«Ministri che vivono accanto al Campidoglio o al Pantheon, a San Pietro o al Gesù, non si sono mai accorti che l’arte è stata sempre, non solo per le monarchie ma anche per le repubbliche popolari, un ottimo mezzo di governo, e che chi la trascura mostra quasi di non credere all’avvenire del proprio paese, di non credere a una coscienza nazionale compatta e durevole, e di voler vivacchiare alla giornata rassegnato ogni mattina a vedere perdonate, anzi obliate le sue opere di ieri. Pei nove decimi degli italiani, anche di quei pochi che mostrano e dicono d’amare e rispettare l’arte, l’arte è proprio un passatempo, fuori dalla vita, relegato nei musei, inutile alla vera vita individuale e nazionale: peggio, è un lusso».
Le parole che avete appena letto non sono mie, ma di Ugo Ojetti e risalgono quasi ad un secolo fa: 1918. E’ incredibile come questo passaggio, tratto dalla sua introduzione al libro “I nani tra le colonne”, suoni ancora oggi attuale. E’ la dimostrazione dell’immobilismo del nostro Paese e dell’inadeguatezza, storica, dei nostri governanti che sembrano lavorare solo alla costante mortificazione delle potenzialità dell’Italia; incapaci di comprendere che la creatività, di cui l’arte è certamente la massima espressione, è invece, citando questa volta lo studioso dei processi cognitivi Edward De Bono, «la risorsa umana più importante. Senza creatività non ci sarebbe progresso e ripeteremmo sempre gli stessi schemi».
E l’Italia sta facendo proprio questo: ripete sempre gli stessi schemi. Tagli orizzontali che privano di risorse importanti settori chiave della nostra vita; leggi che impediscono l’ingresso di fondi privati nelle nostre principali istituzioni culturali; tasse sempre più alte; declassamento, nei programmi scolastici, di materie come la Storia dell’Arte.
La lista potrebbe essere infinita, d’altronde siamo il Paese che ha restituito oltre 30 milioni di euro di fondi europei destinati alla cultura, come è successo con le risorse del POIN ‘Attrattori Culturali’ riservato alle regioni del Mezzogiorno; il Paese in cui, dal 2008 ad oggi, il settore culturale ha perso 1.3 miliardi di finanziamenti pubblici: siamo gli ultimi in Europa!
Come se non bastasse, dei 1.5 miliardi che l’Italia investe in cultura (la metà di quanto fa la Grecia) la maggior parte serve alla sola gestione dell’apparato burocratico-amministatrivo (Ministero&Co.) e solo le briciole sono destinate alla produzione dell’arte e delle attività culturali; pochissimo alla tutela del nostro patrimonio e praticamente nulla per il contemporaneo e per favorire le nuove espressioni artistiche.
Qualcuno potrà obiettare che, visto lo stato in cui verte oggi l’Italia, i pochi soldi pubblici disponibili debbano essere destinati ad altri settori. Bene. Il problema è che le scelte miopi dei nostri legislatori hanno fatto sì che anche i fondi privati si allontanassero dal mondo della cultura: dal 2008 sono diminuite del 42% le sponsorizzazioni e del 35% le erogazioni dalle fondazioni bancarie.
Eppure la cultura serve al benessere interiore dell’essere umano, lo mette in relazione con la comunità e con gli altri, rafforza i legami e il senso di appartenenza, offre opportunità di crescita nella società. Un esempio: nel 1986 a Lens il tasso di disoccupazione era del 15% mentre oggi, grazie ad opportuni investimenti, è il polo culturale più importante del Nord della Francia.
Un altro anno si è concluso e le scelte dei nostri governanti continuano ad ignorare tutto ciò. Mentre i consumi culturali degli italiani crollano e calano i visitatori dei nostri musei, vorrei così invitarvi ad una riflessione sul ruolo che l’arte, e con essa la cultura, dovrebbe avere nella nostra vita: un lusso per pochi o una ricchezza per tutti?