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Una riflessione sull’opera di Maurizio Cattelan

del

Alla luce del nuovo record per la sua scultura Him, venduta a New York questo 8 maggio da Christie’s per 17.189.000 dollari, mi piace proporre un’analisi; una chiave di lettura della produzione artistica di Maurizio Cattelan che non si soffermi tanto sull’effetto apparentemente provocatorio e dissacrante che i suoi lavori provocano nello spettatore, ma sul messaggio che ne deriva e, soprattutto, sulla lettura che le sue opere meritano, in quanto molto profonde e di un significato di ampissimo respiro.

Prendiamo ad esempio La nona ora (1999), scultura in poliestere, resina, roccia vulcanica, tappeto, vetro, polvere metallica, lattice, cera, tessuto, con scarpe in cuoio e pastorale in argento, che rappresenta Papa Giovanni Paolo II colpito da un meteorite.

Come ho avuto ampiamente modo di spiegare nel mio libro ANNINOVANTA 1990-2015, Un percorso nell’arte italiana, in quel 1999, o meglio, in quegli anni non vi era apparentemente bisogno di un’opera così forte che prendesse in considerazione non solo Papa Wojtyla, come a prima vista può far pensare la scultura, ma tutta la Santa Chiesa. Come scrive Alejandro Jodorowsky ne Il figlio del giovedì nero, però, «quel meteorite è metafora della parola divina che cade dal cielo e lassù deve tornare.

Così lo spirito del re, chiuso nella carne pietrificata, deve tornare alla sua patria celeste». Osservando con quanta forza, o meglio fede, lo stesso Papa Giovanni Paolo II resta abbracciato, non dico tiene stretto, il bastone pastorale, la scultura di Cattelan rappresenta, sempre a mio umile avviso, non solo una critica, nemmeno troppo velata, al suo pontificato estremamente conservatore, ma coglie anche, con anticipo, la crisi che la Chiesa stava già allora silenziosamente vivendo, nonostante il Santo Padre fosse da tutti considerato (e “pontificato”) come l’artefice della sconfitta di quel comunismo reale considerato dai più il nemico principale e che, di lì a poco, si sarebbe accentuata, come lo stesso Santo Padre, in un lungimirante (probabilmente illuminato) discorso del 1981, aveva precedentemente denunciato, per la confusione di molti cristiani generata dalle false verità diffuse dopo il Concilio: «Bisogna ammettere, realisticamente e con profonda e sofferta sensibilità, che i cristiani oggi in gran parte si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi, si sono sparse a piene mani idee contrastanti con la Verità rivelata e da sempre insegnata; si sono propagate vere e proprie eresie, in campo dogmatico e morale, creando dubbi, confusioni, ribellioni, si è manomessa anche la Liturgia; immersi nel “relativismo” intellettuale e morale e perciò nel permissivismo, i cristiani sono tentati dall’ateismo, dall’agnosticismo, dall’illuminismo vagamente moralistico, da un cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza morale oggettiva».

E come non parlare dell’opera “con i bambini appesi all’albero” esposta a Milano nel 2004. Ricorderete i TG che aprivano quel giorno con la notizia che un uomo era caduto dall’albero e si era rotto il femore nel tentativo di staccarli, ma nessuna riflessione, invece, fu fatta sul tema della violenza sui minori, in particolar modo sui bambini, vero scopo di quel lavoro: nessuno si scandalizza, vede/sa e interviene fino a quando il problema non diviene di dominio pubblico. Anche quella sua opera non è provocazione, ma un vero e proprio atto di denuncia.

Roberto Brunelli
Roberto Brunelli
Forlivese, classe 1972, autore, critico d'arte e curatore di mostre, Roberto Brunelli è annoverato tra i massimi esperti della generazione anni ‘60 italiana ai quali ha dedicato “Anninovanta 1990-2015. Un percorso nell'arte italiana”. È inoltre coautore di “Investire in arte e collezionismo” e di “Chi colora Nanù?". Nel 2011 è stato tra i promotori di ShTArt - Manifesto del collezionismo 2.0 e della omonima mostra tenutasi a Milano.

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