Prima che gli integralisti etici passino all’attacco, è bene chiarire una questione fondamentale: in economia il prezzo assume un valore informativo preziosissimo. All’interno di una singola cifra sono racchiuse informazioni estremamente complesse, che ogni consumatore valuta in modo semi-automatico (se non del tutto inconsapevole) prima di procedere all’acquisto.
La rilevanza informativa del prezzo, tuttavia, viene meno nel momento in cui le “procedure” attraverso le quali tale prezzo viene fissato sfuggono a leggi generali di mercato: tutti sanno che, a parità di domanda, quanto più è raro un prodotto tanto più il suo prezzo tenderà ad aumentare (avete presente i bagarini che vendono i biglietti dei concerti?). Ora, il mondo dell’arte ha una serie di regole che, di fatto, sfuggono a questa logica.
Questa considerazione non è mera accademia: senza una chiara “regola” di determinazione del prezzo non esistono le chiare “informazioni” che il prezzo contiene, e non esistono nemmeno specifiche “strategie” che possono essere attuate per fare in modo che chi produce arte possa “posizionarsi” in una determinata categoria di “mercato”.
Va bene, va bene, l’arte è un mercato particolare e non è una mera catena di produzione. D’accordo. Ma se si venisse a scoprire che, almeno per l’arte contemporanea, contano più le relazioni sociali che “il genio” insito nelle opere? Se si venisse a scoprire che “entrare in confidenza” con un rilevante critico può incidere positivamente sulla carriera di un artista più che la validità della propria ricerca estetica?
I motivi di questo interesse, a ben vedere, sono duplici: da un lato, a livello sistemico, riuscire a stabilire con maggiore precisione quali siano le condizioni perché un artista contemporaneo risulti più apprezzato di un altro permetterebbe di introdurre delle logiche di investimento che andrebbero senza dubbio a creare benefici per il mercato dell’arte, riducendone le opacità sistemiche e migliorando anche la percezione che, soprattutto nel nostro Paese, si ha dello stesso
Dall’altro, però, riuscire a comprendere quali variabili incidano più delle altre sull’esito della carriera di un’artista, potrebbe aiutare gli stessi artisti a comprendere come meglio specializzarsi e come meglio gestire il proprio tempo.
Per essere più chiari, facciamo un parallelismo con altri lavori professionali: a parità di condizioni (talento, bravura, capacità retorica, ecc.) un avvocato che “lavora” di più rispetto ad un altro tenderà ad avere un maggior numero di successi; tra due junior che lavorano per una KPMG o una Deloitte, chi riesce ad evadere nello stesso tempo, un maggior numero di pratiche tenderà ad essere premiato; tra due spazzini, chi riuscirà a pulire meglio una strada sarà più bravo.
Certo, il discorso è un po’ più complesso, ma questa semplificazione non si discosta molto dalla realtà. Nel campo delle arti “non visuali” la questione diviene meno lineare ma, a parità di talento, il fattore lavoro gioca ancora una propria rilevanza (un ballerino o un musicista classico hanno bisogno di esercitarsi costantemente per diventare più bravi). Nelle arti visive tutto ciò svanisce, o quasi.
E queste condizioni creano terreno fertile per “distorsioni di mercato” che poi, puntualmente, si verificano nella pratica. Riuscire a determinare il prezzo, dunque, di un’opera d’arte contemporanea, e riuscire a motivare la differenza di prezzo che sussiste tra le opere di due artisti su basi “lineari”, non dovrebbe essere, in fondo, impossibile.
Perché Richter vale più di Botto&Bruno? Quali differenze determinano la quotazione di un’opera di Bill Viola da un’opera di Doug Aitken o di Douglas Gordon? Si possono avanzare tantissime ipotesi ma sinora, qualunque critico si è ben guardato dal fornire una interpretazione ex-ante di questi differenziali. Ci saranno milioni di persone, ora, pronte a spiegare perché questo differenziale è così. Ma col senno di poi siamo tutti più bravi.
In fondo, guardare alle determinanti del prezzo e cercare di “mettere ordine” in esse, non è nient’altro che un tentativo di risposta, attraverso altri strumenti, ad una domanda che riecheggia sempre tra i “non iniziati”: perché questa cosa dovrebbe essere “arte”? Perché dovrebbe “valere” così tanto?
Se riuscissimo ad evidenziare tali meccanismi di formazione del prezzo, magari riusciremmo a spiegare anche in modo semplice (“a parità di fattori, la spiegazione più semplice è da preferire, “diceva Occam) perché l’arte contemporanea dovrebbe essere parte della vita delle persone che, al momento, non la capiscono o meglio non la riconoscono come un’espressione della loro cultura.