Il Pinchuk Art Centre ha sede nel cuore moderno del centro di Kyïv (Kiev, in epoca sovietica), non lontano dall’Olympiyskyi Stadium e accanto a Tolstoho Square, in un edificio esteriormente un po’ anonimo. Creato nel 2006 dal miliardario Viktor Pinchuk sulla base della propria collezione (si parla di uno dei top 200 art collectors nel mondo, secondo la rivista ArtNews), il Centro è da subito divenuto motore e supporto della produzione artistica ucraina contemporanea.
Il Centro occupa sei piani, quattro dei quali dedicati alle esposizioni; l’allestimento interno, creato dall’architetto francese Philippe Chiambaretta, è molto bello e funzionale: in particolare l’illuminazione perfettamente calibrata che filtra dal rivestimento traslucido del soffitto favorisce un’ottima fruizione delle opere.
Vi trovo in corso quattro eventi espositivi: una personale della giovane artista Lada Nakonechna (1981) in via di finissage (4 settembre); due collettive a tema: Guilt, che esplora il concetto di colpa ispirandosi all’analisi fatta da Karl Jaspers della situazione psicologica e morale della Germania alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ove — secondo il filosofo — l’ammissione e coscienza della colpa divengono essenziali per un rinnovamento spirituale (facile intuire le allusioni all’attuale conflitto in atto tra Russia e Ucraina — la mostra è aperta fino al 2 ottobre) e Transformation (fino all’8 gennaio 2017), che si concentra invece sulla pittura ucraina nel momento di transizione, storico e artistico, dalla fine degli anni Ottanta ai primi anni Duemila; infine LOSS. In memory of Babi Yar (anch’essa fino all’8 gennaio), con opere e installazioni di Christian Boltanski, Berlinde De Bruyckere e Jenny Holzer.
Babi Yar è un luogo nei pressi di Kyïv che, durante la Seconda Guerra Mondiale, fu teatro di massacri ad opera dei nazisti e dei collaborazionisti ucraini ai danni della popolazione locale. In particolare, si ricorda l’eccidio di 34.000 ebrei di Kiev avvenuto il 29 e 30 settembre 1941, una delle più grandi tragedie nella storia della Shoah. Commemorando il 75° anniversario dell’evento, Christian Boltanski ha creato una nuova installazione monumentale di enorme potenza emotiva, Le chemin de Babi Yar: centinaia di cassette di metallo, contrassegnate da semplici numeri, creano uno stretto corridoio fiocamente illuminato da lampadine a bassa intensità, che porta a un cumulo di abiti scuri affastellati — il tutto realizzato in apparenza con materiali d’epoca.
Di Jenny Holzer, d’altro canto, è esposta un’opera del 1994, Lustmord Table — ispirata ai crimini di guerra nell’ex Jugoslavia — in cui su un tavolo di legno sono accuratamente ordinate ossa umane, alcune delle quali portano fascette d’argento con incisi frammenti di testi della stessa Holzer che descrivono crimini sessuali dal punto di vista della vittima, del carnefice e dell’osservatore. Ancora della Holzer sono esposte le panchine di pietra di Under a Rock (1986) e le targhe di bronzo con i testi delle Living Series (1980-1982) e Survival Series (1983-1985); uno dei Living recita: “It takes awhile before you can step over inert bodies and go ahead with what you were wanting to do” [“Ci vuole un po’ prima di riuscire a scavalcare corpi inerti e proseguire con quello che si voleva fare”].
Le altre esposizioni sono costituite da opere di artisti ucraini delle ultime generazioni: mi annoto in particolare i nomi di Sergey Bratkov (1960), Mykola Ridnyi (1985) e dei due collettivi Fond Masocha/Masoch Fund e Grupa Shvidkovo Reaguvannja/Fast Reaction Group che presentano opere dal forte contenuto politico.
Bellissime le sculture cinetiche di Oleksandr Hnylytsky (1961-2009) & Lesja Zajac (1965); molto bella anche Gazelka di Nikita Kadan (1982): una lamiera crivellata di proiettili shrapnel, proveniente dalla carcassa di un’auto trovata in una zona di guerra dell’est ucraino, modellata e trasformata in una bandiera.
L’ingresso del Pinchuk Art Centre è gratuito. È forse anche per questo che il numeroso pubblico è composto nella stragrande maggioranza da giovani e giovanissimi: si va dal giovane artista d’avanguardia in evidente uniforme da giovane artista d’avanguardia all’emo dal colorito verdino e i capelli fucsia; dall’idiota che indossa la maglietta da calciatore di Totti e sghignazza indiscriminatamente — anche di fronte a opere che mi è molto difficile immaginare come possano suscitare del riso (fosse anche di scherno) — a belle fanciulle, forse studentesse di Storia dell’Arte, che osservano le opere nei minimi particolari: una di loro sfoggia al collo, con fierezza, un pendente con la Stella di Davide.
La bella sensazione dominante è comunque quella di un desiderio di comprensione e di appropriazione del contemporaneo da parte di questi giovani, molti probabilmente nati proprio negli anni della disgregazione dell’Unione Sovietica: la volontà di capire, tramite le opere di una realtà artistica che mi appare molto vivace, le dinamiche e i retaggi storici del mondo che li circonda, che l’arte rappresenta e restituisce.