriche che possono richiamare alla mente le atmosfere di Odillon Redon senza però scivolare mai nel surrealismo.
Usciti da queste tre sezioni curatoriali – Back to the Future, Disegni e Present Future – cogliere i confini delle altre è una vera e propria impresa e il rischio è di concentrarsi più sulle tracce colorate a terra che non sulle opere. Alla fine così, il percorso salta e l’occhio va solo agli stand, come è giusto che sia. Tra i più interessanti, quello della Otto Gallery che in fiera porta, tra le altre cose, alcuni lavori recenti di Urs Lüthi in cui l’artista svizzero, pioniere della Body Art e dell’arte concettuale, ci appare distante dall’immagine che in molti di noi abbiamo nella memoria pur nella coerenza di un lavoro che continua ad investigare sull’identità.
Bellissimo, lo stand della Galleria Atchugarry che porta una serie di lavori su carta veramente incredibili a firma di Veronica Vasquez, che abbiamo già incontrato altre volte in veste di scultrice e vera e propria scoperta di questa galleria uruguaiana. In questo momento alcuni suoi lavori sono a Venezia ma presto esporrà a Chicago. E se Veronica è ancora un astro nascente, Marco Maggi e una vera e propria star nel panorama artistico uruguaiano e nei prossimi mesi sarà a Huston per un’importante mostra personale. Ma il gruppo di opere che preferisco, tra quelle portate da Atchugarry a Torino, è certamente quello dell’italiano Riccardo De Marchi con le sue delicate tracce su carta, alfabeto universale delle emozioni.
Sempre molto raffinata e stimolante anche la proposta di CAR DRDE che ad Artissima si presenta con un dialogo tra il lavoro dell’emergente italiano Alberto Scodro – che indaga il potere scultoreo della materia e dei materiali liberi di generare forme e colori – e quello dell’artista american Joseph Montgomery la cui opera è uno strano caso di ibridazione tra scultura e pittura e dove ogni lavoro è il resoconto di una memoria stratificata; un’indagine sull’immagine in continuo sviluppo.
Tra gli stand più belli della fiera, c’è poi quello della coreana A-L che nella sezione New Entries porta una serie di lavori che rappresentano la contemporaneità della vita presente, attraverso elementi che ne tracciano una sorta di diario quotidiano toccando le questioni storiche e sociali del nostro tempo: le installazione di Daejin Choi, i dipinti di An Gyungsu e i disegni dell’indiano Shubigi Rao.
Notevole anche la proposta della Loom Gallery, alla sua seconda presenza in fiera. Quest’anno, la galleria milanese porta il solo show di Francesca Longhini che attraverso le proprie opere ci racconta di un abbaglio, di un errore, in cui i lavori esposti sono degli inizi di possibilità che lavorano sulla qualità dell’intenzione, sul rischio, sull’ambivalenza della realtà e dell’agire. Opere in cui c’è poco da pensare e molto da vivere.
Continuando a camminare tra gli stand, c’è veramente l’imbarazzo della scelta, tante sono le opere interessanti presenti in questa edizione, come i dipinti di Chantal Joffe da Victoria Miro, i Botanical Frottage di Adrien Missika portati dalla messicana Proyectos Monclova o i lavori di Domenico Mangano & Marieke von Rooy da Magazzino. Per non parlare di quelli di Nicola Samorì proposti dalla romana Monitor. La qualità media di Artissima 2017 è veramente ottima.
Prima di lasciarvi, però, mi piace segnalarvi un ultimo stand, quello della peruviana Revolver che qui a Torino inscena un interessante dialogo tra il nostro Ugo La Pietra e Josè Carlos Martinat che nel suo lavoro si appropria di immagini e testi tratti dalla sfera pubblica, ricontestualizzandoli in opere a tecnica mista o in installazioni scultoree.
Come nel caso di Luna 1, opera del 2017, una delle più belle tra quelle viste in fiera. Il nostro reportage da Artissima si chiude qui, con l’invito a visitare la fiera torinese e, magari, a inviarci – attraverso i commenti a questo articolo – le vostre impressioni e opinioni.